Abitare il corpo, vivere la città, riscoprire il
gesto: questi, in estrema sintesi, i principi che guidano la Biennale Collage –
Danza 2015, ideata e diretta da Virgilio
Sieni, il quale «sviluppa in maniera organica e diffusa le fasi del lavoro
che hanno segnato il biennio precedente 2013-2014». Fasi, come spiega il
coreografo, che nascono dalla «creazione di laboratori sul corpo», dislocati
nel particolarissimo tessuto urbano della città lagunare, percepita «al pari di
un paesaggio del gesto».
Dignità del
gesto è il titolo di questa
edizione 2015, che dal 25 al 28 giugno ha costruito nello spazio cinetico di
Venezia una “polis” sui generis tra luoghi abitati dalluomo, impronte
lasciate dagli artisti, sguardi occasionali di ignari spettatori. Un originale modo
per cogliere lestrema singolarità della città lagunare, nella quale non è mai
mancata la passione per gli spettacoli e in cui – per citare Ludovico Zorzi e il suo Il teatro e la città. Saggi sulla scena
italiana – «la teatralità
affascinante del luogo, acqua, pietra,
luce, scenografia di spazi, coreografia di folla, faceva il resto» (Einaudi
1977, p. 246).
Quel “resto” si ravvisa, seppur con altri
presupposti, nel desiderio di Virgilio Sieni «di far corrispondere la città ad
un corpo umano e consentire alle tracce depositate dallindividuo nei campi,
calli, camminamenti, edifici, abitazioni,
di essere la base di una nuova visione del corpo e di un nuovo modo di
percepire la danza», il tutto in un
contesto cittadino altamente spettacolare.
Island revisited. Foto di Akiko Miyake
Un intento accolto e recepito in questa Biennale
College – Danza 2015 da ben sedici coreografi, «corrispondenti ad altrettante
pratiche sul corpo», che abitano i cinque Dittici
città, ovvero i campi come luoghi aperti e i loro corrispondenti edifici
storici come luoghi chiusi.
A tali Dittici
si aggiunge la consueta zona dellArsenale, con i suoi spazi ad usum spectaculum e le cosiddette Pratiche – divise in Esperienze, Invenzioni, Agorà, Vita Nova, Memorie, Formazione –
che, in continuità o meno con le due precedenti edizioni guidate da Sieni,
connotano e classificano il piano dellofferta visiva della Biennale Danza.
Non pochi sono infatti i coreografi – già
accreditati, o in procinto di diventarlo, sulla scena internazionale – che
hanno colto la possibilità di realizzare inediti percorsi creativi con i
danzatori e dare vita, sostiene il direttore, «ad una città laboratorio come
metafora dello stare al mondo», inaspettata fonte di ispirazione artistica e
insospettabile occasione di relazione umana.
Gravities. Foto di Akiko Miyake E se fra i nomi, senza far torto a nessuno, vale la
pena di ricordare Laurent Chétouane,
Xavier Le Roy, Cesc Gelabert, Alessandro
Sciarroni, Marina Giovannini, Michele di Stefano, Claudia Castellucci, Emanuel Gat, Salva Sanchis, Yasmine
Hugonnet, su tutti campeggia Anne
Teresa De Keersmaeker, nume tutelare della danza contemporanea. La grande
coreografa fiamminga, a cui è stato consegnato il Leone dOro alla carriera,
meriterebbe un discorso a parte, per limportanza della sua presenza in laguna.
Fra le produzioni di questa edizione della Biennale
Danza, Gravities di Laurent Chétouane, presentato al
Conservatorio Benedetto Marcello, è una creazione incentrata sul peso del
corpo, con Elisa DAmico, Marina Donatone, Giovanna Rovedo, Mareike
Steffens. Nella sala rettangolare, delimitata dal pubblico assiso o seduto
per terra, le protagoniste alternano camminate, corse, incroci, cadute, di una
“coreografia di istantanee”, accompagnate dal respiro e dalla luce del sole che
penetra dalle ampie finestre.
In campo San Maurizio, invece, Island Revisited di Salva
Sanchis su Disjecta Musica e interpretata da Francesca Antonino, Giada
Castioni, Bianca Hyslop, Martyn Lorenc, Serena Malacco: si tratta di una danza fluida e dinamica, che
prende linput dallo spazio per
riempirlo e disegnarlo.
Title in process. Foto di Akiko Miyake Dirty hands
and beauty di Cesc Gelabert in
campo SantAngelo, su musica di Borja
Ramos e pagine madrigaliste, è un bel lavoro “portato in campo” da Elena Ajani, Savina Casarin, Giulia DAntiga,
Samuel Nicola Fuscà, Silvia Giordano, Annalisa Luise, Giulia Pardi;
tutto lo spettacolo è “giocato” su una serie di articolate figurazioni
contemporanee che culminano con del fango spalmato sul viso e sul corpo, a
testimonianza della compresenza di bellezza e sporcizia nelluniverso umano.
