Lo spettacolo è frutto di studio
minuzioso e adeguata gestazione; di fedeltà al testo, né deviato né stravolto, tanto
meno tagliato, nella traduzione di Danilo
Macrì. Appaiono subito chiari sia lo stile, giovanile ma originale, del
drammaturgo, sia i moventi dei protagonisti e degli interlocutori, riassumibili
nellignavia e nellirresponsabilità che producono angoscia e che conducono
Nicolaj Ivanov alla disperazione.
Continuano in tournée le rappresentazioni di Ivanov da parte duna compagnia valente
e coesa da esperienze comuni, suscitando tuttavia qualche perplessità e
limpressione di durata eccessiva per ridondanza. Le tre ore compreso
lintervallo sono il risultato della tendenza a sottolineare in ogni episodio tanti
segni e connotati didascalici. La recitazione segue variazioni ritmiche, in
crescendo specialmente, creando furie e bonacce di un oceano metaforico, della
vita che fluttua comune, banale e drammatica, in quella provincia russa in
profondo mutamento. Nobili decaduti e nuovi (o aspiranti) ricchi non sintendono
e i più deboli accettano succubi la sconfitta come un destino. Nel suo primo
dramma impegnativo (1887) Čechov lo ha
già sentito e capito.
Un momento dello spettacolo
© Michele Lamanna
Filippo Dini e compagnia intendono restituire il fascio di
sentimenti, paure e incertezze da cui sono investiti i personaggi e
condividerne lumanità in crisi. In tale quadro ideologico e sociologico, il
regista dà spazio scenico specifico a ognuno dei quattro atti. Con Laura Benzi compone altrettanti luoghi
– con cambi a vista – per condizioni diverse, che suscitano malessere e senso
di decadenza in ambienti dalle tinte scure e screziate. Le luci del tramonto
allaperto illuminano i primi incontri problematici; poi diventano rossastre
nel salotto di Lebedev, quando catalizzano il clima duna squallida
depravazione. Il regista amplifica in genere il sottotesto, prolungando e
dilazionando leffetto drammatico. Il quarto atto, giudicato «rapidissimo e concitato»,
dà un senso di impaziente attesa, più che di suspense per il colpo di scena (e di pistola) del suicida. La scelta
intesa a profitto degli interpreti, chiamati a giocare di virtuosismo, va a
scapito della rapidità esecutiva, quando il potenziale comico del dramma si dispiega
in variazioni farsesche, in numeri affidati alla creatività dellinterprete. Certe
situazioni contraddittorie avrebbero potuto risolversi nel grottesco più netto
e altre essere informate alla originaria leggerezza dautore: «La commedia mè
riuscita lieve come una piuma, senza una sola lungaggine».
Un momento dello spettacolo
© Michele Lamanna
Laspetto più divertente di Čechov
sembra comunque manifestarsi (pure contrastato dalla costante malinconica) nei
ritratti personali ben definiti e nelle interazioni delle loro diverse tonalità.
Sia negli scontri comici, sia nei nodi più problematici, si concentrano gli
a-solo, i duetti e le scene-madre, quali la dichiarazione damore di Saša a
Ivanov, la rivelazione della gravità della malattia ad Anna (che tramortita
crolla e resta a terra, vittima del suo amore sprezzato), il suicidio, in
scena, di Ivanov. Sono momenti esemplari delle incertezze, dei dubbi
irrisolvibili della vicenda. A partire dalla condizione di Ivanov che, per Filippo
Dini attore, è irresoluto tormentato, enfatizza gli errori e i relativi sensi
di colpa e sarrovella sulle cause del proprio male senza affrontarle. Sara Bertelà incarna in Anna Petrovna un
difficile compromesso, quasi un ossimoro nellesprimere amore e ragione: «È una
che pensa e una che ama», asserisce lattrice in unauto-intervista (condivisa
con i colleghi, nel Programma). Così
infonde dolce allegria al suo comportamento, pure nel presagio di morte, lei
malata incurabile. Sempre vestita di bianco, è vittima e testimone
dellabbandono, resa fantasma dal marito disamorato e traditore. Nicola Pannelli è un Conte zio, burbero
e libertino, di forte presenza vocale e qualche compiacimento per valore
aggiunto. Il Dottor Lvov è reso monocorde da Ivan Zerbinati, ripetitivo e isolato in unonestà esibita e
inefficace.
Eppure, accanto alla sua
paziente, è un ottimista rappresentante del «mondo nuovo». Gianluca Gobbi fa di Lebedev un notabile volgare e beone, nel deluso
ricordo degli ideali giovanili condivisi con Ivanov. Sua moglie Savišna è Orietta Notari, disinvolta e malata davarizia
e di una venalità che intacca laffetto per la figlia Saša. Questultima è
interpretata da Valeria Angelozzi,
dalla giovinezza un po affettata. Innamorata fino da bambina di un uomo maturo
e positivo, sappassiona ora a salvarlo dalla depressione. Eccentrica, rispetto
ad altri allestimenti, è la Babakina, che Ilaria
Falini fa sembrare più giovane e davvero “allegra” vedova: una cacciatrice
di mariti, bambola ballerina, in costume variopinto. Verve particolare Fulvio Pepe trasmette allamministratore
Borkin, lunico a liberarsi da dilemmi e condizionamenti e a trarre vantaggio
dai guai altrui. Lattore lo vive dichiaratamente come un essere lontano, un
doppio da “eseguire” piuttosto che un personaggio da imitare. Perciò la sua
resa è tanto diretta e convincente. Lo spettacolo in corso suscita il ricordo
di almeno due precedenti edizioni memorabili: quelle con la regia di Andrée Ruth Shammah (protagonisti Franco Parenti e Lucilla Morlacchi. Salone Pierlombardo, 1978-79) e con la regia di Marco Sciaccaluga (con Gabriele Lavia e Daniela Giordano. Teatro Stabile di Genova, 1995-96).
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