È questa presentata a Berlino la terza trasposizione cinematografica del romanzo dedicato da Octave Mirbeau a Célestine, domestica di provincia alla provincia restituita dopo una serie di esperienze presso opulente e borghesi case parigine. Uscito nel 1892 a puntate come feuilleton presso «LEcho de Paris», il diario scritto dalla cameriera durante lultimo dei suoi impieghi prima che una sciagurata passione la porti dallaltra parte della barricata e cioè ad essere anche lei sfruttatrice del lavoro femminile, è un atto di accusa violentissimo contro le ipocrisie di una società in cui le regole del bon ton nascondono abissi di prevaricazione e perversione. Ma anche gli oppressi non paiono migliori dei loro padroni, ora disposti in modo inerte ad ogni umiliazione, ora attenti a carpire ogni occasione non di riscatto ma di personale profitto. Il tutto sullo sfondo di quellantisemitismo strisciante che condurrà di lì a poco allaffaire Dreyfus, pesando moltissimo sulla coscienza francese per tutto il secolo successivo. La componente ideologica, unita al forte sottotesto erotico (campo di elezione della morale borghese a doppia faccia) e alla dominante perversione accumulatoria del denaro, ne hanno fatto uno dei più frequentati terreni di caccia per riduzioni teatrali e cinematografiche: celebri quelle di Jean Renoir con Paulette Godard (1946, con la collaborazione alla sceneggiatura dello stesso Mirbeau) e di Luis Buñuel con Jeanne Moreau (1964).
Una scena del film
Non si capisce bene cosa abbia spinto Benoit Jacquot, colto navigante di lungo corso del cinema francese, a questa prova. O meglio non si capisce bene la curiosa operazione di alleggerimento, e sostanziale banalizzazione, dei temi brucianti del romanzo. Tutto è come rarefatto, proiettato in una dimensione di accuratezza antiquaria, con i giusti giardini e la giusta mobilia, la giusta foga caricaturale dei personaggi di contorno (Monsieur e Madame Lanlaire, gli ultimi “padroni”, luno grottescamente erotomane, laltra soltanto devota al dio denaro). Senza sbavature le riprese di Romain Winding e impeccabili ambientazione e costumi (Anaïs Romand). Tutto scorre correttamente (e perciò inutilmente), in una elegante illustrazione. Misteriose restano le ragioni che hanno spinto Jean-Pierre e Luc Dardenne a impegnarsi nella produzione.
Parziale salvataggio viene dagli interpreti protagonisti: un fiero Vincent Lindon, cupo e sinistro Joseph, taciturno domestico tuttofare, ottimo interprete di quella France profonde che ancor oggi costituisce il bacino elettorale di Marine Le Pen e Léa Seydoux, protagonista assoluta e voce narrante. Non era certo facile rivestire i panni di Paulette Godard e di Jeanne Moreau ma la giovane interprete de La vie dAdèle ha talento da vendere e un viso straordinario che le permette, dietro lapparenza di lineamenti di pietra, tutte le sfumature del sentimento (e dellintelligenza). Ottima candidata alla vittoria come miglior interprete femminile.
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