Entrando nella sala Aldo Trionfo
del Teatro della Tosse, si viene subito immersi in unazione rumorosa e
concitata: Efesto, il fabbro derubato del fuoco da Prometeo, e Cratos, figura
mostruosa del Potere, eseguono lordine di condanna emesso da Zeus contro il
ribelle temerario. Una nota musicale, bassa e ruggente e percussioni, in un
impasto di
heavy metal, sostengono il
ritmo della coinvolgente sequenza iniziale di questo adattamento di
Emanuele Conte dellopera di
Eschilo.
Limpianto scenico, unico e
fisso, consiste in unimpalcatura per edilizia, chiusa da una grata. Al centro
pendono catene con le quali viene brutalmente immobilizzato il fedifrago eroe. È
un giovane attore, seminudo, dai muscoli in risalto, quasi un Cristo, una
figura sacrificale tratta da immagini di repertorio di orrori consueti. La
procedura di incatenamento dura a lungo ed è chiusa dalle martellate che
inchiodano il condannato. Sbigottito, ma non domato, Prometeo tenta una spiegazione
dei motivi del suo castigo. Mentre sadatta a un equilibrio penoso e precario
(per cui devessersi giovato dellaiuto dell
acting coach Paolo Antonio
Simioni, nel mantenere posizione eretta da crocifisso), considera le
conseguenze del suo gesto generoso e illuminato verso lumanità e contro la
crudele insensibilità e la gelosia di Zeus. La gratuità del dono si confronta con
linsensatezza del dispotismo incontrato. Si evoca la conquista intelligente
della libertà di fronte allautorità cieca.
Un momento dello spettacolo
© Donato Acquaro
Questi sono il tema e il movente del
protagonista, nel finale della Trilogia sul Potere allestita da Conte e che, da
Antigone e attraverso Caligola, giunge alla ribellione radicale contro la
divinità. Il titolo scelto per lultima prova propone unestensione della
figura mitologica fino a designare lo scontro assoluto, lantagonismo che
oppone luomo a Dio. Ecco allora il Coro delle Oceanine raffigurato in un
attore vestito da donna, con un fazzoletto in capo, da devota cattolica filmata
dal neorealismo. Quel Corifeo allestisce un altarino, dal quale offre
preghiere. Ma a quale Dio? Il vecchio Zeus o il nuovo Salvatore?
Lalta figura del Re Oceano,
tutta bianca e ornata duno strascico in plastica rifulgente lungo molti metri,
discende la platea ed esorta il prigioniero a chiedere perdono per farsi
liberare. Prometeo ribadisce le sue ragioni e decanta i benefici resi ai
mortali. Il Coro accende candele sullaltare quando irrompe, urlando, Io, già adolescente
sensuale, tramutata da Era in mucca, per avere ceduto alla seduzione di Zeus. La
fanciulla, candida e cornuta, comincia a raccontarsi. Due grandi corna ricurve
le nascono da un casco sul capo, un bellordigno scenografico, fra i costumi creati
da
Daniela De Blasio e realizzati da
Umberta Burroni e
Paola Ratto (allieve di
Lele Luzzati, si capisce). La
sventurata, una bella e flessuosa
Alessia
Pellegrino, è mossa da una continua danza, in unagitazione forse indotta
dalla puntura del Tafano, altro castigo di Era. Chiede a Prometeo notizie sul
suo avvenire e Colui-che-prevede, un
Gianmaria
Martini dal semplice, convincente fervore rivoluzionario, le rivela le
sofferenze che precederanno il coronamento glorioso della sua vicenda. Ultimo,
appare Ermes in mezzo a statue stilizzate di uomini.
Un momento dello spettacolo
© Donato Acquaro
Inizia un dibattito fra due
visioni, in cui il portavoce del Padre-Padrone (così più volte è definito Dio)
tenta di fare rinsavire lostinato contestatore. Risuonano parole prese
dalluso quotidiano, unica contaminazione linguistica concessasi
dalladattatore e regista, che usa espressioni attuali, anacronistiche rispetto
alle antiche. La profetica profondità di Eschilo ha seminato il suo
insegnamento, la sua parola ha già posto il suo dilemma eterno sul senso
delluomo. La reazione di Ermes alla coerenza di Prometeo è quella di un
(troppo) saggio servitore duna concezione ingiusta e caduca. Lo interpreta
Enrico Campanati (che era stato, in
precedenza, Creonte di fronte ad Antigone e Cherea di fronte a Caligola) ridotto
a sfogare, nella distruzione dei simulacri umani, una rabbiosa impotenza.
La scelta definitiva delleroe pare suscitare per incanto le condizioni
della liberazione. In effetti, è per virtù propria, per fedeltà a oltranza alla
propria vocazione (e non per intervento di Eracle, figlio di Io) che, quando
tenta di sciogliersi dai lacci, le catene cadono facilmente. Linconsistenza
del potere e la vanità dei riti di pietà sono dimostrate. Sicuro e vittorioso,
Prometeo si gode il successo, lo gusta salendo lentamente il corridoio
gradinato ed esce dalla sala. Uno spettacolo con molte semplificazioni e
qualche ridondanza simbolica e ingenuità. Ma non semplicistico, anche se devia
dallessenziale motivo drammatico delloriginale, il conflitto fra gli dei,
estranei ai mortali. Testo e rappresentazione di “attualità”, secondo un
umanesimo evidentemente ispirato sia a
Goethe,
sia a un cristianesimo neo-evangelizzato. Con attori – i più giovani, in
particolare – che dallimmaturità traggono energia e sincerità espressive, capaci
di conquistare lo spettatore. Applausi a scena aperta, anche dai molti “addetti
ai lavori” presenti alla prima.