Di
sipario in sipario saffonda fino allultima stazione, quando contro un fondale
scuro e screpolato oscilla lentamente, come da sé, la sagoma lunga,
rettangolare duna ghigliottina che diventa perciò il simbolo di quanto è
avvenuto, lultimo personaggio della storia e della Storia.
Ma
il sipario, anzi i sipari ne ho contati quattro sormontati da arlecchino
fisso sono rossi, quindi oltre ad aprirsi e chiudersi nel mezzo, oscillare, gonfiarsi
e sgonfiarsi al soffio di invisibili venti come quando Lucile/Irene Petris rimasta sola col piccino
dopo luscita, per la platea, del marito, Camille Desmulins/Denis Fasolo, è attanagliata da dubbi e
premonizioni , lampeggiano, sinsanguinano, diventano nero o color oro. Nero
dietro alle spalle di Robespierre/Paolo Pierobon,
durante lultimo colloquio-scontro con Danton/Giuseppe Battiston, mentre resta rosso dietro quelle del
protagonista; tutto nero per la scena shakespeariana della crisi con sdoppiamento
dellincorruttibile; oro quando si chiude dopo che Danton ha pronunciato dalla
balaustra degli accusati durante il processo del secondo tempo la sua
arringa comizio eroizzante alla folla, che siamo noi spettatori, con solo lappendice di voci registrate che ci
accerchiano.
Giuseppe Battiston (Danton), Paolo Pierobon (Robespierre)
© Mario Spada
Le
luci, fondamentali per ottenere questi e altri effetti, sono di Pasquale Mari, storico compagno di
strada di Mario Martone dai tempi
di Falso Movimento ma i sipari sono suoi, del regista/scenografo
moltiplicando quello rosso di Rasoi,
sipario-mare che indietreggiava ondeggiando e scoprendo via via i
personaggi-relitti duna Napoli inferica e orfeica. Di quello spettacolo mitico
dei Teatri Uniti la regia teatrale di Martone/Toni Servillo (1991), quella filmica del solo Martone (1993)
questo conserva non solo il sipario, qui però spaccato e da spaccarsi nel
mezzo, che diventa il modulo scenico di costruzione dei diversi ambienti, ma
anche alcuni attori, Roberto De
Francesco/Philippeau e Iaia Forte/Julie,
i quali daltra parte appartenendo al vivaio di Teatri Uniti sono anche attori
servilliani, specialmente il primo, compagno davventura di Toni fin dal Teatro
Studio di Caserta negli anni Settanta. Ad essi si unisce il Paolo Graziosi/Payne filosofeggiante
nelle galere (già Filippo nella Trilogia
della villeggiatura di Servillo) e Alfonso
Santagata/Lacroix (già compare del Franco manager dei rifiuti in Gomorra). Questo non per togliere alla
carriera individuale di ciascuno i cecchiani Graziosi e Santagata,
questultimo autonomo sperimentatore con Claudio
Morganti e poi da solo ma per individuare la natura di un ensemble gigantesco ma famigliare. Non
si dimentichi che Cecchi è stato
Cacciopoli nel primo film di Martone, Morte
di un matematico napoletano (1992) ed Edipo, sempre per la regia di Martone,
in La serata a Colono della Morante (2013).
Infatti,
a questa famigliarità partenopea dellenorme compagnia (trenta attori, alcuni
con doppie o triple parti) saggiunge quella stanziale dei giovani provenienti
dal vivaio di Malosti: la bella e
brava Beatrice Vecchione/Marion e, di
maggiore esperienza, la sunnominata Lucile/Petris dellultima mandata
ronconiana. Dirò poi dei due protagonisti antagonisti Danton-Robespierre; per
adesso noto come la diversa provenienza dal nord al sud non emerga, come
linsieme sia armonico di voci e di movenze assecondando il ritmo chiaro e
scandito dello spettacolo (due tempi, il primo terminante con la suggestiva
immagine dei personaggi/attori che cantano la Marsigliese, con un
pannello-maschera che ne taglia le teste, il secondo dalla prigione alla
ghigliottina), anche se qualche critico disavvertito si è meravigliato dellintonazione
napoletana di alcuni popolani, che non è un vezzo registico ma unoperazione
storica: come rendere la parlata di rivoluzionari popolani, oltretutto pronti a
voltar gabbana, nellOttocento, se non in napoletano?
