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Qualcosa di nuovo, anzi di antico

di Mariangela Milone
  Inferno Novecento al Museo del Bargello
Data di pubblicazione su web 18/06/2015  

Dal 28 maggio al 1° giugno 2015 è andato in scena nel cortile del Museo Nazionale del Bargello Inferno Novecento, un nuovo spettacolo di Federico Tiezzi con Sandro Lombardi e David Riondino, per la drammaturgia di Fabrizio Sinisi.

In scena solo i due attori con i loro leggii, una sedia e una chitarra sullo sfondo del cortile animato dall’avvicendarsi di proiezioni luminose. Lombardi e Riondino fanno il loro ingresso come in parata assediando dai due lati opposti lo spazio centrale che, fin dalle prime battute, si trasforma in un luogo-isola sospeso nel tempo e nello spazio.

Inizialmente, con Lombardi, gli spettatori hanno percorso una volta ancora la discesa che conduce alle porte dell’inferno mentre, con Riondino, hanno visitato un luogo terreno inafferrabile come il sogno, popolato di defunti sorpresi come durante una scampagnata.

Nello spettacolo si alternano letture dei canti danteschi e frammenti del grande giornalismo del Novecento: Giovanni Grazzini, Oriana Fallaci, Enzo Siciliano, Rossana Rossanda, Aldo Cazzullo, Fernanda Pivano, Matteo Durante e Renzo Guold.

Spiega Sandro Lombardi: «Quando Fabrizio Sinisi mi disse che in questo spettacolo il ping-pong tra Dante e la modernità sarebbe stato realizzato attraverso la scelta di racconti, personaggi o episodi presi sul momento, còlti dal vivo da giornalisti della levatura di Oriana Fallaci, Rossana Rossanda, Fernanda Pivano (solo per citarne alcuni), io rilanciai. L’idea mi piacque molto e dissi: “benissimo, allora cerchiamo di fare una lettura figurale dell’Inferno.” La definizione di ‘lettura figurale’ è di Erich Auerbach, il quale nota come lo sviluppo di duemila anni di cristianesimo si basi sul ritrovare, nell’Antico Testamento, quelle che possono essere considerate profezie, anche se non nascevano come tali. Se siamo credenti riconosciamo ad esempio che quella di Isaia è la profezia della resurrezione di Lazzaro. Se non siamo credenti o se vogliamo comunque fare un discorso critico-scientifico e non fideistico, diciamo che è stata operata una lettura figurale, cioè sono stati cercati degli episodi che potessero risultare profezie. In questo senso Paolo e Francesca possono diventare profezia per Lady Diana e Dodi Al Fayed. Nell’Inferno, come nel Purgatorio, nel Paradiso e in tutti i capolavori, non c’è scritto solo quello che c’è scritto. C’è scritto anche quello che ancora non è avvenuto. Solo dei libri sapienziali, credo si possa fare una lettura figurale».

Perciò al canto XII dell’Inferno, dedicato ai tiranni, è abbinato l’articolo di Durante sull’esecuzione di Saddam Hussein apparso su «Panorama» (2006). Mentre ai suicidi di cui si narra nel canto XIII sono affiancati gli articoli di Grazzini e Rossanda rispettivamente sul suicidio di Marilyn Monroe e su quello della rivoluzionaria cubana Haydée Santamaria. Al canto XV, in cui Dante incontra Brunetto Latini, corrisponde invece lo scritto di Pivano su Lou Reed e Andy Warhol.

Gli ultimi “capitoli” dello spettacolo conducono ai piani più bassi dell’inferno attraverso tre racconti paralleli: Ulisse e Pier Paolo Pasolini, Guido da Montefeltro e Giulio Andreotti, il Conte Ugolino e la jihad islamica. Infine, l’ultimo canto dell’Inferno è abbinato alla caduta delle torri gemelle descritta da Oriana Fallaci sul «Corriere della Sera» nel 2006.

Alla “schermaglia” drammaturgica tra poesia e prosa si fonde l’interpretazione fluida e melodiosa di attori e musicisti che, fin dalle prime parole e dai primi rimbombi del tamburo, innescano un gioco quasi visibile di scene e controscene sonore in grado di moltiplicare i personaggi e di riempire lo spazio del cortile. Se i singoli strumenti si insinuano nel tessuto sonoro come comparse a sottolineare con uno squillante suono di trombetta o con un lamentoso assolo la lettura di un verso dantesco, il passaggio da un testo all’altro è sempre accompagnato da un commento musicale che chiude il discorso appena affrontato e apre quello successivo. Così il tema della Sonata per due clarinetti di Francis Poulenc, ascoltato in apertura, subito dopo Il poema dei morti scritto e interpretato da David Riondino, ritorna come un leitmotiv legato al luogo mentale in cui siamo immersi per tutta la durata del nostro viaggio dentro e fuori dal Novecento.

In alcuni passi Lombardi e Riondino si incalzano a vicenda, si tolgono versi e frasi di bocca, senza rispettare alcuna divisione tra narratore e personaggio. Poi, se da una parte Riondino afferra la chitarra e mette in musica il canto di Paolo e Francesca come avrebbe fatto un trovatore medievale oppure si trasforma in un aedo che arpeggia in sottofondo mentre racconta le vicende vissute da Ulisse, Lombardi orchestra i silenzi come fossero quinte: rimanendo al leggio esce di scena, ancora con la voce gioiosa e un po’ stridula di Lou Reed che parla degli anni paradisiaci passati al fianco di Warhol. Quando torna, dopo una breve ma tremenda pausa di silenzio, la sua voce sembra vecchia, è rauca, sofferente ed è la voce d’oltretomba di Brunetto Latini.

Sullo sfondo, il cortile del Bargello, alto fino alle stelle per impedire a chiunque di cercare vie di fuga. Ad un certo punto dello spettacolo, in alto, si apre un rettangolo di luce, come se qualcuno avesse spalancato una finestra per guardare giù o come se qualche condannato avesse per un attimo intravisto l’uscita da quell’inferno. Per tutto il resto del tempo dei fasci luminosi si sono dati battaglia dietro le spalle degli attori: forse non solo semplici pennellate di luce, ma lame quasi bloccate nell’atto di incrociarsi, come segni drammaturgici dello scontro in atto. Lo scontro tra l’immagine concreta di un inferno e l’immagine surreale della nostra realtà.



Inferno Novecento
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