Avremmo voluto che il film di Marco Bellocchio ci piacesse. Avremmo
voluto che uno dei grandi del nostro cinema ci desse unopera convincente e
suggestiva come le sue ultime, come la bellissima “ri-creazione” della nascita
del fascismo e delle sue patologie in Vincere.
Abbiamo sperato che potesse affascinare pubblico e critica e avere
finalmente a Venezia, dopo quello sempre un po malinconico alla carriera, il
maggior premio con quella che aveva preannunciato come “una resa dei conti”. E
forse una resa dei conti il film lo è, ma una resa dei conti assolutamente
personale, nel senso di privata, sua, con i suoi fantasmi, le sue memorie, il
paese della sua infanzia, i suoi parenti, in primis i suoi figli. Che ogni
opera darte sia comunque autobiografia lo sappiamo da tempo e quindi non è
certo leccesso autobiografico che disturba in unopera che ha proprio
nellautobiografia quel poco di emozione che siamo riusciti a provare. Il film
nasce alla fine di un lungo e proficuo cammino insieme didattico e memoriale. Tornato
ormai da molti anni a Bobbio, paese della sua infanzia ormai depurato nella
memoria da emozioni troppo violente, il regista vi ha impiantato un
fertilissimo laboratorio estivo che piano piano gli ha fornito materia per una
originale stagione creativa di cui ha fatto protagonisti i familiari più vicini
e gli attori più familiari con i quali ha
costruito unoriginalissima forma di cinema “privato” culminata nelle uscite
pubbliche del work in progress con le
belle e compiute puntate di Sorelle e
Sorelle Mai.
Una scena del film Ora
quellamalgama di certezze e di rassicuranti presenze pare avergli dato lispirazione
per affrontare la Storia, la grande Storia, benché a misura di Bobbio: e gli ha
permesso di costruire un dittico tra passato seicentesco e presente
attualissimo. Ma non è che il dittico funzioni, tantè vero che, pur nella
proclamata libertà creativa, il regista cerca poi una sorta di ricomposizione
finale ritornando indietro, al tempo e al personaggio che ha costituito la
nervatura del racconto maggiore: Federico. Il legame è forse da cercare, più
che nelle vicende umane, nello spirito dei luoghi. Comunque la storia, cè,
eccome, e nasce per diretta ispirazione dalla manzoniana monaca di Monza di cui
Benedetta, monaca murata nella prigione convento di Santa Chiara a Bobbio, è la
versione domestica. Benedetta forse non è una strega ma Fabrizio, prete e
fratello gemello di Federico, si è ucciso per amore di lei e non può essere
sepolto in terra consacrata a meno che risultino chiari i legami della giovane
suora con il demonio e quindi Fabrizio venga in certa misura riabilitato. La
famiglia di Federico è potente e tutto il clero che gravita attorno a questa
vicenda allestisce per lei un percorso che la condurrà, innocente, alla
condanna e quindi a essere murata viva. Non prima però di aver acceso anche il
cuore del gemello di cui perderemo le tracce e che ritroveremo soltanto, ormai
vecchio cardinale, nellepilogo quando, richiamato in paese dallultimo
desiderio della murata viva che aveva vissuto decenni in santità, morirà ai
piedi di quel muro, mentre Benedetta, ridiventata giovane e bellissima, uscirà
da quel muro finalmente abbattuto.
Una scena del film
Le scene della cerimonia dellimmuratio e della simmetrica demolizione
sono indimenticabili mentre anche stilisticamente la seconda parte ripete molti
moduli consueti, come consuete sono le ossessioni per le società segrete
(descritte con ben altro vigore ne Lora
di religione) e i fastidi per una società inerte e protetta in cui la
coscienza sonnecchia lasciando al malaffare le redini di ogni cosa. Lispiratore è questa volta il Gogol de Le anime morte ma
il regista sembra andare a tentoni, si fa quasi prendere la mano dalla sua
famiglia di attori che sembrano sopravanzare la fragile vena narrativa, divisi
nei due blocchi ugualmente sgradevoli dei potenti che operano nellombra e
degli stupidi che abitano la piazzetta e i bar del paese. Non manca certo lo
stile, né alcune pagine visive memorabili quali la già ricordata scena dellimprigionamento
della monaca, o la cristallina prova dinnocenza nelle acque limpide del fiume,
o i misteri del castello-prigione. Né mancano gli impeccabili consueti
collaboratori, a cominciare dalla fotografia di Daniele Ciprì, da Roberto
Herlitzka, Toni Bertorelli, Fausto Russo Alesi. Tra i più giovani
vanno citati per ragioni opposte Alba
Rohrwacher, presenza ormai quasi inevitabile ma sempre misurata e
convincente, e Filippo Timi a nostro
avviso completamente fuori registro. Lasciamo in fondo il protagonista
assoluto, Pier Giorgio Bellocchio,
del quale un film così domestico non avrebbe potuto fare a meno.
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