Limpressione favorevole dello spettacolo,
trasposizione dellopera omonima di Ödön
von Horváth e diretto da Paolo
Magelli per il Teatro Metastasio, deriva dalla chiara individuazione del
tema trattato – lEuropa malata dodio, intrisa di miseria morale, fra le due
Grandi guerre – e dalla sapienza della sua rappresentazione. Nella visione di von Horváth, la mitologica e poetica
Europa sprofondava nel vuoto e nella disperazione dei suoi abitanti.
«In questo testo – nota il
regista – si incontrano e si scontrano con indicibile violenza e humour noir tutte le classi sociali di
unEuropa senza amore affaccendata a salvare se stessa e a distruggere gli
altri, i più deboli. Questo testo non è soltanto un incredibile vaticinio che
ci porterà agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, ma ci lascia sconcertati
perché in esso riconosciamo senza dubbio le inquietanti anomalie antiutopiche
della storia che stiamo vivendo».
Unopera difficile, scritta nel 1923,
dal linguaggio inusitato, nuovo in Italia, i cui personaggi si specchiano in se
stessi, dialogano quasi per monologhi paralleli e restano isolati nella loro reciproca
sordità metaforica. La struttura discontinua, rapsodica (che la sonorità della traduzione
accentua) è causa di una Babele linguistica che coinvolge la personalità di ciascuno,
prigioniera di se stessa e di tutti nemica. Unulteriore difficoltà sta nei registri
consoni alle relative espressioni, concretate, in prima evidenza, nei costumi
depoca dei personaggi. Figure che senza lespressionismo del grido o del
grottesco non aspirano ad alcuna vera motivazione psicologica. Sarà perché in
quellHotel si sono incontrati, per una causalità immaginaria, alcuni esemplari
della società storica reale: non quindi allegorie, ma uomini malati e
tragicamente determinati.
Un momento dello spettacolo
© Paolo Cambursano
LHotel che in prima stesura
sintitolava proprio Europa, finisce
per indicare a contrasto la sgradevole prospettiva che da esso si offre agli ospiti.
Questi sono il Direttore Strasser, uno spiantato che dipende finanziariamente dalla
Baronessa sua amante; un cameriere con velleità artistiche; un rozzo autista, pregiudicato
immigrato e Ada von Stetten, nobile al tramonto. Li raggiungono Müller, un
rappresentante di commercio già reo assassino e creditore di Strasser e infine il
Barone Emanuel, fratello di Ada, sullorlo del suicidio per debiti di gioco.
Lazione, in tre atti, si svolge
nel giro di mezza giornata, dal pomeriggio allalba. Illustra lo stato
davanzato sfacelo esistenziale di persone senza futuro, che si aggrappano a un
presente precario. I maschi sfogano violenza sulle donne le quali, come
dimostra la Baronessa,
controllano gli uomini col denaro o col sesso. Estranea appare la giovane Christine
che, sedotta e abbandonata da Strasser, da lui ritorna madre duna figlia,
confermandogli il suo amore e lintento di aiutarlo a gestire lalbergo.
Graziata inoltre da unimprovvisa, inattesa eredità, diventa desiderabile anche
allavidità degli altri maschi.
La commedia, aspra, spesso persino
comica, volge in dramma inevitabile, per i comportamenti con cui i protagonisti
eludono i problemi veri. E il regista sceglie unespressività fredda, deprivata
di pathos appunto negli snodi più dolenti (quali laggressione di Christine) e
nelle circostanze umanamente più compromesse e difficili, come quando Ada viene
schiaffeggiata da Strasser o viene coperta da Max con cubetti di ghiaccio, a
placarne simbolicamente i furori. Così queste vite incrociate e non condivise
mostrano come la malvagità procuri assuefazione, la crudeltà si pratichi con
noncuranza, sintomi duna malattia pervasiva.
Un momento dello spettacolo
© Paolo Cambursano
La regia chiede lapparente
naturalezza a comportamenti abnormi, imponendo unevidenza quasi tautologica:
ciascuno avanza le proprie ragioni (o moventi) quale unica soluzione a difficoltà
individuali, non soltanto per egoismo, ma per errata valutazione della loro
portata universale. Viene abbassato il registro melodrammatico mentre si
sorvegliano i momenti di tensione e lacerante contraddizione. Agli eccessi e
gli scarti linguistici (onomatopee o versi prossimi al comunicare animalesco), si
sommano licenze scurrili e grevi allusioni sessuali, come rivelazione inconscia
di zone rimosse. Ciò accade ad esempio nella sequenza delle violenze imposte a
Christine, insultata e malmenata a sangue. Scena di prevaricazione dogni
dignità, che segue a un premeditato atroce scherzo teatralizzato condotto in
gruppo. Eppure ella fuggirà, libera almeno da una compromissione inaccettabile.
Appare pure in lei, più debole rispetto ad Ada, una rivalità che comprende la
gelosia alimentata dallamore per lo stesso uomo; ma che ammette una
solidarietà più semplicemente umana, quando le donne, fisicamente ravvicinate,
paiono capirsi se non riuscire ad aiutarsi.
Valentina Banci è Ada volitiva, avvezza a dominare, conscia della
fragilità e del potere seduttivo che le viene da un corpo sensuale e da una
parola acuminata. Le corrisponde linterpretazione appassionata e rattenuta di Elisa Cecilia Langone, vittima autentica
senza rimpianto o autocompassione. Strana eroina priva daureola, corpo
sacrificato e animo costante. In compatta coralità, gli interpreti maschili
condividono parità di ruoli e dimpegno. La struttura drammatica richiede
unautonomia corresponsabile a personaggi tutti protagonisti. Francesco Borchi dà al cameriere Max
uninsolenza simpatica nel frivolo distacco. Daniel Dwerryhouse rende palpabile il cinismo pratico dellautista
Karl, compare di sbornie della Baronessa. Fabio
Mascagni è uno Strasser impotente e indeciso, ma abile gestore del suo fatiscente
locale. Mauro Malinverno è il Barone
vile e pavido. Müller è reso da Marcello
Bartoli un efficiente commerciante e un risibile interlocutore dei potenti.
Ma tutti concordi nel ribadire i luoghi comuni di una classe (ex) egemone in
effetti esautorata, incapace e corrotta, razzista e reazionaria.
Visto in tournée al Teatro
della Corte di Genova, lo spettacolo offre uninteressante variante drammaturgica
e, rispetto alla creazione, unulteriore semplificazione scenografica. Il
Cameriere serve a pranzo, a piatti vuoti, la carta geografica dellEuropa, che
la didascalia piazzava su una parete del salone. Sicché la masticazione del
simulacro stampato è comminata al gruppo quale paradossale contrappasso. Le
pareti e i tendaggi darredo scompaiono, sostituiti da quinte e pannelli neri.
Lultimo atto si svolge in una sala vuota, simile allatrio duna banca,
illuminata da plafoniere. La musica ha una presenza incostante e forte, negli
strappi e singulti dei violini, straziati dallarchetto nervoso e bizzarro
della Storia: voce evocativa del disastro latente e, in aggiunta, il tuono annunciatore duna burrascosa primavera.
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