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Una Traviata orientaleggiante firmata Özpetek

di Giovanni Fornaro
  La Traviata
Data di pubblicazione su web 04/04/2014  

 

Credo che un teatro di qualità possa meritare attenzione per ogni proposta, per cui questa è una recensione relativa al secondo cast de La traviata, andata in scena presso il Teatro Petruzzelli di Bari dal 23 marzo al 3 aprile 2014, in co-produzione con il Teatro San Carlo di Napoli.

 

Si tratta di un allestimento i cui protagonisti principali sono ampiamente conosciuti al grande pubblico: Ferzan Özpetek alla regia, Daniele Rustioni alla direzione d’orchestra, Dante Ferretti alle scene e Alessandro Lai ai costumi.

 

Certo oggi non è facile dire qualcosa di nuovo in un titolo come La traviata. Il regista italo-turco rimane in un solco che non si discosta radicalmente dalla tradizione, ma ci mette del suo attraverso uno slittamento in avanti dell’azione di circa sessanta anni quando, negli anni ’10 del Novecento, una certa iconografia orientaleggiante divenne di moda in Europa e, in particolare, proprio nella Parigi in cui la vicenda di Violetta si svolge. Ecco allora che il salotto del primo atto si caratterizza per la presenza di grandi cuscini sul pavimento, di chaises longues e di elementi d’arredo in stile ottomano, nonché di servitori i cui abiti e copricapo fanno chiaro riferimento alla Turchia mentre, nel secondo atto, il giardino in cui i due protagonisti amoreggiano presenta elementi architettonici sormontati dalla mezzaluna. Ma anche Venezia è molto presente nell’iconografia di questo spettacolo, ad esempio con la festa quasi carnascialesca del secondo atto, pur in presenza di matador, tori fittizi e costumi spagnoleggianti i quali, ad ogni modo, sono coerenti con la storia e la toponomastica della più bella città del mondo (ove, peraltro, si tenne la prima della Traviata, il 6 marzo di centosessantuno anni fa, al Teatro La Fenice).

 

Foto di Carlo Cofano
 
 

La matrice cinematografica non è disconosciuta dal regista, sin dal bellissimo incipit in cui, sul sipario ancora calato, appare la proiezione del volto in primo piano di Violetta (qui il soprano Francesca Dotto) che si muove molto dolcemente in slow-motion, guardando intensamente verso il pubblico, mentre si sentono le note della struggente ouverture.

 

 Siamo così catapultati nella storia de “La Dame aux camelias”, il romanzo (e poi pièce teatrale) di Alexandre Dumas figlio, utilizzato da Verdi per il libretto, grazie a Francesco Maria Piave.

 

La corretta lettura di Özpetek trova una sostanza davvero esemplare sia nei costumi, bellissimi che (soprattutto), nelle stupende scene del grande Dante Ferretti.

 

Questo genio del cinema e del teatro, più volte vincitore del premio Oscar, è troppo noto per accennare qui al suo eccezionale lavoro per memorabili masterpieces di Pierpaolo Pasolini, Federico Fellini, Martin Scorsese, Neil Jordan, Tim Burton, Terry Gilliam, Jean-Jacques Annaud, Franco Zeffirelli e tanti altri.

 

Ferretti si è anche molto impegnato in allestimenti scenici di opere liriche, tra le quali una Traviata per Liliana Cavani (1982). Il suo lavoro, in questo allestimento per il San Carlo e il Petruzzelli, è tripartito come gli atti. Al bellissimo ed esotico salone del primo, si aggiunge il quieto giardino del secondo atto, con un alto cancello sulla destra sormontato da cupolette ottomane e un muro sul fondo che, in realtà, nasconde la vera sorpresa, svelata dopo il cambio scena: una incredibile, altissima scalinata monumentale che si eleva poi verso sinistra, fiancheggiata da lampioni sferici e avvolta in una lieve foschia molto “lagunare”.

