drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Giochi di "colore" per l'inverno di Fosse e Koršunovas

di Francesco Tomei
  Winter
Data di pubblicazione su web 03/05/2015  

Due grandi nomi del teatro contemporaneo europeo s’incrociano nuovamente in una produzione del Teatro del Giglio di Lucca, per la versione italiana di Winter. L’uno è quello di Jon Fosse, considerato il massimo scrittore e drammaturgo norvegese vivente, vincitore nel 2010 del prestigioso premio The International Ibsen Awards.

L’altro nome è quello del lituano Oskaras Koršunovas, fondatore dell’OKT (Oskaras Koršunovas Theatre), teatro indipendente inaugurato nel 1998, specializzato nella mise en scène di testi classici in chiave contemporanea e di testi contemporanei in chiave classica.

Koršunovas ha già allestito una edizione lituana di Winter, in versione operistica, con le musiche di Gintaras Sodeika. Sodeika è anche l’autore della colonna sonora di questo allestimento italiano. Nell’opera di Fosse la componente musicale è fondamentale: nel testo, più che di struttura narrativa, si può parlare di filo conduttore melodico. Il regista lituano di ciò è ben consapevole, tanto da comporre una vera e propria partitura formata da dialoghi serrati, frammentati, scarni, in contrapposizione a pause frequenti. Ne discende una melodia: un curioso gioco, sia di specchi che di ruoli, grazie al quale il potenziale attoriale dei due protagonisti può essere espresso (o rimanere inespresso). La chiave del successo dello spettacolo è nelle mani degli attori.

La storia di Winter è il diagramma di un simmetrico intreccio fra una parabola discendente e una ascendente, corrispondenti all’evoluzione delle vite dei due protagonisti: una “lei” che risorge e un “lui” che sprofonda.

Un momento dello spettacolo © Maritati
Un momento dello spettacolo © Guido Mencari

Fin dalle prime battute, lo spettacolo va letto fra le righe del “non detto”, in un indefinito presente. Lo spettatore si trova davanti una terra di nessuno, priva di una connotazione spaziale o temporale precisa, al confine fra il reale e il surreale. Ci troviamo nel parco pubblico di una città o in una stanza d’albergo? Le luci di Marco Minghetti sono crepuscolari; lo spettatore è immerso in una atmosfera popolata da ombre. A prevalere è il biancore, quasi spettrale: un vistoso drappo di un lenzuolo che da sinistra in alto scivola su un letto matrimoniale; una panchina al centro del palco e un altro paio accatastate dietro; dei lampioni d’altri tempi e un’altra serie di luci indefinite che creano un effetto di un notturno perpetuo.

Nell’ambiguità di una conversazione che è diretta verso il pubblico o verso un interlocutore invisibile, spiaggiata su una panchina, una donna appariscente dal marcato accento dell’est, interpretata dalla lituana Ruta Papartyte, sfonda immediatamente la quarta parete invocando, fra le imprecazioni, l’aiuto e le attenzioni di un uomo (o di tutta la platea). Non sappiamo chi sia. Potrebbe sembrare una prostituta sull’orlo della disperazione e in piena crisi di nervi, ma di questo non c’è alcuna certezza. La giovane adesca così, con una breve conversazione surreale, un giovane uomo d’affari, bello e ammogliato, interpretato da Marco Brinzi. Tra due nascerà una curiosa relazione, destinata a ribaltarne i ruoli: la giovane donna si rivelerà essere fredda e riflessiva, alle prese con i deliri amorosi di un uomo in rovina, distrutto dalla passione per lei.

Lo spettacolo è incentrato su una serie di “giochi”, più o meno sottili, che innescano la dialettica drammaturgica. Da un lato, il continuo gioco dei ruoli fra i due amanti, fra arance che rotolano sul palcoscenico e cambi di scena danzati nei quali, in pochi balzi, gli attori modificano lo spazio trasformandolo da parco in albergo, e poi ancora di nuovo in parco. Dall’altro, il gioco del regista e degli attori con lo spettatore, con un’esilissima quarta parete, nel segno di una continua ambiguità fra illusione e realtà: di una poetica dell’indefinito, tipica di tutto il teatro di Fosse.

La coppia Brinzi-Pappartyte è disinvolta al punto da indurre Koršunovas a rivisitare Winter in chiave psicologica, con largo spazio agli stati d’animo dei protagonisti, nel segno di un disgelo delle emozioni. È, il suo, un teatro dei particolari, nel quale la prossemica degli attori è curata nel minimo dettaglio (si pensi al curioso uso che la Pappartyte fa dei piedi come fossero mani o addirittura volti). La nuova coppia di personaggi, composta in maniera tanto rocambolesca, troverà la forza e l’incoscienza di darsi la possibilità di un futuro impossibile?

Dopo appena quaranta minuti di spettacolo, quando l’evoluzione del dramma sembra suggerire una timida risposta e si entra quindi in quello che pare essere il cuore della narrazione della vicenda, siamo già al finale. Lo spettatore resta sospeso nei suoi interrogativi, in un’insostenibile leggerezza dell’essere. 




Winter
cast cast & credits
 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013