drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Un coro danzante, in viaggio verso l’infinito

di Carmelo Alberti
  odissea
Data di pubblicazione su web 29/09/2015  

Tra le misteriose pieghe dell’esistenza umana s’annida la vocazione a viaggiare, un passaggio necessario per la conoscenza di se stessi mediante il confronto con il mondo: si parte, senza poter prevedere cosa accadrà e senza più sapere cosa ci si lascia alle spalle. Alla fine, mentre si diventa migranti e mentre cresce il desiderio di tornare, l’individuo si ritrova profondamente cambiato. Nel viaggio predomina l’incertezza; è un’azione che stravolge l’immaginazione perché, mentre si procede, si smarrisce il senso del tempo cronologico e si precipita nel tempo assoluto, quello del mito. Allora, si aspira a trovare un approdo, una meta, una patria, una casa dove sia possibile vivere la quotidianità. È questo il destino di Odisseo che, come canta il poema di Omero, percorre i mari pensando al ritorno; pertanto, non meraviglia se le vicende di un eroe tramutato in esule risultino consone ai segnali della contemporaneità.


Un momento dello spettacolo 
© Franco Lannino / Studio Camera
Un momento dello spettacolo 
 © Franco Lannino / Studio Camera

Lungo tale traccia procede Odissea – Movimento n. 1, studio liberamente tratto dal poema di Omero, l’ultima prova drammaturgica di Emma Dante, rappresentata, dopo l’esordio nel luglio scorso a Palermo, nell’ambito del 68° ciclo di spettacoli classici al Teatro Olimpico di Vicenza, festival del quale la Dante è direttrice artistica. La regista continua a frequentare con particolare attenzione alcuni “movimenti” significativi del tracciato omerico: l’aveva già fatto nella passata stagione, sempre all’Olimpico, scrivendo e recitando un’intrigante riflessione sulla teatralità, intitolata Io, Nessuno e Polifemo – intervista impossibile. Stavolta, elabora un’efficace immersione nella tematica della lontananza con la collaborazione degli allievi della Scuola dei Mestieri dello Spettacolo del Teatro Biondo di Palermo.  

In scena vi sono, infatti, ventidue giovani attori che agiscono all’unisono sullo schema di un racconto parodistico, governato dall’ingenuità del gioco e dall’energia del loro temperamento. Danzano, cantano, si travestono, si spogliano e si mascherano, definendo un giovanile ordito drammatico, in linea con l’interminabile tela che Penelope tesse e disfa giorno dopo giorno. Sta proprio lì in quel tessuto nero e trasparente, un sudario generato dai telai che le fide ancelle muovono senza sosta per contrastare il trascorrere dei giorni, il nucleo centrale della messinscena. Gli interpreti costituiscono il coro di un delirante e avvincente componimento satiresco. Mimano le orge dei Proci, esseri «maleducati, vili, rozzi e volgari» – come li descrive l’autrice – che insozzano le stanze del palazzo, deridono l’ingenuo Telemaco e assediano l’inflessibile Penelope. Somigliano agli attuali ragazzi del branco che ruttano, spernacchiano, si masturbano, si sfidano, rimarcando con il loro pasoliniano parlato in dialetto siciliano l’insensibilità di chi non sa sognare. Sogna, invece, Telemaco, sospinto dal soffio benigno di Atena a navigare in cerca del padre; sogna la regina solitaria, che non dimentica le carezze del consorte, i suoi abbracci, la sua autorità; sogna la nutrice che vorrebbe fermare lo slancio di Telemaco verso l’avventura; sogna energicamente Odisseo, imprigionato dai filtri dell’oblio preparati da Calipso, la dea che, a suo modo, sogna di assaporare l’eternità dell’eros tra le braccia dell’eroe smarrito.


Un momento dello spettacolo 
© Franco Lannino / Studio Camera
Un momento dello spettacolo 
 © Franco Lannino / Studio Camera

La maestria di Emma Dante emerge dalla capacità di governare una rappresentazione che esalta l’energia fisica dei suoi sorprendenti allievi: i loro corpi in movimento tracciano una danza che percorre incessantemente la scena vuota fino a renderla abitata. Il canto, che si basa su nenie ideate e musicate dagli stessi esecutori, a cominciare da quelle di Bruno Di Chiara, autore di due trascinanti canzoni, Rapimi la porta e TerrAmare, si trasforma in ritualità: diventa irruente, quando la coralità allude al violento battere alla porta di una donna che non intende arrendersi. Altrettanto esemplare è la scena in cui s’avvolge e si srotola il lunghissimo velo-sudario che sembra seppellire la protesta di Penelope. Il coro simula il vasto orizzonte, e basta l’acqua di una bacinella in cui i protagonisti immergono, di volta in volta, il volto e le mani, per alludere alle insidie del mare.

All’improvviso, le voci modulano una filastrocca che segnala la fine dell’adolescenza e l’ingresso nell’età delle responsabilità. E, poi, gli attori si agitano al ritmo del rap, ondeggiano al suono di musiche new age (Close Cover di Wim Mertens), recuperando reminescenze dei maestri del teatro-danza; volano sulle onde del mare, tuffandosi spensierati, mentre le strisce di tela che simulano le onde si mutano in pagine bianche sulle quali scrivere le lettere che Penelope invia a colui che non ritorna. Nel breve arco dello spettacolo ciascun protagonista modifica la propria fisionomia, persino gli dei dell’Olimpo che simulano i comportamenti degli uomini. Infine, l’insieme di corpi seminudi resta allineato in un ordito di braccia proteso verso l’infinito, in un «movimento» che riconduce gli esseri verso le proprie origini.




Odissea – Movimento n. 1, studio liberamente tratto dal poema di Omero
cast cast & credits
 


© Franco Lannino / Studio Camera
© Franco Lannino / Studio Camera






































© Franco Lannino / Studio Camera
© Franco Lannino / Studio Camera



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013