Non
è una novità Luigi Lo Cascio alla
prova come drammaturgo e regista: proprio a Prato, dovè appena giunto alla
ribalta il suo Otello, vide la luce al Teatro Fabbrichino il suo
adattamento per uno dei racconti kafkiani, La
tana (2005), scritto per gli attori della compagnia del Teatro Stabile della
Toscana. Al Metastasio, la nuova fatica di Lo Cascio brilla nel segno di un
nuovo tipo doperazione drammaturgica: il tentativo di mettere in relazione la
poesia shakespeariana, anziché con un italiano colloquiale o poetico che sia,
con un vibrante dialetto siciliano, versificato in endecasillabi. Una lingua
arcaica imbevuta del patrimonio linguistico di antiche terre lontane dalle
radici greche, arabe-normanne, portatrice di suggestioni provenienti da un
“altrove” ideale, ricca di fascinazione ma, allo stesso tempo, concreta come
ogni dialetto parlato e ancora in uso, quindi capace di arrivare dritto
allespressione dei pensieri e ai sentimenti dei personaggi.
La
scommessa di Lo Cascio è vincente poiché, malgrado limpiego di una lingua che
non possiede un registro poetico alto, bensì parlato, non viene meno nello spettacolo il
registro lirico che contraddistingue i capolavori tragici shakespeariani. Anzi,
il siciliano restituisce alla vicenda quella suggestione di antica tragicità
che con limpiego di un italiano standard sarebbe stato più difficile ricreare.
Un momento dello spettacolo
© Antonio Parrinello
Ci
troviamo in quella che sembra la grande tenda del generale Otello durante una
delle sue campagne militari. Latmosfera della scarna scena disegnata da Nicola Console e Alice Mangano è cupa, gli elementi scenici, sapientemente
illuminati da Pasquale Mari, sono
pochi, tutti praticabili e funzionali al movimento degli attori. La
scenografia, scarnificata del décor più posticcio, è invece popolata da curiosi
disegni animati, che a tratti appaiono improvvisamente dalloscurità nei
momenti fra i più significativi dello spettacolo: strumenti di tortura, vermi e
altri inquietanti dettagli volti a sottolineare levoluzione degli stati
danimo di Otello.
Questa
riscrittura è senza dubbio una riduzione che non risulta essere una sintesi, ma
una reinvenzione del capolavoro shakespeariano, rivisto sotto una chiave di
lettura originale. Dai cinque atti si passa a un atto unico, il numero dei
personaggi è ridotto a quattro: un incandescente Otello diviso fra i sussurri
dellalfiere Jago e lamore per una Desdemona marziale che vuole imparare a
combattere. Il quarto personaggio, altrettanto importante, è il perno attorno
al quale ruota tutta la vicenda: un soldato (Giovanni Calcagno) che assume la funzione di narratore della
storia.
Questa
invenzione proietta lo spettacolo, che diventa un grande “cunto” della
tradizione orale, in una dimensione epica, rafforzata con unintera scena nella
quale Otello (Vincenzo Pirrotta) e
Desdemona (Valentina Cenni) si
scambiano una fitta e appassionata corrispondenza. In una di queste lettere, un
Otello straziato dal dolore racconta alla sua amata le gesta eroiche e la morte
del fratello sul campo di battaglia, come fosse lepisodio, al culmine del pathos, di un racconto di cavalleria trovadorico.
Se Luigi Lo Cascio, di concerto con gli scenografi, ha scelto di lavorare per
sottrazione, ciò non toglie che questa riscrittura non sia ricca dinvenzioni
drammaturgiche, non ultimo il finale grottesco e surreale dove Otello,
accompagnato dal soldato, va a recuperare il fazzoletto e le lacrime di
Desdemona sulla luna.
Un momento dello spettacolo
© Antonio Parrinello
LOtello interpretato da Vincenzo Pirrotta
è un gigante colossale: sembra essere una statua, che sarroventa prima di
amore, passione, poi dodio e gelosia. Un Otello incandescente, caratterizzato
dal passaggio repentino da uno stato danimo allaltro, reso con maestria
attraverso la ricerca vocale di un attore che utilizza tutta la gamma della sua
straordinaria vocalità e impiega largamente la sua fisicità, sempre
coerentemente con le linee guida del suo personaggio concordate con il regista.
Otello è un eroe tragico gigante che brucia e si dimena, ma senza
disarticolarsi o rimpicciolirsi.
Lalfiere
Jago di Luigi Lo Cascio, misogino e scaltro, agisce poiché la mente di Otello è
già ammorbata dal sospetto; i suoi sussurri non sono altro che la miccia che
arroventa le passioni di un generale che è, invece, artefice del proprio
destino tragico. Questo Otello “bianco”,
cucito addosso a un Vincenzo Pirrotta efficace, non è più un moro sempliciotto,
attanagliato dagli istinti più ferini, ma è un uomo che, come Jago, non riesce
a comunicare, a entrare in una relazione sana e profonda con uno sconosciuto
universo femminile.
In
tutto lo spettacolo non cè alcun riferimento alletnia di Otello: chiara è
lintenzione di Lo Cascio di spostare lattenzione dagli stereotipi razziali del
dramma alla delicata questione dellincomunicabilità fra il mondo maschile e quello
femminile. Lunico personaggio, infatti, che non parla in siciliano bensì in un
elegante italiano è la Desdemona di Valentina Cenni.
Questa messinscena riversa
direttamente sullo spettatore la sua carica tragica. Tutti i personaggi, non
solo il narratore, hanno un forte momento dapertura verso il pubblico al quale
si rivolgono direttamente e appassionatamente: riecheggia nella sala un coro
tragico, un lamento dalle radici primordiali che arriva dritto fino allo
spettatore, chiamato a esprimere un pensiero, una considerazione sul
comportamento e sul destino di questi personaggi “immortali”.
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