Le Scuderie del Quirinale ospitano
lesposizione Matisse. Arabesque, una
accurata selezione di capolavori sul tema dellornamentazione e dellorientalismo
nella pittura del maestro dellespressionismo francese. Sono riunite nelle sale
romane novanta opere, fra disegni, dipinti e costumi teatrali, provenienti
dalle collezioni di alcuni dei più prestigiosi musei del mondo. Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou,
Orangerie, Philadelphia, Washington hanno contribuito in maniera determinante
alla realizzazione della mostra curata da Esther
Coen.
La curatrice intende mettere in evidenza come per Matisse
il segno, il disegno, la linea dellornamentazione creino lo spazio in cui lartista
compone limmagine, organizzando i singoli elementi del dipinto per mezzo dellarabesque. Questo termine, usato in
musica per indicare un particolare tipo di componimento molto apprezzato da
Debussy e da Schumann e nella danza per designare una delle figure basilari del
balletto classico, è impiegato da Matisse nei suoi scritti per riferirsi a un
gesto pittorico che costituisce a sua volta una sorta di segno danzante che si
muove ritmicamente nello spazio, uniformando così, nella percezione visiva dellosservatore,
i diversi piani prospettici della composizione.
Henri Matisse, Interno con fonografo, 1934, olio su tela. Particolare © Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli (Torino) La selezione delle opere restituisce
la sensibilità e linnovazione dellindagine artistica ed estetica di Matisse,
fondata sulla sublimazione del colore, sulla semplificazione della forma e sulla
purezza grafica della linea. Il motivo della decorazione – larabesque appunto
– permette al maestro francese di oltrepassare gli schemi della pittura
ottocentesca, sulla falsariga del fascino provato dagli
artisti europei per i moduli decorativi e i modelli
tecnici, cromatici e formali di civiltà lontane. Il confronto con lessenziale
espressività dei colori dei crespi giapponesi acquistati per pochi soldi in rue
de Seine e con le carte dipinte dei paraventi, con lintensità emotiva delle
maschere africane nelle vetrine degli antiquari, con le alchimie geometriche
delle ceramiche moresche e dei tappeti del Nord Africa ispira in Matisse il
superamento della tradizione occidentale.
Fin
dalla prima sala, gli arabeschi, i colori e le forme esotiche dei tessuti dominano
lo spazio pittorico di alcuni dei pezzi più
importanti della mostra. Dal Museo Puškin proviene il dipinto Gigli, Iris e Mimose (1913) in cui campeggiano i
toni dellazzurro e del verde, dirette suggestioni derivate dalle ceramiche ottomane e nord-africane seicentesche
nelle quali, si sa, la natura è rappresentata attraverso simboli. La curatrice
non dimentica di inserire, allinizio del percorso espositivo, alcune
testimonianze pittoriche in grado di dimostrare, parallelamente, limportanza
che i maestri classici rivestono nella pittura di Matisse.
Henri Matisse, Ritratto di Yvonne Landsberg, 1914, olio su tela. Particolare © Philadelphia Museum of Arts
Lesposizione
è bipartita: sul lato destro del percorso sono collocate le opere dellartista,
mentre sulla sinistra il visitatore ha lopportunità di “toccare con mano” i
rimandi culturali, ossia quegli stessi oggetti esotici, artistici o di
interesse antropologico che Matisse potrebbe aver visto nelle collezioni
parigine e raccolto nei suoi
viaggi.
Linfluenza dellarte islamica, accostata per un
confronto formale diretto con alcune maioliche di Faenza, si fa sentire
particolarmente nella quarta sala, in cui i dipinti brillano nei loro colori
vivaci ed emanano la luce netta e tagliente del Sud.
Oriente e Africa si ritrovano prossimi nellavventura
intrapresa da Matisse in campo teatrale. Accettando la sfida di disegnare i
costumi e gli abiti di scena per il poema sinfonico di Stravinsky Le Chant du rossignol, coreografato nel 1920 da Léonide
Massine, lartista ripercorre gli esiti formali raggiunti in Costa DAvorio
allinizio del XX secolo, come appare evidente nella contiguità espositiva della
maschera tradizionale ivoriana Bedu-Nafana e del costume
per il Dolente. Tali richiami si intrecciano a loro volta con i decori cinesi
propri della storia che i Balletti Russi avrebbero messo in scena, con lessenzialità
tutta giapponese delle composizioni geometriche e con le forme pure dei costumi
dei danzatori. Ne risulta una sorta di Gesamtkunstwerk, una visione
fantastica e totale dove non solo musica, danza e pittura si amalgamano in un
unico movimento dal ritmo ora vivace, ora grazioso o dirompente, ma anche
culture lontane si integrano nella dimensione unificante e universale dellarte.
Henri Matisse, Paravento moresco, 1921, olio su tela. Particolare © Philadelphia Museum of Arts
La
mostra si chiude con la trasparente lucentezza dei Poissons Rouges del 1911 (Museo Statale di Belle Arti Puškin), capolavoro che
riassume la convinzione del maestro francese secondo
cui «limportanza di un artista si misura con la quantità di nuovi segni da lui
introdotti nel
linguaggio classico» (Henri Matisse, Pensieri
sul disegno dellalbero riferiti da Louis Aragon, in Scritti e pensieri sullarte, raccolti e annotati da
Dominique Fourcade, trad. it. di Maria
Mimita Lamberti, Einaudi, Torino, 1979, pp. 131-132).
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