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Una "porta di bronzo" spalancata a Oriente

di Francesco Tomei
  Tong Men-G
Data di pubblicazione su web 01/04/2015  

Tong Men-G, il titolo dello spettacolo scritto dall’attore italo-cinese Yang Shi, per la regia di Cristina Pezzoli, spiega in sintesi perché l’autore abbia scelto di raccontarsi attraverso questo lungo monologo di due ore. Una locuzione che unisce curiosamente una «porta di bronzo» a uno «stesso sogno». Yang Shi vorrebbe aprire il portone pesante del titolo, sprangato, per ricongiungere persone distanti (o perdute nella memoria) affinché facciano pace con il loro passato e si proiettino, insieme a una nuova comunità di persone, alla ricerca di un futuro all’insegna dell’integrazione culturale.

Tong Men-G è il primo spettacolo, pensato e scritto sia in lingua italiana che in mandarino, prodotto in Italia con un protagonista d’origine cinese. È un’operazione culturale, prima che drammaturgica: il tentativo di un dialogo profondo con la comunità cinese, radicatasi capillarmente in varie zone della nostra penisola, ma soprattutto nella città di Prato, dove non a caso nasce lo spettacolo. Nello spazio Compost della regista Pezzoli, dopo una gestazione di sette anni, ecco finalmente in scena un lavoro dal forte sapore autobiografico, che ripercorre a tappe la storia di Yang: nato nel 1979 a Jinan, nel nord della Cina, e arrivato in Italia quando aveva undici anni.

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
© Ilaria Costanzo

All’inizio il pubblico è immerso in un’atmosfera da circo: Yang è una sorta d’imbonitore che invita giocosamente lo spettatore a interagire con lui. Lo spazio dell’azione performativa s’allarga così dai confini del palcoscenico all’intero spazio del Teatro Fabbricone, comprese le gradinate dov’è seduto il pubblico. Uno dei diversi numeri di Yang (che in scena per tutto lo spettacolo sfrutterà sempre la sua fisicità statuaria) consiste nel lanciare ripetutamente verso il pubblico un’enorme palla di polistirolo color oro, che rimbalza di nuovo fino a lui.

L’attore cinese, fasciato in una tutina intera dove sono stampati vari simboli, immagini, luoghi comuni dell’Italia e della Cina, sarà per due ore il mattatore della scena, un Arlecchino sui generis traduttore e traditore di due padroni molto esigenti e intransigenti: la Cina e l’Italia.

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
© Ilaria Costanzo

L’intero spettacolo è all’insegna della dualità: due sono gli universi culturali, distanti sia geograficamente che culturalmente, come altrettante bandiere che coabitano sulla scena. Due sono anche i contrastanti bagagli esperienziali di Yang: l’infanzia, vissuta in Cina, e la fase dell’adolescenza e della gioventù, trascorsa in Italia. Due, infine, i capitoli in cui è suddivisa la scrittura drammaturgica, se si esclude il prologo, preparatorio allo sviluppo dello spettacolo.

Nella prima parte Yang tira fuori da sacchi di riso i suoi effetti familiari: oggetti diversi, vestiti e accessori che l’attore indosserà, assumendo di volta in volta le sembianze del bisnonno paterno eroe e martire della patria, della nonna dai piedi spezzati, dell’astuta trisavola abile commerciante di spaghetti, del nonno materno chirurgo di scuola americana che ha dovuto subire pesantissime umiliazioni sotto il regime di Mao Tse-tung, del padre guardia rossa del regime e dello zio affetto dalla sindrome di down. Nel racconto sono calate, attraverso videoproiezioni, immagini di repertorio che documentano alcuni momenti salienti degli anni della dittatura comunista, come le grandi adunate oceaniche o le repressioni sanguinose: episodi che condizionarono nel profondo le vite degli antenati di Yang.


Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo 
© Ilaria Costanzo

Nella seconda parte, il protagonista racconta come è diventato, per la sua gente, un cinese “banana”: giallo fuori e bianco dentro. Con un dialogo, mano a mano più intimo con il pubblico, l’attore parla del suo impatto traumatico con la scuola italiana; del duro lavoro fin dalla tenera età come lavapiatti, come venditore ambulante, come massaggiatore; degli anni dell’università e della breve esperienza all’Accademia d’arte drammatica “Paolo Grassi”; fino alla testimonianza indiretta di una tragedia: un incendio nel quale persero la vita in una fabbrica pratese sette operai cinesi, nel dicembre del 2013.

Yang Shi, clown e giocoliere della parola, è abile nel padroneggiare l’italiano e il mandarino nei bruschi passaggi linguistici. Tuttavia, nel suo lungo monologare, l’attore accusa una comprensibile stanchezza, a spese del ritmo scenico, che si dilata, forse eccessivamente.


Se l’intera operazione culturale è lodevole – testimonianza viva, in carne e ossa, dell’incontro/scontro fra due culture antitetiche –, il testo è in più occasioni troppo didascalico, appesantito da un massiccio ricorso alla parola come canale espressivo privilegiato del racconto. La sintesi e la forza di alcuni segnali “visivi” adottati dalla regista sono già sufficienti a restituire un’idea precisa del messaggio dello spettacolo, al di là di tante buone parole.


Tong Men-G
cast cast & credits
 



 
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