Che il teatro
sia catarsi è certo da almeno due millenni e mezzo, che sia anche salvifico non
è poi esperienza così immediata e men che mai scontata. Accade raramente, ma
quando accade è un evento che non può essere sottaciuto, né condannato
alloblio, che tutto offusca e livella. Nel teatro dellUniversità di Ferrara, nel
quale grazie allimpegno convinto e generoso di Daniele Seragnoli larte più antica del mondo si rinnova da circa
un quarto di secolo, la Cantica delle
donne, messo in scena dal regista greco Michalis Traitsis con alcune detenute del carcere veneziano della
Giudecca, ha smosso le coscienze dei numerosissimi spettatori. Nella casa natale
di Savonarola, nella quale per
nemesi storica è rinata la “vanità” teatrale sotto le vesti di teatro sociale, quattro
donne, quattro vite disperate, pasolinianamente violente, accompagnate da una polistrumentista
e cantante dalla voce calda, hanno officiato uno straordinario rito. Il rito
dellinnocenza teatrale, saturo di unautenticità sconcertante.

Un momento dello spettacolo ゥ Andrea Casari
Si potrebbe
scomodare Artaud per dire quanto
necessario sia questo teatro e quale esperienza liberatoria possa costituire,
si potrebbe parlare della biopolitica foucaultiana e chiamare a raccolta
ideologi e teorici delle forme rappresentative, ma a nulla servirebbe. Occorre
essere di fronte a queste attrici, umili e semplici, ed essere investiti dalla
loro tracimante umanità. Farne esperienza. Qui nel contenuto rettangolo di un
palcoscenico che vibra di quellinnesto raro, eppure preziosissimo, di ricerca
e di didattica, una prodigiosa energia femminile ha coinciso per una sera perfettamente
con lenergia teatrale, e una vitalità debordante e oltre misura è uscita fuori
dai corpi e dalle voci fino ad investire la platea, immersa in un silenzio
partecipe e attento. Da principio recitano da sedute, poi si avvicinano al
leggerissimo sipario fatto di corde di spago che rigano i loro corpi, rimando fin
troppo efficace agli spazi concentrazionari entro cui sono costrette a vivere. Non
soltanto per questo lo sguardo fiero, potente delle quattro donne, una
marocchina, una rumena, una rom, una italiana, confeziona uno spettacolo di
forte e inusitata potenza. Come per un sortilegio, adeguatamente preparato dal
lungo e paziente lavoro laboratoriale di Michalis Traitsis, brevi sequenze
monologanti affidate alla memorizzazione superano arditamente lo scoglio linguistico.
Gesti pochi, precisi, essenziali, narrano le molte privazioni e le poche gioie,
i troppi sogni e i desideri struggenti, la nostalgia della libertà e
dellerotismo rimosso da queste vite e da questi corpi negati. 
Un momento dello spettacolo ゥ Andrea Casari
La
drammaturgia spontanea intreccia ricordi e sfoghi ironici, mescola danza e
musica, interseca scrittura collettiva e persino poesia, come lintensa Sii dolce con me. Sii gentile di Mariangela Gualtieri. Il dire le
proprie più intime sofferenze, impastandole di sonorità mediterranee (gli
splendidi canti siciliani intrecciati con quelli arabi), rende sopportabile la
condizione di recluse rese libere per il tempo inconsistente di una
rappresentazione. Come documenti del loro inossidabile dolore, si appendono i
testi, come si fa con il bucato, poi dopo aver sciorinato il male, si ritorna
al proprio posto per ascoltare quello altrui. Non indossano maschere e non sono
personaggi, sono sé stesse, persone che si offrono in tutta la loro sorprendente
umanità, donne autenticamente nude, senza sovrastrutture, che diventano dei
potenti contravveleni al teatro troppo omologato dei professionisti e alla sua funzione
prevalentemente ipnotica, per usare la frase che Andrea Zanzotto applicava al linguaggio. Come statue sedute su
sgabelli, guardano il pubblico, quasi lo scrutano con una dignità e una
fierezza particolari: più che “reggerne”
lo sguardo, lo “attraversano”. Ed è così che fanno
toccare il dolore vero, rendendolo percepibile, trasformandolo in tangibile
portato emozionale. Ed è per questo che le loro lettere performate,
testimoniali, sono in grado di formare una comunità di ascolto sensibile e di attivare
uno scambio alla pari. Complice la musica e catturati dal canto di Lara Patrizio, ci si affranca dalla
nostra acquiescenza ai più vari automatismi e si bandiscono gli stereotipi.
Allora il teatro è rinascita, rinnovamento, è vita che si autoalimenta e prende
nuove forme, è persino guarigione per chi lo fa e per chi vi assiste.
Oltre la
soglia dellangoscia, anche secondo il dettato lacaniano, cè il teatro. Arte
delloltre, dellattraversamento dei corpi e delle esistenze, il teatro
consiste nel superare il limite, nellessere un fuori norma indispensabile per
accettare la dimensione normata dellesistenza. Superfluo aggiungere che ciò
che qui ha valore non è il teatro in senso astratto, bensì la ricerca del
teatro e delle sue potenti e misteriose radici, incarnate lontano dai contesti
ufficiali, in spazi universitari nei quali al di là di pregiudiziali e radicati
steccati allignano caparbiamente la pratica e lo studio, due inscindibili volti
di quellunica, composita medaglia che chiamiamo teatro.
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