Un delirio, alimentato da
frustrazione e indignazione, anima il personaggio di Minetti nellomonima
commedia dedicata da Thomas Bernhard
al suo interprete prediletto, il longevo attore tedesco Bernhard Minetti (1905-1998). Un discorso sui personali
risentimenti durato tutta la vita dellautore austriaco, un atto di accusa alla
società del proprio tempo, testimonianza (ossessiva, patologica) damore per il
Teatro. Amore contrastato per unArte Drammatica che ha perseguito in
alternativa contraria a quella della tradizione dei Classici. Dunque, una
drammaturgia del secondo Novecento che diventa verbosa per troppa passione, in
rifiuto e negazione dei valori vigenti.
Agli interpreti Bernhard impone
una scrittura versificata e senza punteggiatura, da cui estrarre ritmo e senso
originali. Il modello di riferimento del regista resta Re Lear di Shakespeare,
nel quale trova unestrema identificazione con una figura che supera le contingenze
dei gusti e delle mode; soprattutto, però, quellopera rappresenta la follia
come risoluzione creativa delle contraddizioni esistenziali. Il testo, del 1976,
è principalmente monologante, ma prevede lintervento di numerose comparse in
ascolto del protagonista il quale, immerso nel proprio alter ego, si aspetta almeno una risposta funzionale ai suoi slanci,
alle sue elucubrazioni e rievocazioni dolorose, fra rabbia e disprezzo. Si
susseguono, così, tristi riflessioni su unArte destinata a scomparire,
soffocata dallincomprensione degli uomini.
Un momento dello spettacolo
© Bepi Caroli
Il Minetti di Bernhard si fa
esempio vivente di questa scomparsa e annientamento, in opposizione al
fortunato artista reale ricco di doti e riconoscimenti. Il protagonista,
infatti, è la quintessenza delle sciagure applicate alla sua dolente
suscettibilità da unumanità gretta e corrotta. Il suo pregiudizio sul mondo e sui
suoi abitanti è inappellabile, proclamato con un linguaggio aspro, apodittico,
ripetitivo: segno di una nevrosi che lattore – nellattesa di unultima
possibilità di riabilitazione artistica – quasi coltiva e che finisce per
subire tragicamente, suicidandosi.
Marco Sciaccaluga è partito fiducioso nella straordinaria
disponibilità di Eros Pagni e ne ha
orientato la capacità compositiva, mimetica e organica, nel creare un ruolo
tanto complesso. Pagni simpegna in unintrospezione intelligente della
passionalità turbata del suo modello. Ne ricostruisce i passaggi mentali (angosce,
rammarichi, bilanci), le ferite sentimentali e i traumi psichici. Egli offre
così un fenomeno paradossale, duplice come quello ideato dallautore, nel mostrare
un grande attore italiano, ammirato in cinquantanni di carriera, che
interpreta la versione “rovesciata” (quindi “in negativo”) del Minetti, grande e acclamato attore tedesco.
Pagni rende tutto ciò con dovizie di mezzi interpretativi e semplicità
di effetti, senza indulgere a dispiegare le rilevanti risorse imitative
sviluppate negli innumerevoli ruoli profondi e ardui già affrontati. Quasi mai
si cita, né dà dellartista da vecchio (qui una persona invecchiata dal trucco)
unimmagine vigorosa negli impulsi e nei toni espressivi. Quando lo sdegno
prevale, anche il volume fonico sale. Le occasioni di scambio sono diverse: la
confessione alla Signora in rosso diventa a volte suadente e complice. Con la
giovane che aspetta linnamorato, trova unaffettuosa vicinanza, una
familiarità che lo accosta davvero a un Lear che si rivolga paterno a Cordelia.
Un momento dello spettacolo
© Bepi Caroli Lo spettacolo, fortunatamente e
responsabilmente, non è soltanto affidato al protagonista e misurato sul suo alto
talento. La resa della figura centrale evita il calco naturalistico, quale era
stato adottato nella prima versione italiana del 1984 (Teatro Stabile di
Bolzano, regia di Marco Bernardi);
messinscena per certi versi memorabile, sebbene la recitazione di Gianni Galavotti, nel ruolo del titolo,
seguisse la via rischiosa della parodia del mattatore allitaliana. Ora Pagni
rattiene lenfasi e prosegue la sua polemica demolitrice con malizia sottile,
fino al sarcasmo e allautoironia.
Linsieme della rappresentazione
è inserito nel progetto scenografico di Cartherine
Rankl, che utilizza limpianto girevole per dislocare il punto di vista
dello spettatore. Latrio dellHotel Ostend è il luogo in cui Minetti attende
il Direttore che gli ha promesso un ritorno alle scene e in cui, nella notte di
San Silvestro, transitano persone anonime eccitate dalla Festa. Lattesa diventa
occasione di incontri fuggevoli, ma rivelatori dello stato al limite del
protagonista. Egli arriva riparandosi da una tormenta, una tempesta che riecheggia
quella del Re Lear e che apparirà metafora
delle vicissitudini del Minetti direttore teatrale, condannato per non avere
onorato la cultura classica.
Lenorme valigia che lo accompagna contiene i suoi beni significativi:
ritagli di giornali e la maschera – foggiata da James Ensor – del Lear interpretato in gioventù. Sono appunto le
casuali (ma nellinsieme funzionali) entrate delle comparse mascherate a distinguere
gli episodi del ricordo narrato, a sottolinearne i culmini di sofferenza e
passione. Sono proprio il Portiere (Marco
Avogadro), il Facchino (Nicolò Giacalone), la Signora in rosso (Federica Granata) e la Ragazza che aspetta
(Daniela Duchi) a fornire appoggio silente e intenso ai pensieri in
libertà nello sproloquio dellattore disperato. Una rappresentazione
tesa e tormentata, chiusa dalla morte quando si posa sul volto gelato dellattore,
solo sotto la neve, la maschera grottesca di Lear.
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