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Giochi erotici di coppie in crisi

di Gianni Poli
  Demoni
Data di pubblicazione su web 04/03/2016  

Un autore contemporaneo svedese rinomato e un complesso teatrale di provato valore producono uno spettacolo d’interesse tematico e performativo, specchio d’una attualità esistenziale consueta, in una scrittura drammatica tradizionale. Nell’analizzare e descrivere l’eterna guerra della coppia, il drammaturgo Lars Norén si ispira ai modelli nazionali di Strindberg e di Bergman, mentre allude al nucleo psicologico problematico di Chi ha paura di Virginia Wolf? di Edward Albee.

Dalla vita trascorsa insieme di Franco e Katarina, ormai insopportabile a entrambi, emergono i demoni dell’incomprensione e della menzogna, della finzione e dell’inganno, per stanchezza e sfiducia radicali. Si manifestano dopo nove anni di convivenza in crisi crescente, anche nel ricorso a giochi erotici, praticati in una sorta di compiaciuta finzione. In assenza di desiderio o per sua devianza patologica, le comuni liti quotidiane crescono in forma di lotta crudele e disperata. All’inizio, il rinvio del funerale della madre di Franco suggerisce all’uomo una serata trasgressiva, alla quale invita gli sposi vicini di casa. Il loro arrivo causa turbamenti inattesi e l’incontro si fa via via più sporco, lacerante e caotico. Nel quartetto occasionale, ciascuno si espone, abbandonandosi a sfoghi, recriminazioni e confessioni, in cerca di espedienti e ragioni, in fuga da situazioni che forse non si vogliono davvero abbandonare. Ognuno insiste nell’esacerbare lo scontro, ma in vista d’una sconfitta definitiva e senza scampo. 


Un momento dello spettacolo
© Giuseppe Maritati

Se la coppia principale è borghese, benestante e ambisce a un’immagine elevata di sé, quella chiamata al gioco rappresenta una classe evidentemente inferiore: dall’abito al linguaggio e alla spontaneità più rozza e ingenua, potrebbe definirsi modesta famiglia media, con figli piccoli e orizzonti limitati. Meno ricchi, meno malati o strani, ma non meno a disagio, deboli e insicuri. Tanto che, subito pronti a svelarsi, scoprono vizi e aspirazioni dalle conseguenze analoghe a quelle degli ospiti smaliziati.  

Il piano originale della pièce, un “documento” in diretta, testimonianza di autentiche “scene da un matrimonio”, prevedeva la durata di quattro ore. Grazie al regista Marcial di Fonzo Bo, la durata attuale si riduce a meno di due ore. I protagonisti duellanti procedono fin dall’inizio al mutuo massacro, ma secondo una misurata mistificazione, tanto che su quell’ambiguità (se non sul teatro nel teatro) la regia pare fondare l’equilibrio di un’azione altrimenti incline al melodramma. Di Fonzo Bo è infatti abile nell’alludere all’artificio e a stabilire la propria convenzione senza sfruttare la parodia diretta. Così, quando sentimenti e comportamenti esasperati volgono al ridicolo, recupera comicità dalla situazione incongrua. Scegliendo per sé il ruolo di Franco, lo caratterizza d’autoironia, quasi ad alleviarne il complesso di dipendenza materna e a fronteggiare l’accusa di maltrattamenti e d’impotenza, addossatagli da Katarina.

