Da
centoventicinque anni Nora Helmer si affaccia
sulle scene dei teatri italiani, raccontando ad ogni recita qualcosa in più del
suo carattere, tanto nordico quanto passionale, delle sue costose ambizioni di
donna di buona società, delle speranze di vite mai vissute al di fuori del suo
ben ordinato salotto borghese, arredato con gusto ma patteggiando continuamente
con un risparmio obbligato. Un
soggiorno fortunato, quello in Italia della
signora Helmer, che dal 1891 ha goduto delle interpretazioni delle migliori
attrici del panorama nazionale, da Eleonora Duse a Mariangela Melato,
e della messinscena dei maestri della “regia critica”, da Giorgio Strehler
a Massimo Castri, fino a Beppe Navello e a Luca Ronconi. Quando
il pubblico prende posto in sala per assistere a Una casa di bambola ha
dunque già diverse idee su Nora, sul suo rapporto con il marito-padrone
Torvald, sullinconfessabile desiderio che suscita sul timido e riservato
Dottor Rank, e sullo sporco segreto della cambiale falsa che divide con il suo
ricattatore, il procuratore Krogstad. Se poi ha letto il Profilo di Henrik
Ibsen di Franco Perrelli (Edizioni di Pagina 2006) o Ibsen.
Lopera e la fortuna scenica di Roberto Alonge (Le Lettere 1995)
possiede anche un po della strumentazione critica utile a indagare le
simmetrie di rapporto tra i personaggi dellopera, a sondare la profondità del
loro animo, a cogliere lo spessore e il peso delle parole troppo forti, troppo
taglienti e oneste con cui i due coniugi chiudono a un tempo la commedia e il
loro disastroso matrimonio. Eppure,
davanti allallestimento prodotto dal Teatro Franco Parenti di Milano e dalla
Fondazione Teatro della Toscana per la regia di Andrée Ruth Shammah si
rimane sorpresi una volta di più di quanto il testo di Ibsen abbia ancora da
dire al pubblico contemporaneo attraverso la molteplicità delle sue possibili
letture. Proprio dal testo parte il lavoro della Shammah, che ne firma la
traduzione incalzante e moderna, senza cadere nel naturalismo, maturata nel
confronto tra la versione di Alonge (BUR 2009), quella inglese di Franck
McGuiness (Faber & Faber 1996) e quelle più datate di Maurice Prozor
in francese (Le Livre de Poche 1968) e di Anita Rho in italiano (Einaudi
1963). Essa ha il grande pregio di concentrare lattenzione sulle parole chiave
che rivelano la natura dei profili umani scolpiti dallautore nella lingua
norvegese. Come il “meraviglioso” pronunciato ben quindici volte da Nora, che
svela a poco a poco il gioco seducente e ingannatore della protagonista,
sospesa tra il sogno di un avvenire felice dopo la promozione del suo uomo a
direttore di banca e le menzogne con cui intreccia i rapporti tra i tre maschi della pièce, orchestrandone le illusioni e ottenendo da
loro ciò che desidera.
Un momento dello spettacolo ŠTommaso Le Pera Maliziosa,
astuta e gustosamente femminile è dunque la Nora di Marina Rocco, dotata
dun aggraziato e calzante physique du rôle e capace di gestire la
tensione emotiva di uno spettacolo complesso. Le si può solo eccepire il tono
di voce troppo acuto, che la limita un poco negli sfumati delle espressioni dei
sentimenti. Regge molto bene però il confronto con Filippo Timi, che la
regista sceglie come interprete dei tre ruoli di Helmer, Rank e Krogstad.
Decisone audace, tanto per i necessari adattamenti del copione, quanto per lo
sforzo richiesto allinterprete, chiamato a portare sulla scena tre maschi
dalla virilità molto differente. Convincono il suo Torvald, signorile padrone
di casa ed energico signore della scena, e il dottor Rank, dal fare garbato e
dalla passionalità trattenuta; poco Krogstad, che avremmo preferito meno
monolitico e meglio sbozzato. Gli si affianca uneccellente Mariella
Valentini nel ruolo di Christine Linde, donna matura dalla voce calda, che
fa da perfetto pendant alla Helmer della Rocco. Limpresa di Timi resta
comunque eccezionale e affrontata con la professionalità necessaria a provare
come lanimo umano sia complesso, volitivo, molteplice e abbia in sé un mare di
opposti sentimenti, pronti ad affiorare se stuzzicati dalla grazia sensuale di
una donna. La
scelta della Shammah supera egregiamente la prova della scena e non sfigura nel
confronto con il Nora alla prova di Ronconi, che nelladattamento
presentato nel 2010 al Teatro della Corte di Genova volle la Melato nel duplice
ruolo di Nora e Christine. La sua regia rilegge Ibsen in maniera sagace e
accattivante, mettendo al centro il maschio reso fragile dal cambiare dei
tempi, dei ruoli e dei rapporti con la femminilità. Una
lettura così audace rischia però alcune volte leccesso. Grottesca la
tarantella indiavolata ballata da Timi nel secondo atto, in cui la tradizione
ci ha insegnato a riconoscere il gesto estremo dello sconvolgimento psicologico
di Nora, qui, a quanto pare, ridotta a un animalesco sfogo della virilità di
Torvald.
Un momento dello spettacolo ŠTommaso Le Pera Spiace
anche un certo gusto del ridicolo nellintonare alcune battute, che diffondono
un senso di comicità diffusa tra gli spettatori, così che nei passaggi di
maggiore tensione, nei violenti dialoghi tra i coniugi Helmer si è portati ad
attendere, inutilmente, la smorfia, il detto simpatico che stemperi la
situazione. Eleganti
i costumi di Fabio Zambernardi e le
scenografie rosa confetto di Gianmaurizio Fercioni per il salotto di
Nora, minacciato dalla grande porta sulla parete di fondo, da cui entrano di
volta in volta i personaggi che turbano il difficile equilibrio domestico, e la
neve, che tutto avvolge in un silenzio inevitabile, fino al finale, in cui il
tetto degli Helmer si squarcia e il suo bianco candore invade la scena.
Raggelante conforto dei furori di Torvald.
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