Ottimo film, a nostro avviso, solido, ben costruito, con una drammaturgia impeccabile che svolge con lucidità e limpidezza una imbrogliatissima vicenda post moderna di morte e vendetta. Ma lo fa presentando e poi progressivamente eliminando in sequenze ben ordinate di sparizioni, appunto, gli stereotipi protagonisti. Cè naturalmente un eroe, interpretato dalleccelso Stellan Skarasgard (non rovinabile da nessun regista, forse solo von Trier è riuscito nel miracolo) ed un attacco quasi bergmaniano con la lenta vestizione per una cerimonia di gala e laffettuosa complicità con una moglie di lungo corso. E quasi bergmaniano è il seguito con la consegna dellonorificenza di cittadino dellanno a questo lavoratore indefesso che vive nel più assoluto isolamento spostandosi sul suo immenso spazzaneve.
Il registro stilistico cambia immediatamente quando, alla notizia della morte del figlio per overdose, la moglie accetta senza riserve la diagnosi e si chiude in un disperato senso di colpa mentre il marito nega, oltre ogni evidenza, le cause del decesso convinto che il figlio sia vittima di un delitto. A poco a poco le prove emergono e luomo si trasforma in unimplacabile macchina di vendetta. Nelle nevi dellestremo nord tutto è raggelato e anche la vendetta diventa un teorema da risolvere punto per punto, come una dimostrazione matematica: si parte dagli esecutori materiali e si giunge, sempre più su, in cima alla piramide di unorganizzazione criminale ipermoderna retta da uno schizzatissimo damerino e alla parallela entrata in scena di un più tradizionale clan serbo. A poco a poco, messi gli uni contro gli altri, i criminali si elimineranno a vicenda, lasciando al giustiziere il gesto conclusivo del salvataggio del piccolo e innocente figlio del criminale.
Pienamente padroneggiata dallottimo Hans Petter Moland (sceneggiatura implacabile di Kim Fupz Aakeson) e dal protagonista vero coautore, la storia si srotola con grande piacevolezza, in un continuo gioco di ironie e complici richiami allintelligenza dello spettatore. Forse non esattamente prodotto dal festival, nonostante il sottofondo amaro di unirrimediabile solitudine individuale, il film resta comunque tra le felici testimonianze di una cultura e di un mestiere più che apprezzabili.
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