Proprio con agili movenze d’intelletto, esuberanza gestuale e mimica danzante, fra lo scherzo e la minaccia (di cui conosce l’efficacia deterrente sulla partner), l’attore franco-argentino contagia con la sua verve surreale i compagni di sventura, tingendoli di humour nero. Così sceglierà un gesto originale e clamoroso, nel disperdere le ceneri della madre (finora impacchettate) sul corpo della moglie. E analogamente creerà un’aggravante di perversione (tanto però funzionale all’immagine assunta) nel lanciare al giovane Tommaso un’esca spudoratamente omosessuale, con toni di paternalismo patetico e di pesante provocazione. Non certo per una falla sincera nella sua affettività già traballante, ma per ulteriore azzardo d’esperienza e di narcisistica rivalsa. Oltre a spiegazioni psicoanalitiche superficiali, Norén avanza argomenti più espliciti di sessualità esibita, in un kamasutra da bordello casalingo, causa d’un certo fastidio come per un déjà vu, inefficace nello shock atteso dal vocabolario pornografico. Un motivo d’interesse sorge comunque dalla contraddizione costante fra l’intenzione dichiarata e il comportamento d’incoerente contrasto, poiché la ricerca e la confessione d’amore sono negati dall’evidenza del tradimento, dell’insofferenza, della noia, se non dell’ostilità violenta.


Un momento dello spettacolo
© Giuseppe Maritati

La concezione spaziale di Yves Bernard è il risultato più convincente per questa commedia dall’apparenza ingannevole. L’arredamento dell’unico, grande locale rappresenta la modernità di un’IKEA ricca e stilizzata, inserita in architravi in legno e pareti a specchio che collegano, separandoli, i diversi vani. Un dispositivo rotante realizza il cambio d’ambiente e, col buio, improvviso e breve, muta le scene con effetto cinematografico. In quel luogo accogliente, per i giovani Tommaso e Gemma degno d’ammirazione, gli attori appaiono in personaggi deprivati di mistero e sovraccarichi di nevrosi dichiarate o prevedibili. Interpreti coscienti, intelligenti, sensibili nell’evitare la volgarità imbarazzante da cui scaturisce, a volte e per paradosso, il comico. Le dichiarazioni d’amore di Katarina («Ti amo ti amo ti amo…») precedono l’invito a un coito impulsivo, eppure distaccato e cinico. Infatti l’amplesso, romanticamente sublimabile, tradotto con “chiavata”, connota qui un riflesso condizionato ed estraneo al desiderio.

Frédérique Loliée interpreta una donna sensuale e frigida, dedita a un gioco consensuale di masochismo e seduzione. La sua nobile bellezza mira, con l’ostentata nudità, alla provocazione oscena. Passa infatti dall’eleganza sobria del tubino da cerimonia al travestimento, in pagliaccetto di pizzo nero, da puttana. L’attrice riesce a infondere in un personaggio schematico e prevedibile un’ambigua complessità variegata e commovente, soprattutto nelle cadute. Forte sia nella reattività, sia nella malizia della ritrosia e della negazione, il suo fascino sa trasformare la fragilità in potere. Lo dimostra nell’offrirsi a Tommaso (Michele De Paola), un marito giovane e deluso (e padre imbranato), ridotto letteralmente a nudo, quando sembra poter soddisfare un desiderio acuito nel tempo e resta bloccato da paura e senso di colpa. Sua moglie Gemma ha in Melania Genna una duttilità e disponibilità improvvise alle attenzioni, mascherate da tenerezza, di Franco. I suoi bisogni, originati dalle mancanze di Tommaso, causano l’illusione d’amore così invadente e irresistibile. Ed è un bel momento, che lei scandisce con una breve canzone.

Il ritmo della vicenda resta sempre sostenuto ed evita l’impasse delle situazioni ripetitive. Inoltre, l’enfasi sull’elemento fisico, corporeo, delle relazioni conflittuali non abusa di un verismo gestuale imitativo. Una rinnovata dichiarazione reciproca d’amore chiude lo scontro fra i due avversari esemplari. L’avventura che veniva annunciata come “esplorazione dei misteri dell’eros” in effetti svolgeva una lunga lezione di fisiologia sessuale. Allo spettatore lasciava soprattutto il senso di un’insoddisfazione, analoga a quella provata dai protagonisti delusi dai loro giochi frustranti e noiosi.   



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