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Il cinema ritrovato 2014, polvere di stelle.

di Diego Battistini
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Data di pubblicazione su web 18/07/2014  

Conclusasi lo scorso 5 luglio, la XXVIII edizione di «Il cinema ritrovato» di Bologna ha evidenziato una volta di più la volontà del direttore Peter Von Bagh e del presidente della Cineteca Nazionale Gianluca Farinelli: fare della manifestazione della manifestazione un’occasione di dialogo oltre che con gli addetti ai lavori (restauratori, studiosi, giornalisti e studenti), anche con il grande pubblico. Per tale motivo l’offerta è stata capace di attrarre tutte le tipologie di spettatori, puntando sul lato glamour di alcune scelte (l’omaggio a James Dean) e, come per contrasto, proponendo pellicole inedite capaci di riempire gli occhi e il cuore.

Senza ombra di dubbio la rassegna più interessante è stata quella dedicata ai film pacifisti girati intorno al 1914, inclusa nella sezione Cento anni fa. Intorno al 1914. In concomitanza con l’anniversario dei 100 anni dall’assassinio, per mano di Gavrilo Princip, dell’Arciduca Francesco Ferdinado dAustria (28 giugno 1914), il Festival ha proposto rare pellicole pacifiste girate proprio in quegli anni, come il danese Ned med vaabnene! (Giù le armi, 1914), diretto da Holger-Madsen (se sceneggiatura di Carl Theodor Dreyer) e il belga Maudite soit la guerre (Maledetta sia la guerra, 1914) di Alfred Machin. Sempre nella medesima rassegna sono state presentate anche pellicole successive alla metà degli anni ’10, ma aventi come oggetto la Prima Guerra Mondiale. È il caso degli straordinari Les croix de bois (Le croci di legno, 1931) di Raymond  Bernard, del quale è difficile dimenticare le realistiche sequenze di battaglia, e The Man I killed (Luomo che ho ucciso, 1932) di Ernst Lubitsch.


Cabiria
Cabiria


Rimanendo nell’ambito del cinema del 1914, sono da segnalare almeno altre due proiezioni: quella del serial francese Fantômas di Luis Feuillade (1913-1914), che ha riscontrato grande interesse, e l’evento Cabiria (1914). Il film di Giovanni Pastrone è stato presentato - nella copia restaurata dal Museo del Cinema di Torino - al Teatro Comunale di Bologna, con l’accompagnamento dell’orchestra del teatro diretta da Timothy Brock. Sicuramente una delle proiezioni più affascinanti di questa edizione.

Il cinema in guerra contro Hitler ha raccolto invece una serie di opere di diversa provenienza (Stati Uniti, Inghilterra, Francia e U.R.S.S.). Da segnalare il curioso documentario del giornalista americano Cornelius Vanderbilt Jr. (con il contributo di Mike Mindin), dal titolo Hitlers reign of terror. Presentato una prima volta nel 1933, senza essere preso in considerazione dall’opinione pubblica, Vanderbilt lo rieditò nel 1939 (versione mostrata al Festival) a mo’ di rivincita personale verso chi aveva giudicato il suo documentario poco credibile in anni in cui il Nazismo non era ancora percepito come una minaccia.


Good Bye My Lady
Good Bye My Lady

La Nouvelle Vague polacca e il cinemascope ha presentato alcuni dei film più interessanti della rassegna bolognese. La Seconda Guerra Mondiale è al centro dei film Pierwsky dzień wolności (Il tramonto degli eroi, 1964) di Aleksander Ford, crudo resoconto dei soprusi dei soldati polacchi in Germania alla fine della guerra, e Paseerka (La passeggera, 1963), opera incompiuta di Andrzej Munk, incentrata sul rapporto tra la prigioniera ebrea Marta e la guardia Lisa nel campo di sterminio di Auschwitz. Completamente diverso rispetto alle due opere precedenti è il film di Wojciech Has, Rękopis znaleziony w Saragossie (Il manoscritto di Saragozza, 1964). Pellicola surrealista, molto amata da Luis Bunũel, Il manoscritto di Saragozza racconta le peripezie di un nobile nella Spagna del Settecento e la sua struttura a scatole cinesi conduce protagonista e spettatore in una realtà alterata che assume sempre più le forme di un incubo.

Curata da Shiveda Singh Dungarpur della Film Foudation, la rassegna Anni cinquanta, letà delloro: classici indiani da salvare ha riscontrato enorme successo. Il titolo più rappresentativo è stato sicuramente Awara (1951) di Raj Kapoor. Liberamente ispirato alla figura del vagabondo di Chaplin, il fascino del film risiede nella capacità del regista coniugare l’insegnamento neorealista di Vittorio De Sica (da Sciuscià a Miracolo a Milano) a un virtuosismo stilistico degno di Orson Welles.

