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Biennale Danza 2015

di Gabriella Gori
  Biennale Danza 2015
Data di pubblicazione su web 10/07/2015  

Abitare il corpo, vivere la città, riscoprire il gesto: questi, in estrema sintesi, i principi che guidano la Biennale Collage – Danza 2015, ideata e diretta da Virgilio Sieni, il quale «sviluppa in maniera organica e diffusa le fasi del lavoro che hanno segnato il biennio precedente 2013-2014». Fasi, come spiega il coreografo, che nascono dalla «creazione di laboratori sul corpo», dislocati nel particolarissimo tessuto urbano della città lagunare, percepita «al pari di un paesaggio del gesto».

Dignità del gesto è il titolo di questa edizione 2015, che dal 25 al 28 giugno ha costruito nello spazio cinetico di Venezia una “polis” sui generis tra luoghi abitati dall’uomo, impronte lasciate dagli artisti, sguardi occasionali di ignari spettatori. Un originale modo per cogliere l’estrema singolarità della città lagunare, nella quale non è mai mancata la passione per gli spettacoli e in cui – per citare Ludovico Zorzi e il suo Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana «la teatralità affascinante del luogo, acqua, pietra, luce, scenografia di spazi, coreografia di folla, faceva il resto» (Einaudi 1977, p. 246).

Quel “resto” si ravvisa, seppur con altri presupposti, nel desiderio di Virgilio Sieni «di far corrispondere la città ad un corpo umano e consentire alle tracce depositate dall’individuo nei campi, calli, camminamenti, edifici, abitazioni, di essere la base di una nuova visione del corpo e di un nuovo modo di percepire la danza», il tutto in un contesto cittadino altamente spettacolare.


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Island revisited. Foto di Akiko Miyake

Un intento accolto e recepito in questa Biennale College – Danza 2015 da ben sedici coreografi, «corrispondenti ad altrettante pratiche sul corpo», che abitano i cinque Dittici città, ovvero i campi come luoghi aperti e i loro corrispondenti edifici storici come luoghi chiusi.

A tali Dittici si aggiunge la consueta zona dell’Arsenale, con i suoi spazi ad usum spectaculum e le cosiddette Pratiche – divise in Esperienze, Invenzioni, Agorà, Vita Nova, Memorie, Formazione – che, in continuità o meno con le due precedenti edizioni guidate da Sieni, connotano e classificano il piano dell’offerta visiva della Biennale Danza.

Non pochi sono infatti i coreografi – già accreditati, o in procinto di diventarlo, sulla scena internazionale – che hanno colto la possibilità di realizzare inediti percorsi creativi con i danzatori e dare vita, sostiene il direttore, «ad una città laboratorio come metafora dello stare al mondo», inaspettata fonte di ispirazione artistica e insospettabile occasione di relazione umana.

Chetouane. Immagine di Akiko Miyake.
Gravities. Foto di Akiko Miyake

E se fra i nomi, senza far torto a nessuno, vale la pena di ricordare Laurent Chétouane, Xavier Le Roy, Cesc Gelabert, Alessandro Sciarroni, Marina Giovannini, Michele di Stefano, Claudia Castellucci, Emanuel Gat, Salva Sanchis, Yasmine Hugonnet, su tutti campeggia Anne Teresa De Keersmaeker, nume tutelare della danza contemporanea. La grande coreografa fiamminga, a cui è stato consegnato il Leone d’Oro alla carriera, meriterebbe un discorso a parte, per l’importanza della sua presenza in laguna.

Fra le produzioni di questa edizione della Biennale Danza, Gravities di Laurent Chétouane, presentato al Conservatorio Benedetto Marcello, è una creazione incentrata sul peso del corpo, con Elisa D’Amico, Marina Donatone, Giovanna Rovedo, Mareike Steffens. Nella sala rettangolare, delimitata dal pubblico assiso o seduto per terra, le protagoniste alternano camminate, corse, incroci, cadute, di una “coreografia di istantanee”, accompagnate dal respiro e dalla luce del sole che penetra dalle ampie finestre.

In campo San Maurizio, invece, Island Revisited di Salva Sanchis su Disjecta Musica e interpretata da Francesca Antonino, Giada Castioni, Bianca Hyslop, Martyn Lorenc, Serena Malacco: si tratta di una danza fluida e dinamica, che prende l’input dallo spazio per riempirlo e disegnarlo.


Title in process. Foto di Akiko Miyake
Title in process. Foto di Akiko Miyake

Dirty hands and beauty di Cesc Gelabert in campo Sant’Angelo, su musica di Borja Ramos e pagine madrigaliste, è un bel lavoro “portato in campo” da Elena Ajani, Savina Casarin, Giulia D’Antiga, Samuel Nicola Fuscà, Silvia Giordano, Annalisa Luise, Giulia Pardi; tutto lo spettacolo è “giocato” su una serie di articolate figurazioni contemporanee che culminano con del fango spalmato sul viso e sul corpo, a testimonianza della compresenza di bellezza e sporcizia nell’universo umano.