Al centro Paolo Pierobon (Robespierre). Dietro, in alto da sinistra
Roberto Zibetti, Mario Pirrello, Pietro Faiella, Fausto Cabra
© Mario Spada
Ma
per tornare alle scene, ai sipari, questi non solo incorniciano, scandiscono la
successione di quadri anche alla lettera in cui si distribuisce il
bellissimo testo di Büchner e di cui neppure una parola va sprecata nella
messinscena, rendendo un ottimo servizio a unopera poco rappresentata. Se si
finisce con la ghigliottina che oscilla, si incomincia a sipario chiuso, il
primo, con Danton/Battiston che dalla sinistra oscilla un po anche lui,
bicchiere in mano, fuori testo, conducendoci per stazioni successive ovvero
successive aperture nella casa dove sallunga soltanto un canapè depoca
chiaro su cui è sdraiata e da cui si muove Lucile/Petris, per un dialogo
dominato dai toni duna crisi appesa a una complicità di coppia; poi nel
salotto equivoco dove il protagonista sinoltra, con unapertura su amplessi,
per conversare svogliatamente e significativamente coi compagni di cordata che
lo frequentano. Due colonne sbrecciate in stile neoclassico stanno a indicare
linizio della rovina rivoluzionaria, un divano e un tavolino con poltrone descrivono
metonimicamente lambiente.
Qualcuno
ha scritto che il cinema di Martone ha influito su questo gioco di primi,
secondi piani e campi lunghi. Vorrei ricordare
che il regista napoletano è prima di tutto teatrante, di ricerca, e proprio le
sue di Falso movimento dove domina una tecnologia semplice ma abbinata ai
corpi degli attori stanno a dimostrare come si usi piuttosto, poi, il cinema,
come altra faccia del teatro. I giochi di sipari cui saggiungerà qualche
attrezzo efficace come linquadratura della grata di ferro per la prigione o, ancora
più suggestiva, la finestrella quadrata sospesa in alto dietro la quale sintravvede
in basso la messaggera della ciocca di capelli della moglie e davanti si
staglia la figura in controluce di Danton rivelano che si fa teatro con i
mezzi del teatro, che prima del cinema sapeva con immediatezza stabilire i
piani. E daltronde Martone per primo considera separate le due arti. La
dinamica dei sipari dinamico è tutto lo spettacolo è guidata da due
movimenti, uno dallesterno allinterno e viceversa, perché più ci si avvicina
al pubblico più ci si confida, e uno che gioca con il mezzo velluto, come una
tenda resa cornice.
In primo piano a destra Iaia Forte (Julie Danton) e Giuseppe Battiston (Danton). Dietro da sinistra Gloria Restuccia,
Claudia Gambino, Massimiliano Speziani
© Mario Spada
Il
fine, oltre che scenografico, è di creare diverse prospettive che includano la
sala, più ancora del passeggiare degli attori/personaggi fra il pubblico, del
vocio popolare alle sue spalle. Pensiamo per il primo tempo alla struttura
del comitato di salute pubblica, e a quella, per il secondo, del tribunale. Il
tavolo dietro cui siedono i membri ci dà le spalle come loro, così che ci
sentiamo parte di quella scena, a maggior ragione quando Robespierre/Pierobon
si alzerà per parlare e parlando circumnavigherà il tavolo da vari punti
guardandoci in faccia. In questa scena si notano sul lato sinistro la coppia
silenziosamente dissidente Lacroix-Philippeau: luno, Santagata anche regista
collaboratore della pièce ,
sindividua anche soltanto per come fuma e per la parrucca sghimbescia, laltro,
De Francesco, per gli atteggiamenti che ricordano il suo Misantropo. Quanto
alla scena del processo, per dare profondità sono disposti in orizzontale da un
lato (a sinistra) e dallaltro (a destra) il banco dei giudici e quello degli
imputati, ossia tutti i cosiddetti moderati che il rigore robesperiano e il
fanatismo di Saint-Just (infiammato Fausto
Cabra) ha messo alla sbarra. Così che da questa sbarra Danton/Battiston
possa fare il suo risentito discorso al pubblico popolare, eccitandolo, rivolto
verso di noi. Un discorso che contrasta per passione e retorica con le parole e
i toni usati una scena prima, nella sua casa oramai cosparsa di panni bianchi
sui pochi arredi, dove il protagonista si mostra ironicamente rassegnato è la
cifra stilistica di Battiston alla ghigliottina. Ma la rassegnazione di
questo gigante anche nel physique du rτle non è
passività bensì delusione per gli esiti della rivoluzione sognata e
insanguinata, debolezza dei sensi che insegue la gioventù e la bellezza (nella
scena con la fanciulla che si ignuda e si bagna fino ai capelli in una tinozza
marattiana), trasandatezza nel vestire e nel bere. Il personaggio acquista
dunque una valenza duplice: sul fondo dun umorismo amaro che lo connota fino
alla morte sinnesta la coscienza della propria grandezza, che si manifesta
proprio nella scena del tribunale.
