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Fatalità di un sogno (americano) disilluso

di Gianni Poli
  Morte di un commesso viaggiatore
Data di pubblicazione su web 27/02/2015  

 

Il Teatro dell’Elfo ha prodotto un’edizione integrale, quindi alquanto lunga, del capolavoro di Arthur Miller creato nel 1949. La scrupolosa fedeltà al testo e allo spirito dell’opera rende la rappresentazione seria e generosa, ma suscita perplessità l’insistenza con la quale le situazioni e i moventi dei personaggi vengono ripetitivamente sottolineati. La durata di tre ore e venti minuti, con intervallo, affatica gli attori (soccorsi dai microfoni) e lo spettatore, pure catturato da una prestazione appassionata. La recitazione è improntata a un naturalismo contemporaneo che recupera un sottotesto nelle pieghe più intime del copione e lo ricompone con pazienza. È merito del regista e protagonista Elio De Capitani, alla guida d’una compagnia di dieci attori, quasi un lusso necessario alla concezione di questa impresa ambiziosa, in cui anche i ruoli minori esaltano la consistenza dei protagonisti con apporti importanti.  

 

«È il sogno ad occhi aperti di Willy Loman» propone il regista «rifarsi attraverso suo figlio Biff, vederlo trionfare, avere successo, essere popolare. Willy ha sempre dato a bere a tutti di essere un grande venditore, ma non lo è mai stato e, nei suoi ultimi due giorni di vita, deve fare i conti con la realtà, con il proprio fallimento esistenziale. Nei figli ha alimentato le stesse illusioni, proiettando su di loro aspettative e delusioni, fino a minarne la felicità. Ormai incapace di stare nella realtà, non distingue più tra presente e passato, sogni e ricordi, tra quanto si agita nella sua testa (il titolo del testo avrebbe dovuto essere proprio The inside of his head) e la vita vera». Una lettura che comporta la strutturazione a flash-back, alternanza fra scene vissute e ricordi consolidati dall’immaginazione.

 

Un momento dello spettacolo.
Foto di Laila Pozzo.
 

Il «dramma in tre atti e un requiem», qui diviso in due tempi, si snoda coerentemente lungo un cammino di fatale tragicità annunciata, a partire dal rumore al buio d’uno schianto d’automobile. Il nucleo familiare dei Loman è retto su bugie reciproche, a volte pietose; paure e ipocrisie, vili o inette. Così il destino del commesso stanco e in crisi irreversibile si precisa nell’aggravamento del quadro clinico compromesso soprattutto nei rapporto coi figli, a loro volta velleitari e inconcludenti. Quando viene licenziato, Loman non riesce più a infondere loro lo slancio ottimistico a cui aveva attinto finora.

 

Il regista ambienta nel dopoguerra la messa in scena in un appartamento squallido di condominio, con tappezzerie in carta marrone screziata e consunta: camera e cucina con fuga sul giardinetto buio. I costumi aderiscono all’epoca. Le luci modificano a vista, assieme a pareti modulabili, i vani d’uno spazio costantemente claustrofobico (compreso l’albergo di Boston) tipico sia del dramma della solitudine del capofamiglia, sia delle insofferenze dei ragazzi per quei limiti. La moglie e madre, Linda, appare l’unica vera vittima. I rari accordi musicali si mescolano angosciosamente con qualche rintocco pianistico, eco di improbabile serenità. Orientata la fatalità verso la tragedia, la recitazione è soggetta a innumerevoli, intensi e impegnativi sbalzi di registro, con preminenza di sequenze esasperate fino al grido, con evidente sforzo psico-fisico. Il riproporsi di accuse, recriminazioni, liti, porta a un’accelerazione e compressione emotiva seguita da distensioni e spazi concessi al sogno, al gioco, all’illusione coltivata come consolazione.

 

Un momento dello spettacolo.
Foto di Laila Pozzo. 
 

Condizione che connota il padre e i figli, quando ad esempio sono coinvolti nella passione per il football, anch’esso inserito nella mitologia del successo. De Capitani ha nello smarrimento di Willy l’identificazione più esatta; nel controllo e nelle difese, la risposta più pietosamente umana al suo fallimento. Biff riceve in Angelo Di Genio un’immagine di viva contraddizione e le oscillazioni del suo carattere bene s’accordano al regime di vittorie (apparenti) e di sconfitte (rovinose). Marco Bonadei offre una refrattarietà costante alle emozioni profonde e dedica gli attimi più intensi e occasionali alle leggerezze del donnaiolo. Cristina Crippa è una Linda amorevole e succube a tutti, la cui debolezza resta nell’angustia d’una mediocrità incolpevole.

 

Precisi caratteri sorgono dal Charley schietto e corpulento di Federico Vanni e dal figlio Bernard, giovane e già in carriera; dallo zio Ben di Gabriele Calindri, stilizzato in vecchio, elegante avventuriero, col marchio del vincente. Vincenzo Zampa è lo sbrigativo datore di lavoro che licenzia il fedele collaboratore. Le altre quattro donne trovano in due attrici forte immediatezza espressiva. Marta Pizzigallo è la ragazza del ristorante e la segretaria. La donna dell’hotel ha, per Willy, la bellezza nuda, giovane e sfrontata di Alice Redini. A raffronto, richiamo l’edizione del Teatro di Genova (2005), giocata da Marco Sciaccaluga in una scenografia atemporale, con una recitazione di asciutto ed efficace realismo (per Eros Pagni e Orietta Notari), in una drammaturgia alleggerita ed essenzializzata.    

 

Morte di un commesso viaggiatore
cast cast & credits
 

 La locandina dello spettacolo

 

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