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London A Cappella Festival 2015

di Michele Manzotti
  London A Cappella Festival
Data di pubblicazione su web 10/02/2015  

Dagli Stati Uniti con furore. Perché gli Straight No Chaser che hanno inaugurato la sesta edizione del London A Cappella Festival, manifestazione dedicata alla musica vocale nella capitale inglese, hanno presentato un concerto muscolare. Un'esibizione che i dieci cantanti, che hanno iniziato nel campus dell’Università dell’Indiana, hanno basato su coreografie, tecnica vocale e brani maggiormente legati al pop. Una scelta che si allontana dal jazz delle origini, dato che Straight No Chaser è anche il titolo di un noto standard di Thelonious Monk. Loro stessi, nel dedicare il concerto a Ward Swingle scomparso da dieci giorni, hanno ricordato come si fossero formati sui suoi arrangiamenti jazzistici. Ma, d’altra parte, il loro ultimo album Under the Influence ha partecipazioni di artisti pop come Dolly Parton, Elton John e Sara Bareilles

Alla Cadogan Hall, dove il festival organizzato dai The Swingles e Ikon Arts Management ha avuto il suo inizio, la formazione americana si è basata su pezzi di successo divenuti ormai classici come Happy di Pharrell Williams e Rolling in The Deep di Adele, passando ai vari medleys che hanno mostrato il punto di forza della scaletta. La data iniziale in Europa dell’Happy Hour Tour (unico concerto italiano il 16 febbraio ad Assago) ha mostrato una boy band un po’ cresciuta, ma eccellente dal punto di vista tecnico.


Il gruppo vocale King's Singers
©Haydn Wheeler

Tutt’altra atmosfera la sera successiva con i Kings Singers. Il gruppo vocale inglese, che da sempre spazia musicalmente dal Medioevo ai compositori di oggi con sconfinamenti nel pop, ha cambiato programma all’ultimo momento per la defezione forzata del controtenore David Hurley. Una circostanza che apparentemente non ha scalfito le loro caratteristiche principali: rigore nell’esecuzione e senso dell’umorismo tipicamente britannico. La serata, aperta dal quintetto londinese Apollo 5 con tre brani, ha avuto poche variazioni dallo schema tipico di una playlist del gruppo. In questo caso il punto di partenza è stato il XVI secolo (Lasso, Tallis, Sweelinck), a cui ha fatto seguito un salto fino all’Ottocento e al Novecento britannico francese. L’esecuzione delle Quatre petites prières de Saint Françoise dAssise composte da Francis Poulenc nel 1948 ha raggiunto la perfezione entusiasmando il pubblico del King’s Place che ospitava la rassegna.

C’è stato anche lo spazio per una prima assoluta della compositrice inglese Joanna Marsh su testo del poeta iracheno Abboud Al Jabiri dal titolo Fading. Quindi il gran finale con i brani tratti dall’album The Great American Songbook e una sorpresa per evidenziare i legami della comunità del canto a cappella: l’invito rivolto al coro Woofer, formato da soli bassi e ideato da Edward Randell dei The Swingles, a raggiungere i King’s Singers sul palco per un brano insieme. 


Il gruppo vocale The Swingles
©Haydn Wheeler

Il festival, dedicato alla memoria di Ward Swingle, è poi proseguito fino a sabato 31 gennaio con il consueto concerto finale dei The Swingles. Tra i sets da sottolineare quello degli Accent, una formazione con componenti provenienti da cinque paesi diversi. Il gruppo era al debutto, poiché prima di Londra si era esibito solo grazie a filmati registrati nelle rispettive abitazioni e poi montati insieme. Ispirati ai Take 6, gli Accent sono riusciti a fornire una prova convincente anche sul palco.

Poi il concerto dei finlandesi Club For Five, corazzata vocale capitanata dal basso profondo Tukka Haapaniemi. Infine il progetto canadese Countermeasure del cantante dei Cadence, Aaron Jensen, con il recupero del repertorio popolare del paese nordamericano esteso anche alle icone Joni Mitchell e Neil Young.




 
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