Al
polo opposto si colloca naturalmente il Robespierre di Pierobon, che si staglia
al suo primo apparire come nera sagoma nel costume elegantemente attillato
(come gli altri di Ursola Patzak).
Una delle caratteristiche dello spettacolo e del regista è quella di riempire
di azioni fisiche o di comportamenti le parole del testo. Questo avviene nella
contrapposizione fra il disordinato Danton e lordinatissimo Robespierre. Il
testo è magnifico, dun romanticismo sturmundranghiano che allude a e fa
rivivere la crisi del razionalismo settecentesco, così come questo spettacolo
sinquadra sia nellepoca del plot
sia in quella del suo autore, smussandone leopardianamente le angolosità
germaniche, per mostrarne la contemporaneità. Per continuare a dire delle
consonanze fra parola e costume, ad esempio, davanti a un Danton che parla del
rigore vestamentario di Robespierre si profila, perché i due sono di profilo
rispetto al pubblico, la silhouette nera di Pierobon; oppure, quando
Julie/Forte nella scena del suicidio parla dei volti che si scolorano, tiene
in mano il candelabro abbassandolo lentamente in modo che il suo viso sappanni
e dilegui.
Scena di insieme. Al centro con il braccio alzato
Paolo Pierobon (Robespierre)
© Mario Spada
Pierobon
ha avuto molti applausi, meritatissimi, ma non sarebbe potuto essere lui così
netto nella dizione come nei gesti, così gelidamente efficace nella sua
eloquenza tribunizia se non ci fosse stata dallaltra parte la finta
approssimazione, raffinata, di Battiston. I due hanno inoltre una scena
shakespeariana a testa: il primo nellamletico primo piano che lo coglie alla
ribalta, avanti la condanna definitiva dellaltro, finché non arretra e ci fa
vedere con tutto il corpo la sua follia ipercristologica; il secondo nella
scena privata e notturna con la moglie, quando rievoca quel terribile “settembre”
che ha dovuto operare ma il cui fiume di sangue ora vorrebbe arrestare.
Che
dire ancora? Uno spettacolo perfettamente organizzato e orchestrato ogni
personaggio, anche i minori, ha il proprio posto e valore , che ci avvicina un
testo di due secoli fa, anche attraverso le Operette
morali, e senza attualismi di maniera ce ne mostra, ahimè, la continuità.
Basta pensare a una scena che potrebbe passare inosservata, quella dietro le
quinte del processo, ovvero davanti a noi, quando si confabula su come
contraffarlo e vincerlo. Una scena a tutti gli effetti di borghesi (nonostante
le due teste romane intere ai lati) privi di qualsiasi afflato non dico
rivoluzionario ma neppure riformista; che potrebbe proprio continuare oggi nei
siparietti dei nostri parlamentari.
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Morte di Danton
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Giuseppe Battiston (Danton)
Paolo Pierobon (Robespierre)
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