Su una scena che riproduce un interno plurifunzionale, in cui la luce apre e chiude le porte degli altri spazi della casa, definendoli, si raccoglie, intorno a una tavola da pranzo ben apparecchiata, simbolo di una quiete familiare ormai consolidata, una famiglia qualunque composta da padre (Giorgio Colangeli), madre (Michela Martini) e dai tre figli adulti. Due figlie, Elena (Vanessa Scalera) e Marta (Aurora Peres) e il figlio Francesco (Filippo Gili, anche autore del testo).
Prima di andar via, per la regia di Francesco Frangipane, mette in scena la reazione ad una sconcertante confessione: Francesco-Gili, figlio monocorde nella sua depressione da vedovo, annuncia la decisione del proprio imminente suicidio, la famiglia reagisce. Allapparente armonia di partenza subentra il caos - ben rappresentato dalla tavola che lentamente si svuota e scompare in graticcia – e infine lo spaesamento perenne. Finale sospeso tra luscita del figlio – forse per mai più ritornare – e lattesa di una famiglia condannata a metabolizzare il trauma.
Loperazione drammaturgica, nata nel 2001 come omonima sceneggiatura cinematografica, scandaglia la possibilità di mettere in scena la tragedia in una società (si ringrazi la crisi economica) in cui anche il suicidio pare programmabile al pari delle prossime vacanze estive, purtroppo, cioè, abituale. Lassetto cinematografico persiste anche nella trasposizione teatrale, o perlomeno a noi è sembrato: lallestimento, nato in suo particolare spazio, lArgostudio, teatro indipendente romano, prevedeva che linterno-ring della casa fosse accerchiato dallestrema vicinanza del pubblico, collocato sui lati della scena. Unimpostazione spaziale di tal specie metteva chiaramente in gioco un tipo di fruizione completamente diversa, adatta probabilmente al testo e alla recitazione degli attori.
Nella sala piccola della Città del Teatro di Cascina, il regista ha tentato un pericoloso esperimento posizionando parte del pubblico sul palco (tra cui chi scrive) e parte in platea. Esperimento non riuscito in quanto si è creata una sfasatura non democratica riguardo al tipo di spettacolo fruito: due prodotti completamenti diversi. Unesperienza diretta e ravvicinata per chi ha goduto di un rapporto intimo con gli attori, potendo cogliere i toni, bassi, della loro recitazione, i sussurri e le espressioni dei volti, spesso indirizzati verso il fondo del palco e non verso il boccascena. Una visione di qualità assolutamente scadente per gli sfortunati in platea, che si sono trovati ad assistere ad una ripresa cinematografica, ma senza il sonoro (oltre le prime file la voce degli attori non è arrivata), dovendo inoltre sopportare lapparato coreografico di un pubblico, la cui presenza non era narrativamente o scenicamente giustificata.
Non si possono ignorare leggerezze di questo tipo, ma tornando sullo specifico dello spettacolo, la sensazione, nel contesto della replica seguita, è che la risposta circa la possibilità di un vero tragico oggi non abbia trovato esito positivo, forse a causa anche della recitazione degli attori, caratterizzata dallalternarsi di un naturalismo fastidioso e attimi di schizofrenica alienazione causati dal forte shock, elemento tragico di questa narrazione; o ancora per via di slanci passionali poco sostenuti: labbraccio tra la madre e il figlio, la disperazione del padre, il confronto tra la sorella più piccola Marta-Peres e il fratello, crudeltà senza forza. Convincente Vanessa Scalera (sorella più grande) vibrante, nel fisico asciuttissimo, delle forti tensioni che lo spettacolo non sfrutta.
Mise en abyme sbagliata che non consente di fare alcuna riflessione definitiva su uno spettacolo che si spera di poter rivedere in una collocazione più giusta.
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