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Remember

di Sara Mamone
  Remember
Data di pubblicazione su web 14/09/2015  

Tra i più complessi e meglio articolati film della mostra di Venezia 2015 Remember (Ricordati) di Atom Egoyan affronta uno dei grandi problemi della storia del Novecento, e anche uno dei grandi problemi della società odierna: quello, come il titolo invita a fare con maniera imperiosa, della memoria. Memoria collettiva e storica, quella che ha l’obbligo di ricordare i misfatti perpetrati durante la seconda guerra mondiale e che uno strisciante negazionismo tende a cancellare. Ma anche memoria individuale, più dolorosa e fragile, soggetta a un deterioramento che quella collettiva può arginare.  Indissolubile dal tema della memoria quello della vendetta (frequentato sistematicamente dal cinema nel corso dell’ultimo trentennio). E, anch’esso indissolubile da quello del passare del tempo, il tema della vecchiaia. Il tempo scorre inesorabilmente e si fanno sempre più concreti i rischi che tutto vada in prescrizione: tutto ciò che si è subito e tutto ciò che si è perpetrato. Che vittime e carnefici spariscano per sempre. Benjamin August, soggettista e sceneggiatore, afferra i suoi protagonisti tra gli ultimi sopravvissuti dell’Olocausto, sull’orlo, appunto, dell’abisso dell’oblio e dà al regista una solidissima storia, con tinte di giallo.

Una scena del film.
Una scena del film

Il protagonista raccoglie in sé tutti i temi annunciati: è un vecchissimo ebreo sopravvissuto al campo di Auschwitz, espatriato negli Stati Uniti dove si è fatto una vita con la moglie Ruth da cui ha avuto un figlio ben inserito nella società americana. Col passare degli anni la sua memoria tende ad affievolirsi e, dopo la morte della moglie, si rende necessario un ricovero in un pensionato dove ritrova un vecchio compagno di prigionia che, ancora lucidissimo, ne diventa in qualche misura il tramite col mondo e con la non placata sete di vendetta. E così il giorno del suo novantesimo compleanno il vecchio, con precise istruzioni scritte dall’amico, parte alla ricerca dell’antico aguzzino che, mutato nome, è anche lui espatriato dopo la guerra e si è rifatto una vita. Poiché però non poche sono le omonimie, il vecchio, prima di trovare il giusto bersaglio, percorre, tra lampi di memoria e affanni del presente, una buona parte della provincia americana. Pur senza farlo deflettere dal suo proposito questi incontri lo turbano, rendendo sempre più incerto il suo procedere e ponendo sempre più insistentemente nella coscienza dello spettatore il dubbio sulla impeccabilità del suo procedere. La stretta finale arriverà come una mazzata, con una sorpresa che è doveroso non rivelare.


Una scena del film.
Una scena del film

La complessità della trama trova una formidabile sponda nella scelta stilistica di un procedimento narrativo classico nel quale Egoyan rinuncia a ogni esibizionismo virtuosistico e si concentra sulla recitazione dei suoi straordinari interpreti, peraltro quasi sempre in esclusivo rapporto drammaturgico e dialogico con il protagonista. Che è un Christopher Plummer superlativo,  perfetto in ogni mutamento dell’animo, senza un’esibizione né una sbavatura, degnamente accompagnato dall’inerme arrendevolezza di Bruno Ganz e dalla mefistofelica fermezza di Martin Landau, vero burattinaio di questa danza macabra.



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La locandina del film.
La locandina del film




 
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