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Piace al ricco vincere facile

di Gianni Poli
  Il trionfo del Dio Denaro
Data di pubblicazione su web 29/01/2016  

Lo scontro allegorico fra Denaro e Arte, fra potere corruttivo e onestà persuasiva, è proposto da Marivaux in una pièce poco conosciuta, Le Triomphe de Plutus (1728); divertente e intelligente per i dialoghi acuti e martellanti e per il finale in musica. La morale della favola deriva dall’esito della scommessa posta da Plutone (Dio Denaro) ad Apollo (Dio Artista e Intellettuale) e risulta educativa, sia per il Secolo dell’Autore, sia per i giorni nostri. La seduzione della ricchezza ha la meglio sulle sollecitazioni di Bellezza, Intelligenza e Amore. Vince e stravince Plutone, nella conquista del premio femminile in palio. Pago e contento della supremazia dimostrata, si gode il trionfo, quando risale all’Olimpo da cui era sceso in dorata mongolfiera. Vittoria celebrata dagli umani rimasti sulla terra, toccati e convertiti dalla pioggia dorata delle sue elargizioni.

Il regista Beppe Navello (anche traduttore, con soluzioni pregiate, di un testo ricco di insidie lessicali e semantiche) ha meditato a lungo il progetto, lo ha realizzato nel 2015 e ora in tournée così lo motiva: «Quando nel 1997 ho letto per la prima volta quello che sembrava un esile atto unico, mi sono ritrovato fra le mani una favola morale di straordinaria, esemplare efficacia nel rappresentare in modo fulmineo la capacità corruttiva del denaro e come succede spesso ai grandi classici, nel far traspirare dalle parole un’aria di sempiterna contemporaneità». Nella durata di un’ora, lo spettacolo di Teatro Piemonte Europa lascia un senso di dolce-amaro, perché conferma la cedevolezza alla tentazione d’ogni persona umana, assieme a un’abilità rappresentativa convincente. Una prova preparata e ben riuscita grazie al suo gruppo di attori ancora giovani, ma coscienti e maturi. L’armonia degli elementi scenici, figurativi e musicali, in rapporto alla resa recitativa, offre un’interpretazione di sostanziale aderenza filologica e di notevole spontaneità comunicativa.


Un momento dello spettacolo
© Lorenzo Passoni

La trama dichiarata, la conquista di una donna da parte degli Dei rivali manifestatisi sotto falsi nomi e sembianze umane, si svolge rapida e inesorabile, in perfetto equilibrio fra azione e reazione, fra i sentimenti nobili e gli interessi venali dei protagonisti. Il dispositivo scenico di Francesco Fassone consiste in un cielo bianco, nuvoloso e incombente e in un piano inclinato che delimita l’esterno d’una ricca dimora, quella di Armida, signore zio e tutore di Aminta, la giovane due volte corteggiata. Dal fondo e dalla quinta emergeranno i Musici, per l’Aria dell’Intermezzo, dedicato da Apollo/Ergasto ad Aminta e il Vaudeville del gran finale. Sono distinti e caratterizzati i personaggi, dalla rilevata corrispondenza fra gestualità e parola e dai costumi di bellezza essenziale, con particolare luminosità colorata nella veste di Aminta. Belle analogie o contrasti raffinati, vengono tessuti per gli scambi interpersonali. Così, il primo incontro fra Plutone e Apollo sottolinea opposizioni convenzionali. 

La ricchezza appare strafottente e millantata nella postura, nel contegno e nella dizione rude di Alberto Onofrietti, in marsina nera: il nome Richard dell’originale trova in Riccardo un vero “riccastro” attuale. Apollo/Ergasto conta sull’esaltazione di virtù e cultura. Lo impersona Camillo Rossi Barattini con eleganza e tatto un po’ naif e una compitezza che non lo abbandona nemmeno all’evidenza dello smacco. Sottili le armi linguistiche del loro duello, ricamato a colpi di fioretto e con volgarità nel contrattacco di Riccardo, che fa allusioni sessuali e si permette di orinare (di spalle) in pubblico. Diego Casalis è un Armida di logica impassibile nel fiutare il tornaconto, e trasgressivo, con un cappello da cowboy, quando viene trascinato nella festa pagata dal Dio. L’Aminta di Daria Pascal Attolini, che è Diva e Musa per Ergasto e carne fresca sul mercato, per Riccardo, resta costante nella bellezza inamidata della gonna a guardinfante e negli occhi sgranati sui gioielli avuti in dono di cui s’agghinda. La freddezza della sua risposta è persino indecente, alle profferte più rozze e al lusso ostentato. Per femminilità s’impone invece la scaltra semplicità di Spinetta, viva nella personalità di Eleni Molos, sempre tempestiva all’occasione e all’umore mutevole dei padroni. Piace molto anche Stefano Moretti, l’Arlecchino valletto di Ergasto, che citando sobriamente la maschera ereditata da Vicentini/Thomassin (in Compagnia con Luigi Riccoboni a recitare Marivaux da vivo), insegue, con ruote e capriole, il cibo e la paga, sempre razionati e dilazionati.


Un momento dello spettacolo
© Lorenzo Passoni

Lo spettacolo diventa decisamente corale e ancor più attraente, nel Divertissement scandito dai couplets del Vaudeville in incalzante rimario, che il pubblico può leggere su un rotolo stampato, svolto a lato del proscenio. La musica originale di Germano Mazzocchetti dalle note d’epoca coglie accordi ed echi e li evolve in anacronistica operetta o musical moderno, composto di ritmi sudamericani, di swing e di ragtime. Nell’episodio conclusivo spicca Cristina Arcari, non più Damina in parrucca, ma chanteuse ironica e sensuale. Mentre la gioia, contagiosa per tutti, s’esprime anche nella danza, la sua voce sancisce ancora la potenza pervasiva del Denaro e concorre a commentare la situazione precaria dell’Autore di Teatro, soggetto a tanti limiti e in definitiva sospeso alla risposta del giudizio inappellabile dello spettatore.  



Il trionfo del Dio Denaro
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