Un teatro della Pergola gremito accoglie trepidante il Don Giovanni di Filippo Timi. Non sorprende che il libertino, dissoluto e impenitente, rappresenti una facile attrattiva per gli spettatori contemporanei. Ma più che a un processo di autocritica, o alla curiosità per la rielaborazione di un classico, il pubblico sembra interessato allattore protagonista. Le aspettative non verranno deluse, i possibili riferimenti a Molière e Mozart sono praticamente inesistenti, la riscrittura di Timi è radicale.
Laria Vesti la giubba scuote il teatro. Il sipario si apre sul protagonista disteso, distrutto, disfatto, seminudo, avvinghiato a due corpi femminili. Don Giovanni si sveglia e, laccio emostatico al braccio, si droga. Inizia così un “viaggio” psichedelico e allucinato verso la morte.
Foto di scena di Achille La Pera
Circondati da una scenografia che alterna pareti imbottite (da stanza di contenimento) a un fondale barocco con soffitto affrescato, gli attori svelano il gioco teatrale aprendo e chiudendo le quinte, sempre assistiti da tecnici senza costume. Il protagonista-capocomico, conscio del proprio ruolo di seduttore, traghettatore e demiurgo, conduce colleghi e pubblico alla scoperta dei demoni della società contemporanea. Le devianze del rapporto amoroso sono declinate nelle tre amanti di Don Giovanni. Donna Elvira rappresenta lannientamento dellio della donna, di fronte alluomo “padrone”. In nome del sentimento lei riesce a rinunciare a tutto, paradiso compreso. Lucia Mascino, con una recitazione caricata, riesce bene a restituirne lardore.
Donna Anna è linfanzia violata, laggressività nata come reazione al trauma. Per lei amore sarà sempre sinonimo di vendetta, linferno è in terra, è reale e Don Giovanni è solamente un altro uomo da odiare. Elena Lietti rende la rigidità del personaggio attraverso laccento tedesco. Zerlina, da semplice popolana, è lemblema della donna che cede alle tentazioni e alle lusinghe delluomo potente. La giovane viene presentata come un belloggetto, un carillon umano, semplice e grazioso. Marina Rocco ne tratteggia lingenuità con un forte accento romanesco. Gli uomini non sono da meno. Cè il Commendatore pedofilo stupratore (Fulvio Accogli), linfantile Ottavio (Matteo De Blasio), lo sciocco Masetto (Roberto Laureri), gli omosessuali Ludovico e Leporello, il Cristo morente in sedia a rotelle. Tutti vengono ugualmente sedotti e distrutti dalla dialettica del Don Giovanni, per lui tutto è gioco.
Foto di scena di Achille La Pera
Fedele accompagnatore è Leporello (Umberto Petranca). Grazie a lui il gioco servo/padrone è declinato nella maniera più classica della commedia. Leterna fame del domestico, lo scambio dabiti e i numerosi sketch a sfondo sessuale scandiscono la rappresentazione. Linsistenza dei virtuosismi linguistici, su volgarità di ogni sorta, strappano facilmente applausi e risate ad una platea ammaliata.
Laffastellamento caotico di tematiche e generi crea sul palcoscenico unatmosfera che ricorda la quotidianità confusa di tanti adolescenti. Il ballo sexy di Timi, ad apertura del secondo atto, la canzone che intona per ammansire Leporello (tratta da La Sirenetta Disney) sono gli atteggiamenti di un teenager sfrontato ed egocentrico. Quanto alle scelte musicali, degne di una playlist (Adriano Celentano, Luomo tigre, Love to love you baby, Renato Zero, Pink Floyd), le proiezioni di filmati sul fondale, le luci fluorescenti e i costumi in plastica colorata, si ha quasi limpressione di guardare un cartone animato giapponese. Tutto è festa, farsa, mascherata. Nessuna regola o valore morale, nessun Dio può porre un freno alle trasgressioni.
Che la morte e la relativa dannazione del protagonista siano dovute alla fine della sua adolescenza? Lincubo si concretizza con le responsabilità delletà adulta? Linferno che il Diavolo/servo (Alexandre Styker) mostra non è che unaltra faccia del paradiso. Dopo tutto la morte è fatta di carne nuda, pietanza adorata da Don Giovanni. Leccellente cast si trova imprigionato in una pièce troppo lunga e caotica. Un pizzico di semplicità non avrebbe guastato.
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