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Una casa di bambola

di Claudio Passera
  Una casa di bambola
Data di pubblicazione su web 02/03/2016  

Da centoventicinque anni Nora Helmer si affaccia sulle scene dei teatri italiani, raccontando ad ogni recita qualcosa in più del suo carattere, tanto nordico quanto passionale, delle sue costose ambizioni di donna di buona società, delle speranze di vite mai vissute al di fuori del suo ben ordinato salotto borghese, arredato con gusto ma patteggiando continuamente con un risparmio obbligato.

Un soggiorno fortunato, quello in Italia della signora Helmer, che dal 1891 ha goduto delle interpretazioni delle migliori attrici del panorama nazionale, da Eleonora Duse a Mariangela Melato, e della messinscena dei maestri della “regia critica”, da Giorgio Strehler a Massimo Castri, fino a Beppe Navello e a Luca Ronconi.

Quando il pubblico prende posto in sala per assistere a Una casa di bambola ha dunque già diverse idee su Nora, sul suo rapporto con il marito-padrone Torvald, sull’inconfessabile desiderio che suscita sul timido e riservato Dottor Rank, e sullo sporco segreto della cambiale falsa che divide con il suo ricattatore, il procuratore Krogstad. Se poi ha letto il Profilo di Henrik Ibsen di Franco Perrelli (Edizioni di Pagina 2006) o Ibsen. L’opera e la fortuna scenica di Roberto Alonge (Le Lettere 1995) possiede anche un po’ della strumentazione critica utile a indagare le simmetrie di rapporto tra i personaggi dell’opera, a sondare la profondità del loro animo, a cogliere lo spessore e il peso delle parole troppo forti, troppo taglienti e oneste con cui i due coniugi chiudono a un tempo la commedia e il loro disastroso matrimonio.

Eppure, davanti all’allestimento prodotto dal Teatro Franco Parenti di Milano e dalla Fondazione Teatro della Toscana per la regia di Andrée Ruth Shammah si rimane sorpresi una volta di più di quanto il testo di Ibsen abbia ancora da dire al pubblico contemporaneo attraverso la molteplicità delle sue possibili letture. Proprio dal testo parte il lavoro della Shammah, che ne firma la traduzione incalzante e moderna, senza cadere nel naturalismo, maturata nel confronto tra la versione di Alonge (BUR 2009), quella inglese di Franck McGuiness (Faber & Faber 1996) e quelle più datate di Maurice Prozor in francese (Le Livre de Poche 1968) e di Anita Rho in italiano (Einaudi 1963). Essa ha il grande pregio di concentrare l’attenzione sulle parole chiave che rivelano la natura dei profili umani scolpiti dall’autore nella lingua norvegese. Come il “meraviglioso” pronunciato ben quindici volte da Nora, che svela a poco a poco il gioco seducente e ingannatore della protagonista, sospesa tra il sogno di un avvenire felice dopo la promozione del suo uomo a direttore di banca e le menzogne con cui intreccia i rapporti tra i tre maschi della pièce, orchestrandone le illusioni e ottenendo da loro ciò che desidera.



Un momento dello spettacolo
ŠTommaso Le Pera

Maliziosa, astuta e gustosamente femminile è dunque la Nora di Marina Rocco, dotata d’un aggraziato e calzante physique du rôle e capace di gestire la tensione emotiva di uno spettacolo complesso. Le si può solo eccepire il tono di voce troppo acuto, che la limita un poco negli sfumati delle espressioni dei sentimenti. Regge molto bene però il confronto con Filippo Timi, che la regista sceglie come interprete dei tre ruoli di Helmer, Rank e Krogstad. Decisone audace, tanto per i necessari adattamenti del copione, quanto per lo sforzo richiesto all’interprete, chiamato a portare sulla scena tre maschi dalla virilità molto differente. Convincono il suo Torvald, signorile padrone di casa ed energico signore della scena, e il dottor Rank, dal fare garbato e dalla passionalità trattenuta; poco Krogstad, che avremmo preferito meno monolitico e meglio sbozzato. Gli si affianca un’eccellente Mariella Valentini nel ruolo di Christine Linde, donna matura dalla voce calda, che fa da perfetto pendant alla Helmer della Rocco. L’impresa di Timi resta comunque eccezionale e affrontata con la professionalità necessaria a provare come l’animo umano sia complesso, volitivo, molteplice e abbia in sé un mare di opposti sentimenti, pronti ad affiorare se stuzzicati dalla grazia sensuale di una donna.

La scelta della Shammah supera egregiamente la prova della scena e non sfigura nel confronto con il Nora alla prova di Ronconi, che nell’adattamento presentato nel 2010 al Teatro della Corte di Genova volle la Melato nel duplice ruolo di Nora e Christine. La sua regia rilegge Ibsen in maniera sagace e accattivante, mettendo al centro il maschio reso fragile dal cambiare dei tempi, dei ruoli e dei rapporti con la femminilità.

Una lettura così audace rischia però alcune volte l’eccesso. Grottesca la tarantella indiavolata ballata da Timi nel secondo atto, in cui la tradizione ci ha insegnato a riconoscere il gesto estremo dello sconvolgimento psicologico di Nora, qui, a quanto pare, ridotta a un animalesco sfogo della virilità di Torvald.



Un momento dello spettacolo
ŠTommaso Le Pera

Spiace anche un certo gusto del ridicolo nell’intonare alcune battute, che diffondono un senso di comicità diffusa tra gli spettatori, così che nei passaggi di maggiore tensione, nei violenti dialoghi tra i coniugi Helmer si è portati ad attendere, inutilmente, la smorfia, il detto simpatico che stemperi la situazione.

Eleganti i costumi di Fabio Zambernardi e le scenografie rosa confetto di Gianmaurizio Fercioni per il salotto di Nora, minacciato dalla grande porta sulla parete di fondo, da cui entrano di volta in volta i personaggi che turbano il difficile equilibrio domestico, e la neve, che tutto avvolge in un silenzio inevitabile, fino al finale, in cui il tetto degli Helmer si squarcia e il suo bianco candore invade la scena. Raggelante conforto dei furori di Torvald.




Una casa di bambola
cast cast & credits
 
Si rimanda per un confronto alla recensione di Casa di bambola per la regia di R. Valerio di scena al Manzoni di Pistoia


 
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