Da
almeno una decina danni ogni film di Woody Allen è guardato con scetticismo sia dai detrattori a priori (mai domi) sia
dai fan che sperano ancora, invano, in un nuovo Manhattan (1979) o in un Io e Annie (1977). Sugli ultimi film del regista newyorkese è stato scritto e
detto di tutto, ma raramente ci si è preoccupati di metterli in relazione,
cercando il fil rouge di opere
temporalmente contigue – eppure incredibilmente distanti – come Match point (2005), Basta che funzioni (2009), Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (2010) e Blue Jasmine (2013). A fronte di unestetica riconoscibile sin dal font dei titoli di testa, dietro la più
recente produzione alleniana si cela una molteplicità di riflessioni spesso complementari
tra di loro. È un mosaico di piccoli racconti morali che dietro alla linearità
della trama e allelementarità della regia racchiudono una riflessione etica in
continuo divenire.
Le trame si svuotano, si allungano (talvolta fiaccandosi), e anche il numero
dei personaggi si riduce. In Irrational man
i protagonisti sono quattro, e già la locandina preannuncia che lattenzione del
film sarà tutta incentrata su di loro. Abe (Joachin Phoenix) è un docente di filosofia appena assunto alluniversità
di Newport, in Rhode Island. Alcolizzato, deluso dalla vita, incapace di amare (nonostante
le donne siano irresistibilmente attratte dal suo spirito autodistruttivo), è
un personaggio perfetto sia per lesistenzialismo pessimista di Allen che per la
recitazione inquieta di Phoenix. Di lui si invaghiscono Jill (Emma Stone), giovane studentessa che per
suo amore lascia il ragazzo (Jamie
Blackley), e Rita Richards (Parker
Posey), professoressa dalle tendenze ninfomani. Un bel giorno Abe decide di
vendicare il torto subito da una donna che ha perso la custodia dei suoi figli a
causa di un giudice corrotto. Grazie allassassinio di questultimo il
protagonista potrà ritrovare il proprio equilibrio psicofisico e dare un nuovo senso
alla sua vita.
Una scena del film
Irrational man entra di diritto nel
filone dostoevskiano (o bergmaniano, se preferiamo) della filmografia di Allen.
Impossibile non ravvisare in Abe il Raskolnikov di Delitto
e Castigo. Entrambi i personaggi, tormentati e rancorosi, cercano
nellomicidio una sorta di riscatto alla loro misera esistenza. Sanno di
rischiare la condanna e, soprattutto, di scivolare nel senso di colpa, ma è un
rischio calcolato: sullaltro piatto della bilancia cè la libertà.
Se in Match
point (2005) e in Sogni e delitti
(2007) è proprio lassenza di una condanna a generare il rimorso dei
protagonisti, se in Crimini e misfatti
(1989) mancano sia pena che pentimento, qui il delitto si configura addirittura
come vera e propria palingenesi del protagonista, sorta di catarsi che lo rende
improvvisamente serafico, imperturbabile: preoccupato, sì, dallidea che
qualcuno possa essere condannato al posto suo, ma in fondo pronto senza troppi
turbamenti a partire per lEuropa con Rita, la quale, pur essendo quasi certa
di un suo coinvolgimento nel crimine, si guarda bene dal voler sapere la verità.
Una scena del film
Verità
che invece cerca di ricostruire Jill, interpretata da unintensa Emma Stone
(già nel cast del precedente Magic in the
moonlight). Il suo percorso è speculare a quello dellamato: dallistinto
di un amore irrazionale capace di tollerare il crimine al ritorno al principio
di giustizia. Il confronto-scontro con Abe invade il quadro, confinando
qualunque elemento di contesto sullo sfondo, spesso fuori fuoco, o ancora fuori
campo, come i due libri di poesie che lui le regala. Ed è proprio in questa
simbolica estromissione del logos,
dei raffinati argomenti filosofici con i quali Abe giustifica e sublima il suo
delitto, che Jill ritrova una sorta di morale istintiva, riconoscendo il male
dietro la sua banalità.
Lennesimo film di Woody Allen, dunque? A livello formale, è difficile negarlo:
il regista usa gli strumenti che conosce, riproponendo il suo cinema
performativo come si indossa un abito elegante ormai sbiadito, ma lo fa per
elaborare una visione del mondo sempre più complessa. La sua arte, per dire
altrimenti, si fa testimone di un perpetuo divenire filosofico, nonostante – e
forse addirittura grazie a – la ricorrenza di forti marche di enunciazione.
Nelle
produzioni degli ultimi anni le risate si attenuano; ma non per rassegnazione o
nichilismo, bensì per una specie di estatico distacco. Ormai ottuagenario, lAllen
di oggi non è più il viveur ironico ed
egocentrico degli anni Settanta, ma un pensatore solitario, da ascoltare e da
capire. Pur non essendo il suo film più riuscito, Irrational Man sprigiona un anelito alleterno, allimmortalità: mettendo
in ridicolo la storia del pensiero umano, il regista se ne riappropria e la
rielabora, fino a rielaborare sé stesso e il suo rapporto con la morte. Angosciato
da un sentimento di horror vacui,
Allen si interroga sulla possibilità, in un mondo dominato dal caso, di
forgiare una propria morale. Fosse anche, appunto, la morale del killer.
|
|
|
|
Irrational man
|
|
|
|
La locandina del film
Il regista Woody Allen
|
|
|
|