La scena è nuda, dominante al centro del palcoscenico solo una grande vasca da bagno e, sullo sfondo, la scritta a caratteri cubitali: «il teatro è loppio del popolo». Undici donne della compagnia del Teatro Drama di Ljubljana, il teatro nazionale sloveno, imperversano in un pazzo, colorato e sensuale carosello. Oliver Friljić, regista per metà bosniaco per metà croato, noto per le sue visioni provocatorie della realtà sociale contemporanea, decide di mettere in scena un testo poco conosciuto di Alexander Vvedenskij, Natale in casa Ivanov (1938), ricco di simbologie e metafore a sfondo sociale.
La politicizzazione della messinscena risulta latente, indiretta ma forte. Questo testo è considerato come precursore del filone del “teatro dellassurdo”, la storia è incentrata sugli avvenimenti della vigilia di Natale di una famiglia borghese russa del 1880. Unaustera e rigida tata (Silva Čušin), ha il compito di badare ai dieci figli della famiglia Puzyrev mentre i genitori sono a teatro. Nel momento del rito delle abluzioni quotidiane, la vigilia della festa si macchierà di rosso sangue. La sintesi scenografica racchiusa in unimponente vasca da bagno richiama alla mente quella nota e sanguinolenta del Marat di David. Non a caso Frljić si dedica essenzialmente al teatro politico: fil rouge delle ultime due sue stagioni al Drama, sono molteplici ispirazioni futuriste, da Marinetti a Majakovskij, volte a mettere in luce un clima teso di proteste e sommosse per una pretesa rivoluzione sociale slovena. Anche Natale in casa Ivanov è allinsegna della trasgressione.
Un momento dello spettacolo
© Peter Uhan
Lazione più significativa del regista Frljić è labbattimento del sistema dei ruoli: non esistono interpreti maschili, tutti i personaggi sono resi da un gruppo di dieci donne che si sono spartite le battute di tutti i protagonisti della storia. La scelta della spartizione, dice la drammaturga Eva Kraševec, è avvenuta in prova, sulla scena, senza nessun input proveniente dal regista. Le attrici si sono auto-dirette, scegliendo porzioni di testo secondo le proprie preferenze, costruendosi ciascuna una propria personale drammaturgia: dallomicidio della bambina Sonja per mano della rigida e spietata educatrice, atto che si moltiplica in scena ossessivamente; allarrivo della polizia; al processo alla colpevole; fino allospedale psichiatrico dove dieci affascinanti e stravaganti infermiere e dottoresse accolgono fra le loro “grinfie” la tata.
Lo spettacolo è interamente recitato con molta energia nella lingua madre degli attori (lo sloveno); la traduzione è a cura di Drago Bajt. Le dieci formidabili attrici sono tutte della compagnia del teatro nazionale sloveno: Barbara Cerar, Silva Čušin, Maša Derganc, Petra Govc, Nina Ivanišin, Sabina Kogovšek, Maja Sever, Nina Valič, Tina Vrbnjak, Barbara Žefran. Queste compongono un potente “coro greco”, danzante e cantante, secondo una scelta registica azzardata ma vincente che esalta un teatro estremamente fisico. Al primo sguardo è evidente che questo spettacolo non nasce a tavolino, ma dalla reiterazione di svariate prove e da meditati interventi registici costruiti sullimprovvisazione.
Un momento dello spettacolo
© Peter Uhan
Capitanate dallimpeccabile tata Silva Čušin, contraddistinta da una recitazione intensa, le interpreti dimostrano bravura e un alto livello di partecipazione attiva sulla scena, disegnando incessantemente per tutta la durata dello spettacolo partiture fisiche dinamicissime, ricche di movimenti, coreografie, intrecci di corpi e ascendenze vocali che si sviluppano e prendono forma dalla musica: dalle note del Yumeji's theme di Laurent Korcia, passando per quelle celebri de Le Carnaval des Animaux fino al celebre Amarcord felliniano.
Anche la musica è un personaggio, per uno spettacolo che sconfina nel musical, per una “drammaturgia dattore” che esalta la creatività e la bravura delle interpreti. Lo spettacolo, tuttavia, non è carente di una visione dinsieme e di una direzione registica: Frljić suggestiona lo spettatore calandolo in differenti e variopinte atmosfere che si susseguono con rapidità. Spicca una netta decomposizione di ogni singolo elemento drammatico. Si configura così una scrittura scenica solo apparentemente no sense, dove il significato si manifesta compiendo una serie di associazioni semantiche, accostando i vari elementi di un mosaico composto e caratterizzato da unabile creazione e ricreazione della scena ad opera del regista e delle attrici.
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