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Due poveri clowns, ridicoli e belli

di Gianni Poli
  John e Joe
Data di pubblicazione su web 26/01/2016  
Non immaginavo che un’autrice famosa, ma a me pressoché sconosciuta, raggiungesse un’essenzialità così profonda, evidenze di semplicità tanto toccanti e vere. È dunque sorprendente assistere allo spettacolo, diretto da Valerio Binasco, nella traduzione di Pietro Faiella, che parte dall’originale francese del testo, datato 1972, della scrittrice d’origine ungherese trasferitasi in Svizzera. Gli interpreti sono due attori dai talenti già noti e dalle potenzialità tutt’altro che esaurite, in grado di apportare alla composizione comune risorse personali ben tipicamente individuate. È infatti uno spunto drammatico esile, quello del dialogo di Agota Kristof, che fa appello a risorse mimiche a tecniche recitative fondamentali e composite, dalla pantomima alla modulazione e alla deformazione vocali, compresa un’intelligente inclinazione imitativa (nel ricordo probabile di Stan Laurel e Oliver Hardy, o di Charlot) di modelli classici, entrati nel repertorio comico universale. Il regista li assume come clowns (o maschere odierne) quando dichiara: «Clown e fool sono personaggi speciali che prendono su di sé tutto il ridicolo degli uomini senza giudicarlo, quasi senza accorgersene. La gente che li osserva si riconcilia con il ridicolo e impara a scoprirne la bellezza».   

John e Joe sono i nomi dei due personaggi colti in situazioni attuali ed emblematiche. Due clochards, legati da amicizia condizionata (e condizionante) dalla povertà e dalla lotta per la sopravvivenza. Il loro rapporto, reso nei tre momenti dell’Atto unico, è di azione e reazione spontanee, nello scopo condiviso di un’elementare di solidarietà. Eppure i nonsensi e gli equivoci comici che lo percorrono (monologo a due voci, nel quale la ricerca del senso della vita passa per i motivi del legame che forma la coppia) mostrano individualità irriducibili, scontri inevitabili e riconciliazioni altrettanto necessarie, se non obbligate. La vicenda segue un canovaccio apparentemente casuale, ma di logica drammaturgica stringente. Nel primo incontro, i protagonisti sono seduti al tavolino di un bar (unica, semplice scenografia) e il bicchiere d’acqua, il caffè, la grappa che bevono assieme, sono i soggetti profondi, espressivi di un disagio e di un bisogno di comunicazione e di affermazione vitale. Conduce il gioco John, un Nicola Pannelli dalla finta sicurezza e di solerte iniziativa. Gli risponde Joe, nell’impaccio e lo smarrimento d’una grave mancanza di autostima, che Sergio Romano rappresenta come ferita del corpo, tant’è che negli arti somatizza ingenuità e improntitudine, aggiustandone ossessivamente la postura. L’argomento discusso è l’origine di povertà e ricchezza, così mal distribuite da apparire accidentali e comunque incomprensibili. Al momento del conto, attingendo agli spiccioli di entrambi, comunque insufficienti, John entra in possesso d’un biglietto della Lotteria comprato da Joe. I consumatori se la svignano senza pagare. Al secondo incontro, John vestito a nuovo, offre da bere e da mangiare all’amico, stupito da tanta generosità. Discutono di finanza e John gli rivela di aver vinto alla Lotteria proprio grazie al suo biglietto fortunato. Allora avviene in Joe uno scatto intuitivo e decisivo: per «mettersi nei panni» del compare che glielo chiede metaforicamente, scambia veramente con lui i vestiti. Il portafoglio pieno di John passa di mano e il debitore ormai nullatenente viene fatto arrestare dal Cameriere (qui invisibile). La storia finisce col terzo, abbreviato incontro, in cui John esce dal carcere e trova Joe, rinnovato nell’aspetto e nel vestito, che gli offre un bicchierino e gli rivela di avere egli stesso versato la cauzione che lo ha liberato. 

È l’epilogo di un apologo ricco e sapido d’invenzioni linguistiche e gestuali, frutto dell’abilità mimetica e fantastica di Pannelli, serioso e burbero John e di Romano, stralunato e puntiglioso Joe di calibrata nevrosi. Grazie alla paziente e lucida composizione di moventi interiori e scopi espressivi, creata da Binasco (che elimina l’attore-Cameriere e lo sostituisce col suono dei suoi passi e di un campanello, registrati), la doppia unitaria performance riesce avvincente, scandita nella misura rigorosa e persuasiva di un balletto di tenera e sostanziosa poeticità. Sicché un poco anch’io mi  riconcilio col ridicolo della mia (e loro, fraterna) umanità.



John e Joe
cast cast & credits
 

La locandina dello spettacolo
La locandina dello spettacolo



 
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