Tharlo
(Shide Nyima), pastore tibetano dalla
memoria di acciaio, viene chiamato dalla polizia locale a registrare il proprio
documento di identità, di cui è privo. Sceso in città, incontra una giovane
parrucchiera (Yangshik Tso), la
quale, venuta a conoscenza del valore economico del suo allevamento di pecore, cerca
di sedurlo e di convincerlo a vendere tutto per partire con lei alla volta di
Pechino. Innamoratosi della donna dopo una canzone damore in un bar-karaoke, il
pastore vende il bestiame
e raggiunge lamata, andando incontro a un drammatico quanto preannunciato epilogo.
Impossibile
non provare simpatia per il personaggio di Tharlo, montanaro naïf alieno ai rituali e alle regole della città, espressione
di quel piccolo mondo neanche tanto antico la cui difficile integrazione con
quello urbanizzato e (relativamente) tecnologizzato della giovane parrucchiera è uno dei principali temi sociali che la Cina
contemporanea è chiamata ad affrontare. Pema,
regista e scrittore tibetano, mette in scena tale contraddizione riadattando un
proprio racconto, pubblicato in una raccolta dal titolo Neige (Editions Philippe Picquier, Arles, 2012), e lo fa attraverso
unestrema dilatazione dei tempi scenici, risolvendo tutta la narrazione in una
trentina di long-takes. A una
maniacale quanto minimale costruzione delle immagini, in bianco e nero, fa da
contrappunto una ostentata stratificazione dei piani sonori, funzionale non
solo a evidenziare la centralità della musica nelle vicende narrate, come
vedremo, ma anche e soprattutto a espandere luniverso visivo, disegnando un complesso
fuori campo attraverso la sovrapposizione di effetti audio. Oltre ai confini
dellimmagine sentiamo il rombo dei motori, il ronzio delle zanzare, il soffio
del vento, il ticchettio dellorologio, e soprattutto la musica, terreno ignoto
per il protagonista, in cui cresce il sentimento amoroso per la ragazza.
Una scena del film
In
città, al contrario, la musica è onnipresente, rumore di fondo costante e indistinguibile
dal brusio in cui essa è inserita. «Andiamo al karaoke, ho imparato tre nuove
canzoni per te!», proporrà Tharlo alla giovane amata la prima sera dopo la sua
sciagurata decisione di vendere tutti i suoi averi. La ragazza, però, ha altri
piani: andare al concerto di un celebre rapper
cinese. La calca di fan che si frappone tra i protagonisti e il performer occuperà non solo il primo
piano visivo, ma anche e soprattutto quello sonoro: il suono, da compimento
dellimmagine, diventa qui elemento drammatico
del film, allo stesso tempo oggetto, causa e fase dinamica dellazione,
fagocitando lex pastore in una massa indistinta di voci e rumori, appiattendo e
neutralizzando la sua “musica interiore”.
Tharlo è un personaggio per molti versi simile al Dersu Uzala di Akira Kurosawa. La sua inadeguatezza alla vita urbana non è di natura
antropologico-culturale, bensì puramente percettiva: non sono tanto le
innovazioni tecnologiche (il microfono, la fotografia), modaiole (il lavaggio a
secco dei capelli, il rap) o sociali
(la carta di identità) a sconvolgere il protagonista, che pur non afferrandone
veramente il senso non vi si oppone; si tratta, piuttosto, della sovrabbondanza
e della banalizzazione del sentimento, dellemozione, di quella musica
“sgranata” con la quale tutti i personaggi (la parrucchiera, il bullo, la
fotografa, il commissario) convivono con indifferenza.
Una scena del film
Quello
di Tseden è un cinema di poesia, che arriva a esprimere con i suoni ciò che
limmagine taglia, appiattisce, nasconde, per lasciare spazio al vuoto, allinconsistenza,
al decentramento (si pensi al volto decentrato dellimmagine della fototessera,
che sembra ammiccare allIda di Pawel Pawlikowski e al cinema di Michelangelo Antonioni). Vuoti e pieni
visivi e sonori: questi gli elementi con cui lautore compone quello che è,
restando allinterno della metafora musicale, un canto disperato, unevocazione
dellamore e del suo potere distruttivo; un romanticismo solo apparentemente in
sordina, che esprime la propria potenza in maniera lenta ma inesorabile,
sfruttando proprio il contrasto con il rigore formale delle immagini filmiche.
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