Il
sipario del Teatro del Giglio di Lucca si apre sulla scena unica che ospiterà
i cento minuti nei quali latto si articola. Buia la sala, lo
spettatore è proiettato su uno spazio sbilenco, scricchiolante, che
soffoca il palcoscenico
comprimendolo verso il proscenio con vertiginose corse in profondità
e di lato. Leggermente spostata sulla sinistra una parapettata in
legno mostra lo spaccato di interno, lo studio di Freud, mentre sul
lato sinistro la finestra “sbatte” sulla strada. Finestra come
porta, passaggio tra il dramma particolare e il contesto, apertura
possibile per entrate non accertabili e uscite incontrollate. Al
contrario, dalluscio in
fondo (sempre a sinistra) entrano abusi e soverchierie, ma sempre
bussando rumorosamente. Al centro dello studio, ancora, una porta
conduce a unaltra camera, che ci lascia solo sbirciare.
Se
questo impiantato scenico è schiacciato a sinistra, sul lato destro,
con evidenziata asimmetria, non cè nulla, o quasi. Lo studio si
apre a destra su uno spazio ambiguo, un
set,
una “scena” costituita da un proiettore e un drappo di sipario; scena che però mantiene una certa continuità con linterno di
sinistra grazie a un lampadario che cala dallamericana-luci,
anchessa a vista.
Binasco,
e con lui lo scenografo
De
Marino,
sembrano aver voluto contrapporre a un testo emotivamente forte, e
assolutamente di parola, una scena straniante. Siamo a teatro: Freud
è abituato a dissertare in forma di saggio, Haber si sposta verso
il riflettore per “recitare” i monologhi. Il visitatore,
Dio-
clochard-matto,
potrebbe essere entrato dalla finestra. Boni (ma limmagine ci
ricorda un suo Michelangelo
poco felice) striscia fuori da quel pezzo di sipario a destra dietro
il quale era rimasto nascosto durante lirruzione nazista.
Un momento dello spettacolo. Foto di Tommaso Le Pera.
La
teatralità è ostentata e cerca di rompere la facile immedesimazione
dalla quale però è difficile sfuggire, in particolare a causa della
straordinaria prova dattore di Alessandro Haber. Invecchiato,
dalla barba lunga e nascosto dietro spessi occhiali tondi, il volto
dellattore cattura lattenzione dello spettatore, straziato da
ogni suo rantolo. Quello di Haber è un Freud malato: il tumore alla
gola tormenta il personaggio proprio come il tremore, gesto-segno
costantemente sostenuto, costringendo lattore a una recitazione
spezzata, trattenuta, dolente. Haber pare abbia costruito il suo
personaggio dallesterno: non cè nulla di psicologico nel suo
tremare, e non cè nulla di meno psicologico del personaggio
dubbioso che quel tremolio crea.
Alla
base della sua interpretazione si percepisce quindi limposizione
di un ritmo velocissimo e continuamente spezzato, che raggiunge il
risultato di un faticoso e penoso inseguimento del filo del discorso
da parte di un uomo abituato a spiegarsi bene. Un uomo vecchio. Se il
bambino fa domande, se il vecchio fa domande – ci dice Freud –
ladulto si illude di saper rispondere. In realtà la risposta non
è mai definita. Il dubbio è lo stato costante in cui lessere
umano si trova a vivere, e chi si pone profondi interrogativi vive
con angoscia tale stato. Il visitatore acuisce le incertezze di Freud
e i loro discorsi indulgono sulla dialettica eterna tra fede e
scienza, uomo e Dio. Qui però siamo a teatro e il gioco che gli
attori creano è quello di uno scambio continuo di ruoli: il pazzo
che si fa analista, lanalista che si trasforma in malato,
lincredulità che diventa fede, che si fa disperazione e rimane
dubbio.
Alessio
Boni, solo un matto o forse Dio “solo”, scompare saltando dalla
finestra dalla quale si presume sia entrato; Haber-Freud, novello San
Tommaso a caccia di prove oggettive, gli spara mancando il bersaglio.
Alletà adulta del mondo Dio non offre prove e la fede rimane una
domanda a risposta aperta.