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La “giungla” di Tennessee Williams nel colossale giardino di Elio De Capitani

di Francesco Tomei
  Improvvisamente l'estate scorsa
Data di pubblicazione su web 28/02/2015  

Un monumentale giardino inselvatichito di una villa signorile della Louisiana d’altri tempi è il “diorama” di Elio De Capitani. Per una personale ricostruzione, con velleità iperrealistiche, del salotto borghese a cielo aperto di Tennessee Williams, dov’è ambientata Improvvisamente l’estate scorsa, opera teatrale del 1958 dal deciso sapore autobiografico.


La storia, per i suoi tempi scabrosa, riverbera le vicende familiari dell’autore, la cui sorella, Rose, fu fatta lobotomizzare per volontà della madre, per poi finire rinchiusa in una clinica psichiatrica fino alla morte. La trama si sviluppa intorno alla misteriosa morte di Sebastian, giovane poeta figlio della danarosa Mrs. Violet Vernable (Cristina Crippa), avvenuta «improvvisamente l’estate scorsa», durante un viaggio avventuroso dell’eccentrico intellettuale in compagnia della cugina Catherine (Elena Russo Arman). La giovane, testimone della tragedia, non ricorda nulla ed è scivolata in un permanente stato confusionale che sconvolge la madre (Corinna Augustoni) e il fratello (Enzo Curcurù), entrambi in ristrettezze economiche e dipendenti dalla danarosa e anziana donna.

Mrs. Violet, che incarna la vecchia società americana perbenista, ipocrita e sessuofoba, è spinta a fare rinchiudere la nipote Catherine in una clinica psichiatrica, temendo che possa, in preda alla follia, rivelare la celata omosessualità del figlio defunto. Il sipario si apre in un lussureggiante giardino. L’anziana signora, mentre s’accinge a consumare il rituale del daiquiri ghiacciato delle cinque in punto, propone al giovane dottor Cukrowicz (Cristian Giammarini) di sottoporre la ragazza a una lobotomia, in cambio di un ingente finanziamento a favore dell’ospedale dove egli lavora. L’avveduto dottore, prima d’assecondare la volontà di Mrs. Violet, intende conoscere e visitare la giovane Catherine per far luce sulla vicenda.


un momento dello spettacolo
un momento dello spettacolo
© Lara Peviani

Il regista, fedele a una poetica dell’amplificazione, già impiegata nella prima regia di un testo di Williams, Un tram che si chiama desiderio, con Mariangela Melato (prodotto dal Teatro Stabile di Genova nel 1994), adotta la stessa linea scegliendo una teatralità da kolossal, con elementi scenografici imponenti realizzati da Carlo Sala: una foltissima vegetazione s’arrampica e quasi straripa in tutto il palcoscenico del Teatro della Pergola, che diventa una giungla avvolta in una sinistra nebbia, piena di rumori di misteriosi animali selvatici. L’atmosfera ricreata è indubbiamente suggestiva: sapientemente curati da Nando Frigerio sono l’impiego delle luci e il gioco di contrasti fra le ombre, l’oscurità del giardino e il candido biancore degli eleganti costumi di Ferdinando Bruni. Ottima la scelta di partire dalla traduzione di Masolino D’Amico, scorrevole e ritmata, della celeberrima versione cinematografica di Joseph Mankiewicz (1959) con Catherine Hepburn e Liz Taylor, adattata per lo schermo da Georg Vidal, con la collaborazione dello stesso Williams, sebbene edulcorata di ogni riferimento all’omofobia, una delle tematiche centrali dello spettacolo.

Lo spettacolo, tuttavia, manca di ritmo scenico e di una brillantezza che poteva essere apportata facilmente, date le caratteristiche del testo e della traduzione. Sebbene le situazioni paradossali che si moltiplicano sulla scena offrano ripetute e ghiotte occasioni, sono pochi i risvolti comici o il ricorso al registro grottesco. Lentissimo è il monologo finale di Catherine, la “scena della confessione”, nella quale il dottor Cukrowicz, in presenza di tutta la sconcertata famiglia, fa sì che la giovane traumatizzata riacquisti la memoria e racconti i fatti del tragico accaduto in preda a una violenta crisi. In questo caso, come a tratti lungo tutto lo spettacolo, risulta ridondante l’uso della musica a commento e sottolineatura dei momenti di vero pathos, già evidenziato, fra l’altro, da alcune pose plastiche assunte, in particolare, dall’attrice Elena Russo D’Arman.


un momento dello spettacolo
Cristian Giammarini e Elena Russo D'Arman
© Lara Peviani

Appesantisce ulteriormente il testo una ricerca estrema del livello d’astrazione, attraverso l’impiego, forse eccessivo, di effetti sonori: ad esempio la ripetuta emissione dei suoni registrati di strani uccelli esotici che escono improvvisamente dalle bocche delle attrici.


Questo monumentale allestimento di Improvvisamente l’estate scorsa è caratterizzato da una recitazione degli attori o drammatica, a tinte forti, caricata e scopertamente mirata a far commuovere lo spettatore, o eccessivamente misurata. L’effetto è da cinema mélo. Lo spettacolo sembra non aspirare alla tragedia, ma neanche al dramma borghese, sebbene il teatro di Williams ne offra l’occasione, affrontando tematiche scottanti come l’omofobia, l’ipocrisia e il perbenismo della vetusta società americana.


Improvvisamente l'estate scorsa
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