 

Su questo importante elemento architettonico si muovono alcuni personaggi, fra cui i ballerini – coreografie di Luigi Neri – della scena zingaresca (“Noi siamo zingarelle”) e, soprattutto vi si allontana Violetta, umiliata da Alfredo che le getta con disprezzo del denaro alla fine dell’atto, una scena altamente drammatica il cui spessore simbolico (il rifiuto di essere considerata una meretrice) appare molto chiaramente, mentre sale di spalle, lentamente, l’enorme scalinata.

 

La calibratura effettuata dal regista sulle scene di Ferretti prosegue nell’ultimo, tragico atto, quando la scelta è puramente astratta.

 

In effetti di “spazio astratto di luce” parla lo scenografo nelle note di sala (disegno luci di Giuseppe Di Iorio), descrivendo uno spazio totalmente al buio, tranne un luminosissimo letto bianco, ove la morente Violetta, in vestaglia dello stesso colore, attende il suo destino ineluttabile. I vari personaggi della storia appaiono sulla scena per pochi secondi, in una sorta di onirico flashback, illuminati in fasci di luce che subito scompaiono, riportandoli all’oblio da cui provengono. Resta il dolore di tutti: della protagonista che vede sfumare, con la vita, l’unico amore, della sua assistente Annina, del medico e, soprattutto, del vecchio Giorgio Germont, che solo ora capisce il sentimento fra Violetta e suo figlio, e di Alfredo, tornato precipitosamente dall’estero solo per assistere alla dissoluzione fisica della donna.

 

Se nell’Ottocento il senso moraleggiante della parabola di Violetta non poteva che essere la redenzione, per raggiungere la quale la donna deve espiare morendo, oggi questa lettura appare totalmente anacronistica, perché il mondo e la nostra sensibilità sono cambiati.

 

Rimane il senso di vuoto per ciò che avevamo intravisto, per questo amore che poteva essere seminale e che invece rimane sterile e congelato nell’attimo della scomparsa della protagonista, a cui tutti non si rassegnano ma che tutti devono, invece, accettare loro malgrado.

 

Foto di Carlo Cofano
 

Relativamente alle voci di questo cast, molto brava è sembrata la protagonista, la bella ventiseienne trevigiana Francesca Dotto, in un ruolo faticoso che riesce a sostenere benissimo, a suo agio nei pianissimi sostenuti e sulle note più alte (meno in alcuni attacchi e nel registro più grave), come interessantissima la voce del tenore brasiliano Atalla Ayan, dal timbro più ambrato dell’usuale che svela lati del personaggio di Alfredo non sempre facili da identificare.

 

Molti applausi per Alessandro Luongo, un Giorgio Germont che ha agevolmente sostenuto un ruolo vocale non semplice, a cui forse manca solo di aggiungere un certo piglio attoriale, bravi tutti gli altri: Annunziata Vestri (Flora Bervoix), Simona Di Capua (Annina), Massimiliano Chiarolla (Gastone), Gianfranco Cappelluti (Barone Duphol), Domenico Colaianni (Marchese D’Obigny).

 

Il giovane ma già autorevole direttore Daniele Rustioni, molto impegnato su prestigiosi palcoscenici di tutto il mondo, ha svolto con l’Orchestra del Teatro Petruzzelli un lavoro particolarmente interessante, scarnificando il suono in modo da consentire una più facile identificazione degli elementi musicali. Pur mantenendo la dinamicità e la forza dei pieni orchestrali e del coro (preparato da Franco Sebastiani), i timbri appaiono nitidi, si distingue benissimo il lavoro dei singoli strumenti o delle sezioni, con i rapporti armonici e ritmici, quasi come se a suonare fosse una orchestra da camera, esaltando in questo modo la vera protagonista della Traviata, una musica sublime che si “muove” in scena come se fosse un personaggio a se stante, accompagnando Violetta, attraverso arie indimenticabili, nei meandri dei suoi sentimenti più profondi.



La Traviata
Melodramma in 3 atti


cast cast & credits



 
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