drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Matisse. Arabesque

di Eleonora Guzzo
  Matisse. Arabesque
Data di pubblicazione su web 20/06/2015  

Le Scuderie del Quirinale ospitano l’esposizione Matisse. Arabesque, una accurata selezione di capolavori sul tema dell’ornamentazione e dell’orientalismo nella pittura del maestro dell’espressionismo francese. Sono riunite nelle sale romane novanta opere, fra disegni, dipinti e costumi teatrali, provenienti dalle collezioni di alcuni dei più prestigiosi musei del mondo. Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia, Washington hanno contribuito in maniera determinante alla realizzazione della mostra curata da Esther Coen.

La curatrice intende mettere in evidenza come per Matisse il segno, il disegno, la linea dell’ornamentazione creino lo spazio in cui l’artista compone l’immagine, organizzando i singoli elementi del dipinto per mezzo dell’arabesque. Questo termine, usato in musica per indicare un particolare tipo di componimento molto apprezzato da Debussy e da Schumann e nella danza per designare una delle figure basilari del balletto classico, è impiegato da Matisse nei suoi scritti per riferirsi a un gesto pittorico che costituisce a sua volta una sorta di segno danzante che si muove ritmicamente nello spazio, uniformando così, nella percezione visiva dell’osservatore, i diversi piani prospettici della composizione.



Henri Matisse, Interno con fonografo, 1934, olio su tela. Particolare
© Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli (Torino)

La selezione delle opere restituisce la sensibilità e l’innovazione dell’indagine artistica ed estetica di Matisse, fondata sulla sublimazione del colore, sulla semplificazione della forma e sulla purezza grafica della linea. Il motivo della decorazione – l’arabesque appunto – permette al maestro francese di oltrepassare gli schemi della pittura ottocentesca, sulla falsariga del fascino provato dagli artisti europei per i moduli decorativi e i modelli tecnici, cromatici e formali di civiltà lontane. Il confronto con l’essenziale espressività dei colori dei crespi giapponesi acquistati per pochi soldi in rue de Seine e con le carte dipinte dei paraventi, con l’intensità emotiva delle maschere africane nelle vetrine degli antiquari, con le alchimie geometriche delle ceramiche moresche e dei tappeti del Nord Africa ispira in Matisse il superamento della tradizione occidentale.

 

Fin dalla prima sala, gli arabeschi, i colori e le forme esotiche dei tessuti dominano lo spazio pittorico di alcuni dei pezzi più importanti della mostra. Dal Museo Puškin proviene il dipinto Gigli, Iris e Mimose (1913) in cui campeggiano i toni dell’azzurro e del verde, dirette suggestioni derivate dalle ceramiche ottomane e nord-africane seicentesche nelle quali, si sa, la natura è rappresentata attraverso simboli. La curatrice non dimentica di inserire, all’inizio del percorso espositivo, alcune testimonianze pittoriche in grado di dimostrare, parallelamente, l’importanza che i maestri classici rivestono nella pittura di Matisse.




Henri Matisse, Ritratto di Yvonne Landsberg, 1914, olio su tela. Particolare © Philadelphia Museum of Arts

 

L’esposizione è bipartita: sul lato destro del percorso sono collocate le opere dell’artista, mentre sulla sinistra il visitatore ha l’opportunità di “toccare con mano” i rimandi culturali, ossia quegli stessi oggetti esotici, artistici o di interesse antropologico che Matisse potrebbe aver visto nelle collezioni parigine e  raccolto nei suoi viaggi.  

 

L’influenza dell’arte islamica, accostata per un confronto formale diretto con alcune maioliche di Faenza, si fa sentire particolarmente nella quarta sala, in cui i dipinti brillano nei loro colori vivaci ed emanano la luce netta e tagliente del Sud.

 

Oriente e Africa si ritrovano prossimi nell’avventura intrapresa da Matisse in campo teatrale. Accettando la sfida di disegnare i costumi e gli abiti di scena per il poema sinfonico di Stravinsky Le Chant du rossignol, coreografato nel 1920 da Léonide Massine, l’artista ripercorre gli esiti formali raggiunti in Costa D’Avorio all’inizio del XX secolo, come appare evidente nella contiguità espositiva della maschera tradizionale ivoriana Bedu-Nafana e del costume per il Dolente. Tali richiami si intrecciano a loro volta con i decori cinesi propri della storia che i Balletti Russi avrebbero messo in scena, con l’essenzialità tutta giapponese delle composizioni geometriche e con le forme pure dei costumi dei danzatori. Ne risulta una sorta di Gesamtkunstwerk, una visione fantastica e totale dove non solo musica, danza e pittura si amalgamano in un unico movimento dal ritmo ora vivace, ora grazioso o dirompente, ma anche culture lontane si integrano nella dimensione unificante e universale dell’arte.




Henri Matisse, Paravento moresco, 1921, olio su tela. Particolare
© Philadelphia Museum of Arts

 

La mostra si chiude con la trasparente lucentezza dei Poissons Rouges del 1911 (Museo Statale di Belle Arti Puškin), capolavoro che riassume la convinzione del maestro francese secondo cui «l’importanza di un artista si misura con la quantità di nuovi segni da lui introdotti nel linguaggio classico» (Henri Matisse, Pensieri sul disegno dell’albero riferiti da Louis Aragon, in Scritti e pensieri sull’arte, raccolti e annotati da Dominique Fourcade, trad. it. di Maria Mimita Lamberti, Einaudi, Torino, 1979, pp. 131-132).




Rimandiamo qui al sito ufficiale della mostra



Henri Matisse, Ramo di Pruno su fondo verde, 1948, olio su tela. 
© Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli (Torino)

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013