Se è vero che «il buon dì si vede dal mattino», per Aterballetto e la sua impareggiabile direttrice Cristina Bozzolini il sole splende alto nel cielo della danza contemporanea. E simili lodi non appaiano eccessive in quanto gli spettacoli di questa eccellente compagnia sono il frutto di una progettualità artistica volta alla crescita dellorganico e ad unopera divulgativa che promuove la ripresa o la conoscenza di lavori delle migliori ‘menti coreografiche del nostro tempo.
Un preciso indirizzo confermato anche dal dittico workwithinwork di William Forsythe e Rain Dogs di Johan Inger andato in scena al Teatro Valli di Reggio Emilia e salutato dai calorosi applausi del pubblico. Un pubblico soddisfatto e consapevolmente partecipe di un progetto culturale che arricchisce il patrimonio coreutico e affina la sensibilità dellAterballetto, forgiato da una solida e rigorosa preparazione accademica.
© foto Anceschi
Nella serata la ripresa di workwithinwork, che ha debuttato lo scorso gennaio alla Fonderia, la multifunzionale sede della compagnia emiliana, è unulteriore occasione per apprezzare i danzatori di Cristina Bozzolini che hanno dimostrato di aver fatto proprio questo ‘lavoro dentro il lavoro di Forsythe. Unopera al quadrato datata 1998, ma tuttora attualissima e paradigma di un inarrivabile classicismo destrutturato.
La creazione, costruita sui Duetti per due violini, vol.1 (1979-83) di Luciano Berio e illuminata da fasci di luce su un fondale scuro, è un incessante fluire di passi che geminano dalla classica forma del pas de deux per duplicarla, triplicarla, quadruplicarla, estremizzarla in un virtuosismo al limite dellagone fisico e in bilico tra imput atletico e afflato artistico.
Con in dosso semplici costumi di lycra disegnati da Stephen Galloway e ispirati a quelli che si usano durante la lezione e in sala prove, i ballerini in questa replica di workwithinwork dimostrano di aver raggiunto quella disinvoltura necessaria per affrontare una coreografia ardua, ostica, antilirica eppure liricissima nel tratteggiare la dissonante poesia di un corpo in movimento.
© foto Anceschi
E i corpi disciplinati dellensemble bozzoliniano sono protagonisti anche di Rain Dogs di Johan Inger, un pezzo forte su musica Tom Waits, presentato in prima nazionale al Valli. Creato per il Basel Ballett nel 2011 e riallestito ora per lAterballetto nella stagione di danza di Reggio Emilia, che ospita di nuovo il coreografo svedese dopo As If nel 2006, Rain Dogs è una partitura che mette in luce la caratura di Inger come autore.
Formidabile ballerino del Nederlands Dans Theater dal 1990 al 2002, in cui ha iniziato la sua attività di coreografo, Inger ha diretto dal 2003 al 2008 il Cullberg Ballet per poi dedicarsi esclusivamente alla coreografia ingaggiato da importanti organici internazionali e collezionare prestigiosi premi.
Logico che un autore come lui, interprete di creazioni di Jirì Kylian, Hans Van Manen, Mats Ek, William Forsythe, Nacho Duato, e affermato dancemaker, rientrasse nella progettualità artistica bozzoliniana costituendo unennesima opportunità per lAterballetto, assurto a campione della coreografia contemporanea in Italia.
Rain Dogs di Inger prende il titolo dallomonimo album di Waits uscito nel 1985, un medley di generi musicali dal blues, al rock, al soul, al jazz, che racconta storie di unumanità di strada diseredata, disperata, emarginata eppure viva nellaffrontare il quotidiano squallore di unesistenza spesso senza senso e scopo. Cè – come dice Inger – «un carattere esotico in Tom Waits che richiama gli Stati Uniti di Charles Bukowski, cè un odore, ci sono dei colori che la sua voce riesce a catturare». Quella stessa realtà che anche il coreografo svedese cerca di ‘catturare con la danza sottolineando la malinconia sottile che la contraddistingue.
In Rain Dogs lo smarrimento di un cane che ha perduto la strada di casa, perché la pioggia ha cancellato le tracce e reso inutile il suo olfatto, corrisponde allo stesso stato danimo inquieto che condiziona la nostra vita e il rapporto con gli altri. Uninquietudine che nasce dalla nostalgia per qualcosa che si è perduto e non si sa se si ritroverà e dallangoscia per ciò che non si conosce, in un vortice di sentimenti ed emozioni uguali e contrari.
Allinsegna di questa complessità emotiva consegnata alla musica, alle parole e alla roca vocalità di Waits, Inger firma una pièce che duetta meravigliosamente con le infinite sfumature della voce del cantante, a cui fa corrispondere un‘uguale cangiante espressività coreografica grazie alla bravura dei ballerini.
Il balletto, che si apre con un giovane che accende il suo registratore portatile e richiama unumanità strampalata e straniata, vestita in stile hip hoppers, si snoda sulle canzoni di Waits e ognuna dà vita a quadri di vita di strada in un concatenarsi fluido e parossistico di passi, gesti e figurazioni.
© foto Anceschi
Avvolti dalla semi oscurità delle luci di Peter Lundin e da un cappa di fumo, i nove protagonisti sfoderano unincredibile energia puntando sulla fisicità del linguaggio del corpo in un balletto graffiante come graffiante è la voce di Waits. Ma quello che colpisce al di là dellaccadimento danzato è la disarmante e al tempo stesso esaltante semplicità e linearità della sintassi coreografica. Inger non ricerca legati sintatticamente complessi, lascia che i corpi esprimano, come i bassi vocalizzi di Tom, il loro essere vivi e vitali limitandosi a disporli secondo precise linee geometriche, stimolando il fluire di una dinamica decisamente contemporanea, privilegiando la coralità, coinvolgendo il pubblico con la forza dellimpatto visivo ed emotivo.
Una scelta questa di Rain Dogs di Inger decisamente felice che mostra come spettacoli di pregio non manchino neppure in Italia dove, duole dirlo, non sempre lofferta risponde alle aspettative del pubblico.
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