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Serata Petit alla Scala

di Gabriella Gori
  Serata Petit
Data di pubblicazione su web 25/06/2014  

 

Che cosa accomuna in Serata Petit due balletti così diversi come Le jeune homme et la mort e Pink Floyd Ballet? Senza dubbio la firma di Roland Petit, uno dei più originali coreografi del Novecento scomparso nel 2011 a ottantasette anni; di sicuro l’omaggio che il Teatro alla Scala rende all’artista riproponendo due suoi acclamati lavori. Il primo, un masterpiece del 1946 che sancì nove anni dopo l’inizio della collaborazione tra Petit e il Piermarini; il secondo, un eccentrico e visionario spettacolo che debuttò alla Scala nel 2009 e segnò l’ultima apparizione milanese di Petit. 

 

Non bisogna dimenticare poi la presenza dell’ottimo corpo di ballo, sommata come di consueto a quella di attese étoiles, in questo caso Ivan Vasiliev, che interpreta per la prima volta alla Scala Le jeune homme et la mort e accompagna nel debutto la prima ballerina Nicoletta Manni.

 

Detto questo però quello che sorprende è come due balletti apparentemente così distanti anche anagraficamente - tra il primo e il secondo ci corrono ben ventisei anni - siano in realtà vicinissimi e uniti dalla indiscussa capacità di Roland Petit di saper  ricreare le atmosfere di epoche che furono e sono ancora parte della nostra storia. Assistere a Serata Petit è come ritrovarsi per magia proiettati in un vissuto che coinvolge, fa scoprire alle giovani generazioni o riscoprire a quelle agé cosa siano stati e cosa abbiano significato il secondo dopoguerra e gli altrettanto importanti anni Settanta, impartendo una lezione artistico-culturale che il pubblico recepisce in pieno e a cui risponde con applausi veri e spontanei.

 

Le jeune homme et la mort  nacque dall’incontro tra il romanziere e drammaturgo Jean Cocteau, autore del libretto, e il ventiduenne Petit che realizzò la coreografia sulla Passacaglia in do minore di Bach, orchestrata da Ottorino Respighi. Un “mimodrame”,  come lo definì Cocteau, che diventò un classico della danza moderna riscuotendo  un immediato e meritato successo al Théātre des Champs-Élysées di Parigi anche grazie alle anguste ed oppressive scene di George Wakhévitch, agli ordinari ma al tempo stesso ricercati costumi di Karinska e alle luci soffuse e taglienti di Jean-Michel Désiré.

 

La trama di questo ‘atto unico’ è presto detta: nel disordine di una soffitta stracolma di oggetti, sedie, una tavola, panchetti, tele, disegni, un giovane pittore in salopette è abbandonato sul divano e fuma, preda di un’angoscia esistenziale che non gli dà pace. All’improvviso si alza, guarda l’orologio, spegne la sigaretta, si muove febbrilmente per la stanza, aspetta qualcuno. Questo qualcuno alla fine arriva, è una Lei con indosso un abito in lycra giallo canarino e un caschetto di capelli neri ‘alla Juliette Gréco’. Lui, visibilmente innamorato, la supplica di restare mentre ingaggiano in mezzo agli arredi una lotta incessante dalla quale il giovane esce sconfitto. Lei se ne va e lui si impicca penzolando da una corda appesa ad una trave. Inaspettatamente, dai tetti, arriva una elegante figura femminile in abito da sera bianco, copricapo e lunghi guanti rossi con una maschera sul volto. E’ la Morte che prima ha danzato con il pittore e ora si appropria della sua anima  appoggiando la maschera sul viso dell’uomo e portandolo con sé attraverso i comignoli di una Parigi notturna e illuminata da insegne pubblicitarie. 
 


Foto di scena: Marco Brescia & Rudy Amisano

 

Ivan Vasiliev, Primo Ballerino del Bol’šoj e del Balletto Mikhailovsjkij, Principal Dancer dell’American Ballet Theatre e special guest della Scala, regge il confronto con nomi culto che hanno interpretato questo ruolo  a cominciare da Babilé nel 1946, per proseguire con Nureyev in un film televisivo, con Baryshnikov in alcune scene ne Il sole a mezzanotte di Taylor Hackford, con Bonino, supervisore della coreografia e con lo stesso Bolle, entrando così, di diritto, nel novero dei più apprezzati e apprezzabili “jeune homme”.

 

Ivan riesce ad esprimere l’accidia del personaggio nelle prorompenti variazioni, trasforma la tavola e la sede in occasionali e respingenti partner, mostra una gestualità teatrale ed esistenziale nel modo di atteggiarsi, di manipolare la sigaretta, di cercare dentro se stesso le sfuggenti ragioni dell’esistere.

