Nel grande universo dellarte tersicorea la danza è buona o scadente, vera o falsa. Quella dellAterballetto di Reggio Emilia è autentica e onesta. Questa formidabile compagnia diretta da Cristina Bozzolini non millanta crediti, non ne ha bisogno, e non si presenta per quello che non è, ma rappresenta quello che potremmo chiamare il genius loci della danza. Quel nume tutelare, quello spirito vitale che risiede in chi balla davvero, in chi ha coscienza del proprio corpo ed esprime sensazioni ed emozioni per se stesso e per chi guarda in un magico, misterioso e reciproco arricchimento.
Davvero poco importano le se pur utili, ma spesso vuote, distinzioni fra danza classica, moderna, contemporanea. La danza è danza, o è fatta bene o è fatta male e quella dellAterballetto è fatta bene, cè poco da dire. Non solo ma se proprio vogliamo essere fiscali, coreuticamente parlando, e mettere i puntini sulle “i” definendo contemporanea la danza di questo piccolo corpo di ballo reggiano – perché di corpo di ballo si tratta e non solo di compagnia – lAterballetto mette in crisi lidea di “democraticità” insita nel concetto stesso di danza contemporanea. Una danza che per il solo fatto di definirsi tale accetta tutto e tutti possono coreografarla e ballarla. Non è così.
La presunta “democraticità” coreutica è un falso problema che nasconde ben altre mancanze dal punto di vista interpretativo e creativo. Mancanze che lAterballetto di Cristina Bozzolini non ha come dimostra lapplaudita serata al Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena in cui lottimo organico porta in scena la prima assoluta di Lego di Giuseppe Spota e le felici riprese di Vertigo di Mauro Bigonzetti e di Rain Dogs di Johan Inger.
Un momento dello spettacolo Lego
Un trittico di qualità che secondo le linee direttive di Cristina Bozzolini, accanto ad autori affermati, apre le porte alle nuove leve della coreografia odierna. Nomi ancora poco conosciuti che però in virtù di un notevole bagaglio esperienziale esprimono il loro personale sentire trovando nei ballerini di Cristina la preparazione, la sensibilità, la versatilità necessari a dare corpo al loro immaginario artistico.
E il debutto di Lego si colloca in questa progettualità e porta allattenzione del pubblico Giuseppe Spota. Un giovane italiano, “figlio spirituale” di Cristina, che ha spiccato il volo dimostrando quanto la “scuola bozzoliniana” sia stata decisiva nel fornirgli gli strumenti necessari per andare avanti da solo. Unautonomia che solo la generosità e la lungimiranza dei grandi maestri sanno trasmettere.
Giuseppe, barese di nascita e appena trentenne, ha iniziato nella Scuola del Balletto del Sud. Il salto di qualità avviene nella Scuola del Balletto di Toscana della Bozzolini e da lì intraprende la carriera professionistica nel 2002 in compagnie come il Balletto di Roma e lAterballetto, allepoca diretto da Mauro Bigonzetti.
Decide poi di andare in Germania dove entra a far parte dal 2009 al 2010 della Gauthier Dance/Dance Company Theaterhaus Stuttgart e dal 2010 al 2011 al 2013-2014 della Compagna dellHessisches Staatstheater Wiesbaden, cimentandosi in questi anni in lavori di Fabrizio Monteverde, Jiří Kylián, Ohad Naharin, Paul Lightfoot/Sol Leon, Stephan Thoss e Christian Spuck.
Al suo attivo ci son già il premio THE FAUST, vinto nel 2011 in Germania come “miglior danzatore” per la sua interpretazione di Blaubart di Thoss e nel 2012 il Premio Internazionale ApuliArte per «il suo brillante successo allestero».
Un successo confermato anche come coreografo nel 2011 con il 2° premio allInternational Ballet Competition Hannover per Un/attainable e da altri apprezzati pezzi “tedeschi” (Much/Less, TRE, PL/US, ABI/Tiamo, Branco, Principio) che non son passati inosservati allocchio attento e vigile della direttrice dellAterballetto, che gli ha commissionato Lego.
