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Raffreddati del fieno

di Caterina Nencetti
  Marcovaldo
Data di pubblicazione su web 18/03/2014  

 

Quando il «New York Times» gli chiese quale personaggio della letteratura avrebbe voluto essere, Italo Calvino rispose: «Vorrei essere Mercuzio. Delle sue qualità, ammiro soprattutto la leggerezza, in un mondo pieno di brutalità, l’immaginazione trasognata [...] e al tempo stesso la saggezza [...], un Don Chisciotte che sa benissimo che cosa è sogno e cosa realtà, e li vive entrambi ad occhi aperti»[1]. Un giornalista e un intellettuale improvvisamente si trasformano in due bambini e si preparano alla recita: «Tu chi vuoi fare?». Un’immagine bizzarra passa per la testa... ma andiamo per ordine.

 

Gianfranco Pedullà ha scelto Marcovaldo per il suo ultimo allestimento con il Teatro Popolare d’Arte di Lastra a Signa. Pubblicata nel 1963, ma scritta a partire dagli anni ’50, la raccolta di racconti narra la vita di un operaio e della sua stramba famiglia. Quale amante della natura non ancora addomesticato dalla città, Marcovaldo è da difendere. Ogni sua azione è ingenuamente concepita. Molte sue pazzie partono da principi sbagliati, si organizzano poi con raziocinio e si risolvono, alla fine, in modo surreale, per colpa di altre pazzie. Marcovaldo non si chiede se i funghi sono velenosi, prepara un piano per raccoglierli e mangiarseli, finché le conseguenze del sospetto e dell’invidia del resto del paese, portano tutti all’ospedale.

 


Marco Natalucci e Gianna Deidda (Foto di Alessandro Botticelli)

 

Il protagonista è Marco Natalucci: fisico che accoglie naturalmente impermeabile e berretto, espressione stralunata e uso furbo della mimica come a far credere di star seguendo il dettame del narratore. Quest’ultimo, Roberto Caccavo, è voce fuori campo e non, è più voci e più personaggi. Quando è sul palco, soffia via per sé tutte le risate. Quando è voce, e Marcovaldo sembra rispondergli a tono, il gioco che si crea tra i due è, per riflesso, di complicità col pubblico.

 


Marco Natalucci e Gianna Deidda (Foto di Alessandro Botticelli)

 

La sabbia disegnata da Fatmir Mur determina un effetto suggestivo e astratto. Le musiche (Jonathan Faralli) divertono lo spettatore, tra ritmi da disco dance e citazioni di un’Italia “industrializzante” e già malinconica, rispettosamente presa in giro. La regia ben muove queste pedine sulla scacchiera e crea un’atmosfera di città, di situazioni e di vita poco chiare. Come dentro una palla di vetro con la neve cadente, tutto si propone scopertamente finto, ma affascinante.

 

Calvino non è da biasimare quando va a pescare nei secoli d’oro per citare due personaggi in cui immedesimarsi. Nel suo Marcovaldo, è persino troppo facile vederne l’erede. Il pubblico dal muso lungo però non crede a niente e fa rimbalzare sui muri della sala la tua risata e quella di pochi altri. Reazioni minime, prima del coprifuoco generale. Siamo sicuri che bambini e ragazzi sarebbero spettatori migliori, degni di chiamarsi tali.



[1] Intervista contenuta in «The New York Times Book Review», LXXXIX, 49, 2 dicembre 1984, cit. in Italo Calvino, Eremita a Parigi, Milano, Mondadori, 2009, p. 239 [1a ed. Milano, Mondadori, 1994].

 

 


Marcovaldo
cast cast & credits
 



Sopra: Marco Natalucci, Roberto Caccavo e Gianna Deidda
 
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