Ancora più disperato diventa quando incontra la ragazza in un duetto d’amore impossibile per l’indifferenza e l’insofferenza di Lei, una brava Nicoletta Manni nei panni della sprezzante e disinvolta Ragazza e in quelli  della mortifera e altezzosa Signora. Tanto Ivan quanto Nicoletta sulla Passacaglia di Bach, volutamente scelta per sottolineare il contrasto tra la tranquillità e l’armonia della musica e la sofferenza e lo strazio della vicenda, non lasciano dubbi su quello che Sartre definiva lo “scacco dell’Amore”. Quell’inutile tentativo di realizzare l’unità tra l’io e l’altro in cui ognuno vuole essere per l’amato l’oggetto assoluto, il mondo, la totalità infinita. Ma desiderando entrambi la stessa cosa, l’unico risultato dell’amore è un conflitto aperto, strisciante e inevitabilmente votato al fallimento in cui la Morte è l’unico dato certo.

 

E se Le jeune homme et la mort  riflette in pieno il clima esistenzialista del secondo dopoguerra e trova il suo corrispettivo narrativo ne La nausée di Sartre, lo stesso dicasi per la capacità di Petit di ricreare le atmosfere degli anni Settanta in Pink Floyd Ballet. Un “concerto danzato” frutto della sintonia tra una raffinata band rock inglese e un coreografo francese geniale e curioso. Fu Valentine, la figlia diciassettenne di Petit a far scoprire al padre il gruppo britannico e a convincerlo che per danzare non c’era di meglio che le loro canzoni. Cosa che accadde nel megaspettacolo allestito al Palais des Sports di Marsiglia il 13 gennaio 1972 con i Pink Floyd che suonavano dal vivo su un palco, mentre su una piattaforma sottostante il Balletto di Marsiglia in calzamaglia bianca dava il proprio contributo. Tutti avvolti da una nube di fumogeno e fagocitati dall’illuminazione psichedelica di Arthur Max, stretto collaboratore dei Pink Floyd.

 


Foto di scena: Marco Brescia & Rudy Amisano

 

Un tripudio di suoni, voci, luci, video proiezioni, coreografie, che ancora oggi mostra inalterato il suo fascino e trascina lo spettatore in un turbinio di emozioni dettate da un puro rock progressivo, da un’adamantina tecnica classica, da un teatro che rivela una camaleontica disponibilità ad accogliere linguaggi espressivi diversi. Balletto concertante, Pink Floyd Ballet è una partitura coreografica astratta che fa da contrappunto a quella   musicale - su base registrata - dei magnifici Roger Waters, David Gilmour, Rick Wright, Nick Manson, e alterna moduli espressivi fissi della danse d’école tra pas de deux, solo variation, pas de trois, pas de six, ensemble. Un continuo fluire di figurazioni geometriche e lineari, rese però con un sapore tutto moderno, che colpisce per l’osmosi con la raffinatissima musica dei Pink Floyd, con il light design anni Settanta di Jean-Michel Désiré e la bravura del Corpo di Ballo.

 

Ecco allora dalla compilation Obscured by Clouds l’omonimo brano elettronico ballato dall’ottimo Christian Fagetti e ripreso dall’intero organico, e il metallico When you’re in, un intenso duo maschile con Federico Fresi e Christian Fagetti. Da Relics è tratto l’estraniante Careful with that Axe, Eugene, di cui Antonioni utilizzò una versione nel celeberrimo Zabrinskie Point, presentato al Piermarini dal sorprendente sestetto formato da Paola Giovenzana, Virna Toppi, Antonina Chapkina, Carlo Di Lanno, Massimo Garon, Fabio Saglibene.

 


Foto di scena: Marco Brescia & Rudy Amisano

 

Ma a farla da padrone sono gli album The Dark Side of the Moon e Meddle con pezzi che hanno fatto la storia del rock. Dal primo non poteva mancare l’aggressivo Money che apre Pink Floyd Ballet, seguito dal leggendario The Great Gig in the Sky diventato uno strepitoso duetto con Emanuela Montanari e Mick Zeni; dal secondo il carezzevole Echoes e il rutilante e ossessivo One of these day  riproposto nel finale con i ballerini proiettati su uno schermo gigante e sommersi dagli applausi del pubblico che li costringe a un richiestissimo bis. Stremati, stravolti, sudati eppure felici, i danzatori  generosamente non si risparmiano, danno fondo a tutte le loro ultime energie mentre la suggestiva musica dei Pink Floyd risuona e sicuramente Roland Petit, “il grande vecchio” della danza, da lassù sorride soddisfatto.     

 

 

Serata Petit: Le jeune homme et la mort e Pink Floyd Ballet
cast cast & credits
 

Le jeune homme et la mort: Le Jeune Homme (Roberto Bolle); La Mort (Marta Romagna).
Le jeune homme et la mort: Le Jeune Homme (Roberto Bolle); La Mort (Marta Romagna).

Foto di 
Marco Brescia & Rudy Amisano

 
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