La presentazione dei film di William Wellman (William Wellman, tra muto e sonoro) è stata seguita con interesse, in modo particolare da studiosi e critici cinematografici. I film proposti hanno cercato di tracciare un percorso lineare, dagli esordi fino agli anni della maturità. Tra le pellicole presentate vanno sicuramente citati il muto Beggars of life (1928), on the road con protagonista Luise Brooks, la Lulù di Georg Willem Pabst (Il vaso di Pandora, 1929) e uno dei primi film sonori del regista, Other mens woman (1931). Altro titolo degno di nota è stato Wild boys of the road (1933), pellicola dedicata alla Grande Depressione, vista attraverso le vicissitudini di alcuni ragazzi. Opere della maturità possono invece considerarsi la scoppiettante commedia Nothing sacred (Nulla sul serio, 1937), su sceneggiatura di Ben Hecht e con protagonista Carole Lombard, la cui sfortuna (rimase vittima di un’incidente aereo) fu pari al suo talento, e A star is born (È nata una stella, 1937), dal quale George Cukor trasse in suo famoso remake negli anni ’50. È forse però nel genere western che Wellman ha raggiunto gli apici della sua carriera artistica. I titoli presentati sono stati tre: The ox-box incident (Alba tragica, 1943), un western degno di John Ford, Yellow Sky (Cielo giallo, 1948) e Westward the woman (Donne verso lignoto, 1951), insolito western al femminile tratto da un soggetto di Frank Capra. Il film scelto per concludere la rassegna è stato invece Good-bye my Lady (Addio, Lady, 1956). Non si tratta dell’ultimo film del regista - ne girerà ancora due -, bensì quello a cui era più affezionato. Ambientato nell’America profonda, sulle rive del Mississipi, il film di Wellman racconta l’amicizia tra un ragazzo e un cane di razza basenji (a cui darà il nome Lady), ed è un delicato racconto di formazione che strappa una lacrima anche allo spettatore più composto.

Certamente più contenuto l’entusiasmo che ha contraddistinto l’omaggio rivolto al cinema di Riccardo Freda (Riccardo Freda, un maestro del cinema popolare). La rassegna ha voluto mettere in evidenza l’importanza del regista nella storia del cinema italiano e la sua “egida” sugli sviluppi del cinema horror italiano e dello sceneggiato televisivo. Per quanto concerne il genere horror si possono identificare come capostipiti film quali I vampiri (1956) e Lorribile segreto del dottor Hichcock (1962); mentre I miserabili (1948) - presentato al cinema in due episodi, Caccia al ladro e Tempesta su Parigi - è il punto di riferimento per i serial televisivi trasmessi dall’emittente RAI dall’inizio del 1954. Tra gli film di Freda presentati non si può non citare il bellissimo Beatrice Cenci (1956). Contraddistinto da un uso del colore eccezionale, basterebbe solo la sequenza iniziale del film - la protagonista che corre in un bosco durante una notte piovosa - per fare del film un classico (non a caso è una delle opere più amate da Bertrand Tavernier).


My darling Clementine
My darling Clementine

Ma, come tutte le manifestazioni, anche la XXVIII edizione di Il cinema ritrovato ha avuto un vero protagonista: James Dean. Morto troppo giovane per dimostrare il proprio potenziale, vedere Dean sul grande schermo è stata quasi una scoperta del suo straordinario talento. Più che in Rebel without a cause (Gioventù bruciata, 1955) di Nicholas Ray e in The Giant (Il gigante, 1956) di George Stevens, è nell’interpretazione di Cal Track nel capolavoro di Elia Kazan East of Eden (La valle dellEden, 1955) che si può davvero apprezzare lo stile rivoluzionario dell’attore.

Concludiamo il nostro exurcus passando in rassegna i film convogliati nell’ampia sezione Ritrovati e restaurati. Citiamo solo alcune delle opere proposte: Das cabinet des Dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1920) di Robert Wiene, il bellissimo The Temptress (La tentatrice, 1926) di Fred Niblo, con una accattivante Greta Garbo nel ruolo della seduttrice, La paura (1954) di Roberto Rossellini e Matrimonio allitaliana (1964) di Vittorio De Sica. Il pubblico serale di Piazza Maggiore è stato invece incantato da Le jour se lève (Alba tragica, 1939), diretto da Marcele Carné, sceneggiato da Jacques Prévert e interpretato dal magnetico Jean Gabin, The Merry widow (La vedova allegra, 1920) di Eric Von Stroheim, l’imperfetto ma fascinoso noir di Orson Welles, The Lady from Shangai (La signora di Shangai, 1946), con una conturbante Rita Hayworth e Salvatore Giuliano (1961) di Francesco Rosi, presentato per l’occasione dal regista Giuseppe Tornatore. Straordinari i restauri del capolavoro di John Ford My darling Clementine (Sfida infernale, 1946) - che rivive di nuovo splendore -, del musical diretto da Fred Zinneman Oklahoma!, e quello, a cura della Cineteca di Bologna, di Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone.





Il cinema ritrovato
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