Lego è un coreografia in cui la cosiddetta narratio traccia i mille legami, resi idealmente e realisticamente da ponti, strade, dedali, sentieri, che gli uomini percorrono nel percorso della vita per trovare o perdere se stessi. Una intricata mappatura delle infinite possibilità in cui gli individui come atomi possono incontrarsi o non incontrasi e arrivare o meno alla meta, superando o arrendendosi agli ostacoli. Una sorta di “presa diretta” sullincessante e inarrestabile fluire della esistenza umana che Spota rende visibile fondendo e sovrapponendo due piani: quello virtuale delle immagini video che scorrono come in un film e quello reale dei ballerini che animano la scena come in un balletto.
Un sincronismo perfetto in cui la multimedialità si sposa perfettamente con lessenzialità dellallestimento, il colore rosso arancio del setosi costumi, disegnati da Giuseppe e realizzati da Francesca Messori della Sartoria Aterballetto, le carezzevoli e al tempo stesso algide luci di Carlo Cerri, il ricercato medley musicale con brani di Bosso, Filetta, Jóhannsson, Arnalds/N.Frahm.
Di questo giovane autore colpiscono la capacità di alternare quadri corali a duetti e lestro con cui al grande lirismo dei passaggi di ensemble risponde la delicata poesia dei passi a due. Spota sa maneggiare “la cosa danza”. Il suo è un tocco leggero, morbido eppure sicuro che coglie la fluidità e dinamicità del linguaggio contemporaneo nellaggrovigliarsi di corpi, apparentemente rispiegati su se stessi, che si librano nello spazio tra prese velocissime, salti, jetés, attitudes, penchés, e una gestualità ricercata e significativa.
Un balletto bello in cui la danza è autentica, onesta e vera come sono autentici, onesti e veri i principi di Spota. Un giovane coreografo già apprezzato in Germania, ora conosciuto anche in Italia e a cui viene spontaneo dire “Ad Maiora” Giuseppe!
Seconda creazione del trittico modenese è Vertigo, un emozionante duetto postclassico di Mauro Bigonzetti su musica di Sostakovich, presentato per la prima volta al Teatro Ariosto di Reggio Emilia a gennaio 2006 e ora intelligentemente riproposto in questo appuntamento della stagione di danza del Teatro Pavarotti. In Vertigo Bigonzetti, già direttore dellAterballetto e da tempo coreografo affermato a livello internazionale, esprime la sua personale visione del rapporto a due. Ununione in cui il furor amoris si trasforma in vertigine fisica ed emotiva espressa da corpi spinti al massimo nelle loro potenzialità e possibilità “affabulatorie”, accarezzati dal caldo riverbero delle luci di Carlo Cerri.
Lei sulle punte in abito color rosso fuoco e lui a torso nudo in pantaloni neri danzano lamore attraverso e un linguaggio e uno stile in cui Bigonzetti si affranca da Forsythe grazie a un modo tutto suo di estremizzare il vocabolario dei passi accademici e di usare le braccia.
In chiusura lAterballetto ripropone Rain Dogs di Johan Inger. Unoccasione per rivedere e riapprezzare questo balletto su musica di Tom Waits, scene e costumi dello stesso Inger e luci di Peter Lundin. Creato per il Basel Ballet 2011 e riallestito per lAterballetto al Teatro Valli di Reggio Emilia nellottobre 2013, eccolo di nuovo al “Pavarotti” di Modena con tutta la graffiante carica che contraddistingue la musica di Waits e la coreografia di Inger.
Rain Dogs ancora una volta cattura il pubblico e i danzatori “bozzoliniani” sono strepitosi nel dare corpo e anima a unumanità diseredata, straniata, emarginata, accompagnati dalla roca voce di Tom e dalle sonorità blues, soul e jazz. Sonorità che trovano riscontro nellarticolata sintassi contemporanea e nella trovata finale dello scambio di abiti tra uomini e donne in un crescendo emotivamente e visivamente esaltante.
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