Un music-hall rimasto vuoto dopo i recenti festeggiamenti del carnevale: a questo fa pensare lassetto scenico di La dodicesima notte, allestito dalla compagnia di Carlo Cecchi per il Teatro Stabile delle Marche. Al centro una pista da ballo circolare, poco più in là tastiere e strumenti dei musicisti. Imponente sul fondo, ad attendere a sipario spalancato lingresso del pubblico, lo splendido fondale, direi vivente, di Sergio Tramonti. Scesa la notte – spente cioè le luci in sala – lambiente torna ad animarsi di figurine vaporose e coloratissime (i costumi sono di Nanà Cecchi).
È uno spazio astratto, rarefatto, quello che ospita i personaggi shakespeariani di questa favola notturna in bilico tra un Sogno estivo e una magica Tempesta. Cecchi torna a Shakespeare e torna a quella Dodicesima notte – allestita nella stagione 90-91, in occasione delle celebrazioni per i settecentocinquantanni dellUniversità di Siena – invero gustosissima, preceduta comera da un prologo costituito dagli Ingannati, commedia rinascimentale italiana alla quale il Bardo si ispirò.
Un momento dello spettacolo
© Alessandro Cecchi
Cecchi capocomico torna dunque a fare i conti con questo testo allestendo uno spettacolo inedito e giovanissimo. La compagnia è infatti composta da alcuni affezionati attori ma soprattutto da giovani ex allievi dAccademia che il regista ha continuato a seguire dopo il saggio di qualche anno fa dedicato al Sogno shakespeariano. Ricambio generazionale dunque per una commedia che, grazie alla splendida traduzione di Patrizia Cavalli, esprime ancora vivacità e freschezza sorprendenti.
In uno spazio atemporale, o si direbbe da day after – i fatti sono in realtà già accaduti, tocca adesso sbrogliare la matassa –, una musica languida disturba il riposo del Duca Orsino, Remo Stella, giovane attore dalla figura slanciata e dallatteggiamento trasognato, abile, al pari di Barbara Ronchi, seducente Olivia, nel modulare i toni e il ritmo della recitazione, in equilibrio tra prosa e versi, sorprendendoci là dove la rima, a tratti, stuzzica leloquio. I due attori costituiscono una coppia di innamorati, ma anomala.
A fare la spola tra luno e laltra è il paggio del Duca, Viola-Cesario interpretata/o da una graziosissima Eugenia Costantini, che, a sua volta innamorata del Duca, sarà oggetto di folle innamoramento da parte della bella Olivia. La faccenda si complica. Sembra esserci una specie di automatismo, o di incantesimo, che fa scattare fulminee passioni, eterosessuali o omosessuali non importa, purché sostenute da tangibili correnti dattrazione e erotismo che la recitazione in alcuni momenti sottolinea.
Un momento dello spettacolo
© Alessandro Cecchi
Du côté de chez Olivia fanno la loro apparizione i personaggi comici, le maschere della commedia: Feste il buffone, Dario Iubatti, sorprendente nella disarticolazione dei movimenti – sembra aver rielaborato certe pose del maestro Cecchi –, onesto intonatore di canzonette, che più che un menestrello ricorda Pulcinella, un Pulcinella lieve, sulle punte. Sulle punte sembrano stare anche gli altri personaggi comici, componendo quasi un quartetto di Capodimonte (il dettaglio de La surprise di Watteau sulla locandina non è forse un indizio?): la servetta Maria, Daniela Piperno, minuta, scattante e briosa Colombina; lingombrante Sir Toby o Dottor Balanzone, Vincenzo Ferrera, con grossa pancia posticcia; e infine limprobabile, imbranato, pericolante Scaramouche, Sir Andrew, che Loris Fabiani sembra costruire partendo dallimpostazione vocale, un falsetto femmineo che spinge verso lalto.
Tutti i personaggi danno come limpressione di non avere peso, sembrano essere appesi per le teste a dei fili che calano dalla graticcia. Tutti tranne Carlo Cecchi, Malvolio, maggiordomo della Contessa e vittima di un cattivo tiro giocato dal quartetto comico. Se è vero che tutti gli altri attori hanno costruito la loro recitazione nel senso della verticalità e sulla circolarità della piattaforma girevole al centro della scena, Cecchi-Malvolio, «in calze gialle e giarrettiere incrociate», opta per la cifra “meccanica”.
Un momento dello spettacolo
© Alessandro Cecchi
Il suo Malvolio sembra un automa, i suoi movimenti sono meccanici, possono incepparsi e si inceppano, e comunque prediligono lorizzontalità e la rigidità delle linea retta. Il riferimento è rivolto senza dubbio allautoma un po burattinesco di Totò, soprattutto nella camminata (Garboli parlerebbe di Pinocchio). Ciò che di questa interpretazione stupisce è il contrasto tra i movimenti dellattore e il suo eloquio: infatti, se questo a tratti è in armonia col corpo “scattoso”, come quando ritma la lettura della lettera tirando su col naso, in altri momenti ne sottolinea la dissociazione assestandosi su una dizione monotona e colloquiale.
Il ritmo dellazione cresce “a giri di scena”, unazione scalza laltra e varie vicissitudini portano allhappy end in cui fa la sua apparizione il fratello di Viola/Cesario, Sebastiano, Davide Giordano, sopravvissuto al naufragio che lo aveva separato dalla sorella e reduce, pare, da unestemporanea liaison con Antonio, Federico Brugnone, capitano di mare omosessuale dalle inflessioni meridionali, che lo aveva tratto in salvo. Avvenuta lagnizione, senza troppe remore di coerenza, Shakespeare sistema le coppie: Olivia e Sebastiano, Viola e il Duca Orsino, Maria e Sir Toby.
Se, come dice il Duca, «la musica è il cibo dellamore», in Illiria se ne fa indigestione. Musica in scena e scene di musica. Tra i musicisti dal vivo e le canzoni proposte dal buffone (che ricordano quelle del Granteatro, storica compagnia di Cecchi), la musica è coprotagonista di uno spettacolo che rimanda quasi alla comédie-ballet di molieriana memoria: e intonando una canzone finale, proprio come nel Tartufo di qualche anno fa, la compagnia si dispone in schiera e insieme alla scena continua a girare… ora a suon dapplausi.
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