Difficile da definire, invece, è Title in process di Xavier Le Roi, messo in scena alla Sala d’Armi Arsenale: un confronto al buio fra il pubblico e gli artisti, anglofoni, che stanno in posizione seduta. Della coreografia, sviluppata durante un laboratorio tenutosi tra il 19 e il 29 giugno con diciotto partecipanti di Biennale College – Danza, non si mostra nulla, e nei venti minuti o poco più di durata non è possibile capire dove si voglia andare a parare, indipendentemente dall’essere o meno in possesso degli adeguati e richiesti strumenti linguistici.

Quadri dal Vangelo secondo Matteo di Virgilio Sieni nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian è un estratto del più ampio progetto coreografico in ventisette quadri – il cui debutto è avvenuto a luglio 2014, nell’ambito del 9° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia – e ora riproposto in undici quadri, con musica ed esecuzione dal vivo di Michele Rabbia.

L’esperienza nasce dall’incontro di Sieni con interpreti non professionisti di tutte le età, provenienti da varie parti d’Italia. Uomini, donne, vecchi, giovani, bambini, bambine (o meglio ancora, corpi gesticolanti), danno vita a una sorta di tableau vivant, in un itinerario fisico e visivo a cui il pubblico è chiamato a partecipare. Muovendosi a piacere tra i percorsi segnati e stando attendo a non invadere i rettangoli occupati dai novelli pantomimi, lo spettatore partecipa dall’esterno e dall’interno alla messa in scena di questi quadri, cogliendo contemporaneamente varie scene del Vangelo, rese da tonfi sordi, urla, spostamenti, abbracci, adagiamenti. Una sorta di visioni che riempiono la Sala delle Colonne e prendono possesso dello spazio per raccontare l’arrivo dei Magi, la Crocifissione, l’Ingresso a Gerusalemme, il Battesimo, i Getsemani, la Pietà tra madri, tra figli, tra coppie.   

Quadri dal Vangelo secondo Matteo. Foto di Akiko Miyake
Quadri dal Vangelo secondo Matteo. Foto di Akiko Miyake

Dulcis in fundo all’Arsenale, nel Teatro alle Tese, arriva Fase, four movements to the music of Steve Reich di e con la straordinaria Anne Teresa De Keersmaeker, affiancata dall’altrettanto brava Tale Dolven. Un mito vivente che senza mezzi termini, al momento della consegna del Leone d’Oro, sottolinea l’effimera natura della danza, che la costringe ad essere “arte non vendibile”, quindi non schiacciata dalle esigenze del mercato. Una fotografia nuda, cruda, veritiera, ma contraddetta dalla stessa De Keersmaeker e dal suo Fase, creato nel 1982 e considerato all’origine della coreutica contemporanea delle Fiandre, emblema della personalissima ricerca dell’artista. Una “pratica coreografica” proseguita nel tempo alla guida del gruppo Rosas e ispirata al rapporto tra musica e danza, tenendo conto dei principi della geometria, delle sequenze numeriche, degli spostamenti direzionali del corpo nello spazio. 

Legati a quattro opere minimaliste del compositore americano Steve Reich: Piano phase, Come out, Violin phase e Clapping music, i Four movements corrispondono a precise scelte formali nel tipo di movimenti, nell’utilizzo razionale e strategico della scena, nel disegno delle luci, nei semplici abiti, nell’omogenea disomogeneità della composizione. Una composizione che per ogni fase presenta determinate caratteristiche e si esprime in frasi brevi, alla stregua di “versicoli” ripetuti, variati e modulati in sequenze, o in strofe più lunghe, e dove l’astrattezza si risolve nell’individuare lo stretto rapporto analogico tra musica e danza.

In Piano phase le due protagoniste si muovono sullo sfondo in linea retta e in cerchio ruotando sul proprio asse, mentre le loro ombre riflesse sul muro accentuano la dinamicità della danza “tallonata” dalla musica percussiva del pianoforte; in Come out le donne sono sedute e tutto avviene con la parte superiore del corpo: busto, braccia e testa tracciano cerchi continui che riflettono la circolarità della partitura musicale.

Violin phase è un virtuosistico solo su un rondò, in cui la ballerina parte da un cerchio ideale e disegna le linee diagonali e verticali in un turbinare di passaggi e gesti, accentuati dalla morbida gonna. In Clapping music, Anne Teresa De Keersmaeker e Tale Dolven tornano a volteggiare sulla linea retta, ma questa volta davanti al pubblico, e nel rendere sincopati i movimenti arrivano quasi ad anticipare la musica stessa, in un indescrivibile gioco sinestetico che coinvolge lo spettatore e fa scattare applausi e ovazioni.

E se è indubbio, come sostiene De Keersmaeker, che la danza soffre le condizioni imposte dal mercato, è altrettanto vero che questa cinquantacinquenne in grandissima forma, eppure semplice e schiva, dimostra che la vera danza, quella con la “d” maiuscola, non teme nessuna legge economica. 

 

Biennale Danza 2015


Gravities
cast cast & credits
 


Island revisited
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Quadri dal Vangelo secondo Matteo
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Dirty hands and beauty
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Title in process
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Fase, four movements to the music of Steve Reich
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Il logo del festival
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