Dopo un paio di notti insonni, popolate dalla più estesa varietà di organi maschili (diversamente chiamati sullo schermo) che un collezionista possa desiderare, dalle più numerose penetrazioni (diversamente chiamate sullo schermo) e dalle più varie (ma purtroppo per ragioni anatomiche in realtà assai limitate) modalità delle medesime, dopo un ripasso delle possibili “fonti” di ispirazione del regista e limpervio tentativo di trovare una qualche plausibilità alle citazioni “classiche” di una desolante ignoranza e di uso che definire personale è assai indulgente, abbiamo deciso che aveva ragione Fantozzi rompendo lincantamento che aveva incatenato gli spettatori della Corazzata Potemkin.
Non ci avventureremo nellillustrare allo spettatore limprobabile impianto da racconto morale del XVII secolo né gli immediati abbinamenti con il perverso cammino della sadiana Justine né ci sforzeremo di annodare i fili di questa prima parte del terzo capitolo della trilogia della depressione iniziata con Antichrist e Melancholia e che minaccia di proseguire fino alla maturità della protagonista Joe (una Charlotte Gainsbourg recuperata in una fetida pozza di sangue e amorevolmente assistita dallanziano scapolo Stellan Skarsgard). Né tenteremo di decifrare limportanza terapeutica del rassicurante confronto con le serie di Fibonacci, applicate al corpo umano e alla botanica, qui largamente esperita nei ricordi infantili della protagonista.
Ci soffermeremo soltanto sulla splendida prova di Uma Thurman, stronzissima moglie-madre, e sulla morte del padre di Joe: mirabili esempi di vecchio grande cinema come Lars Trier sa fare quando non affronta, in assoluta malafede, tematiche largamente al di sopra della sua portata intellettuale e, quindi, inevitabilmente, artistica. Naturalmente lartista è in una botte di ferro, tutelato dal consueto lamento di chi si vuole vittima di accuse sessuofobiche e di incomprensioni filosofiche. Pazienza, affronteremo anche questo. Et de hoc satis.
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