A
sei anni di distanza da Nemico Pubblico (2009), Michael Mann torna con un film complesso e innovativo che si
colloca nello stesso filone sperimentale di cui fanno parte Collateral
(2004) e Miami Vice (2006). Attraverso un montaggio di immagini che
scorrono a velocità supersonica allinterno di cavi e fibre ottiche, i primi
dieci minuti di Blackhat immergono letteralmente lo spettatore in
unatmosfera thriller dal sapore cyber-spionistico.
Già il titolo del film – termine tecnico utilizzato nel campo della sicurezza
informatica e dai programmatori per indicare un hacker dalle grandi abilità
tecniche, ma animato da fini illeciti – introduce al tema portante della
narrazione: la criminalità ai tempi della connessione globale.
Come
nel più classico dei film dazione, cè un pericoloso criminale internazionale
che sfida le due superpotenze mondiali, statunitense e cinese, con un attacco informatico che
getta nel panico le
rispettive squadre di spionaggio, costrette a ingaggiare un geniale hacker in prigione, Nick Hathaway (Chris Hemsworth). Sono due gli episodi
che causano lintervento delle autorità internazionali: un grave incidente
nucleare provocato dalla pirateria informatica alla centrale cinese di Chai Wan
e un episodio di manipolazione dei dati sui mercati finanziari che, alla Borsa
di Chicago, fa volare alle stelle il prezzo della soia. Parte da qui una caccia
alluomo che porterà i protagonisti a viaggiare negli angoli più remoti del
globo.
Una scena del film
Gli
ostici dialoghi della sceneggiatura di Morgan
Davis Fohel rendono ardua la partecipazione dello spettatore, sommerso
dagli incomprensibili tecnicismi del gergo informatico (malware, overlay,
RAT). Tuttavia luso
sporco del digitale (ottima la fotografia di Stuart Dryburgh) esalta le svolte narrative di una trama spesso
semplicistica e fa dimenticare alcune inverosimiglianze e lungaggini di sceneggiatura
nel momento in cui il linguaggio elettronico e informatico diventa la forma
stessa del film. In questo senso lestetica adottata da Mann, formata da
dettagli di stringhe di codice o dai pixel
in evidenza degli schermi degli smartphones, dei computer o delle
immagini della videosorveglianza, rende coerenti e giustifica gli snodi più
complicati della storia.
La
tecnologia digitale viene sfruttata al meglio nelle sequenze nervose di
inseguimenti e sparatorie, dove si raggiunge una consapevolezza espressiva
raramente sperimentata al cinema, grazie anche al talento registico e di
“genere” di Mann. Il contributo musicale dellingegnere del suono Atticus Ross, allo stesso tempo
classico e moderno, scorre omogeneo per tutto il film, tra splendide scene
ambientate allombra dei cieli notturni di Hong Kong (importante e decisiva a
livello produttivo la presenza dei divi cinesi Tang Wei e Leehom Wang)
e sequenze datmosfera con i paesaggi esotici della Malesia e dellIndonesia.
Una scena del film
Le ambientazioni orientali sono
affrontate in tutta la loro potenzialità, non solo come necessari punti di
raccordo tra le scene decisive dazione e quelle di trasferimento. La macchina
da presa si muove tra gli spazi e i luoghi trasfigurandoli, evitando le facili
rappresentazioni da cartolina. Il metodo di Mann prevede che ogni occasione sia
una possibilità per dilatare lo sguardo, privilegiando soluzioni di estrema
difficoltà, a discapito della fluidità narrativa. Locchio del regista indugia
specialmente nei dettagli sottolineati dalle luci fredde della notte, come ad
esempio nelle sequenze ambientate nei mercati e tra i container del porto di
Hong Kong, o si sofferma sui particolari illuminati dai neon artificiali durante la fuga allinterno della metropolitana di
Jakarta. Sempre allinsegna della notte si delinea lo scontro finale con lhacker fantasma sullo sfondo di una processione festosa dove i protagonisti si
inseguono con il rischio di perdersi tra i drappi rossi di una folla
indistinta, aiutati solamente dalla flebile luce delle candele. Una scena molto
suggestiva in cui non solo il supporto della tecnologia digitale, ma anche il sapiente
ricorso a speciali obiettivi Zeiss permette una profonda penetrazione delloscurità.
Come
e più dei suoi film precedenti, il punto di forza di questennesima scommessa
vinta di Mann è lequilibrio tra le lunghe sequenze di esposizione e le
esplosioni improvvise di romanticismo o di violenza, che rendono lopera tesa e mai scontata. Rimarrà
invece deluso chi cercherà di ritrovare nel film lalta tragicità raggiunta da
Mann in capolavori come Heat - la sfida e Lultimo dei Mohicani. Prevalgono,
in fondo, in questa pellicola, il fascino del regista per la tecnica digitale
come possibilità di racconto e la riflessione su come i più moderni mezzi di
comunicazione possano influenzare il linguaggio cinematografico.
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