Difficile da definire, invece, è Title in process di Xavier Le Roi, messo in scena alla Sala dArmi Arsenale: un
confronto al buio fra il pubblico e gli artisti, anglofoni, che stanno in
posizione seduta. Della coreografia, sviluppata durante un laboratorio tenutosi
tra il 19 e il 29 giugno con diciotto partecipanti di Biennale College – Danza,
non si mostra nulla, e nei venti minuti o poco più di durata non è possibile capire
dove si voglia andare a parare, indipendentemente dallessere o meno in
possesso degli adeguati e richiesti strumenti linguistici.
Quadri dal
Vangelo secondo Matteo di Virgilio Sieni nella Sala delle Colonne di Ca
Giustinian è un estratto del più ampio progetto coreografico in ventisette
quadri – il cui debutto è avvenuto a luglio 2014, nellambito del 9° Festival
Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia – e ora
riproposto in undici quadri, con musica ed esecuzione dal vivo di Michele Rabbia.
Lesperienza nasce dallincontro di Sieni con
interpreti non professionisti di tutte le età, provenienti da varie parti dItalia.
Uomini, donne, vecchi, giovani, bambini, bambine (o meglio ancora, corpi
gesticolanti), danno vita a una sorta di tableau
vivant, in un itinerario fisico e
visivo a cui il pubblico è chiamato a partecipare. Muovendosi a piacere tra i
percorsi segnati e stando attendo a non invadere i rettangoli occupati dai
novelli pantomimi, lo spettatore partecipa dallesterno e dallinterno alla
messa in scena di questi quadri, cogliendo contemporaneamente varie scene del
Vangelo, rese da tonfi sordi, urla, spostamenti, abbracci, adagiamenti. Una
sorta di visioni che riempiono la Sala delle Colonne e prendono possesso dello spazio
per raccontare larrivo dei Magi, la Crocifissione, lIngresso a Gerusalemme,
il Battesimo, i Getsemani, la Pietà tra madri, tra figli, tra coppie.
Quadri dal Vangelo secondo Matteo. Foto di Akiko Miyake Dulcis in
fundo allArsenale, nel Teatro alle Tese, arriva Fase, four movements to the music of Steve Reich di e con la
straordinaria Anne Teresa De Keersmaeker, affiancata dallaltrettanto brava Tale Dolven. Un mito vivente che senza
mezzi termini, al momento della consegna del Leone dOro, sottolinea leffimera
natura della danza, che la costringe ad essere “arte non vendibile”, quindi non
schiacciata dalle esigenze del mercato. Una fotografia nuda, cruda, veritiera,
ma contraddetta dalla stessa De Keersmaeker e dal suo Fase, creato nel 1982 e
considerato allorigine della coreutica contemporanea delle Fiandre, emblema
della personalissima ricerca dellartista. Una “pratica coreografica”
proseguita nel tempo alla guida del gruppo Rosas e ispirata al rapporto tra
musica e danza, tenendo conto dei principi della geometria, delle sequenze
numeriche, degli spostamenti direzionali del corpo nello spazio.
Legati a quattro opere minimaliste del compositore
americano Steve Reich: Piano phase, Come out, Violin phase e Clapping music, i Four movements corrispondono a precise scelte formali nel tipo di
movimenti, nellutilizzo razionale e strategico della scena, nel disegno delle
luci, nei semplici abiti, nellomogenea disomogeneità della composizione. Una
composizione che per ogni fase presenta determinate caratteristiche e si
esprime in frasi brevi, alla stregua di “versicoli” ripetuti, variati e
modulati in sequenze, o in strofe più lunghe, e dove lastrattezza si risolve
nellindividuare lo stretto rapporto analogico tra musica e danza.
In Piano
phase le due protagoniste si muovono sullo sfondo in linea retta e in
cerchio ruotando sul proprio asse, mentre le loro ombre riflesse sul muro
accentuano la dinamicità della danza “tallonata” dalla musica percussiva del
pianoforte; in Come out le donne sono
sedute e tutto avviene con la parte superiore del corpo: busto, braccia e testa
tracciano cerchi continui che riflettono la circolarità della partitura
musicale.
Violin phase è
un virtuosistico solo su un rondò, in cui la ballerina parte da un cerchio
ideale e disegna le linee diagonali e verticali in un turbinare di passaggi e
gesti, accentuati dalla morbida gonna. In Clapping
music, Anne Teresa De Keersmaeker e Tale Dolven tornano a volteggiare sulla
linea retta, ma questa volta davanti al pubblico, e nel rendere sincopati i
movimenti arrivano quasi ad anticipare la musica stessa, in un indescrivibile
gioco sinestetico che coinvolge lo spettatore e fa scattare applausi e
ovazioni.
E se è indubbio, come
sostiene De Keersmaeker, che la danza soffre le condizioni imposte dal mercato,
è altrettanto vero che questa cinquantacinquenne in grandissima forma, eppure
semplice e schiva, dimostra che la vera danza, quella con la “d” maiuscola, non
teme nessuna legge economica.
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