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Ricordo di Sergio Ragni

di Alessandro Tinterri
  Ricordo di Sergio Ragni
Data di pubblicazione su web 16/09/2013  

 

Sergio Ragni è scomparso a Perugia, la sua città, il 26 luglio scorso, al termine di una lezione all’Università per Stranieri (dove dal 1990 insegnava storia del teatro italiano), in cui, insieme con la moglie Eleonora Mosconi, aveva  appena rievocato la figura di Franca Rame. Tratteggiandone a caldo il ritratto negli articoli apparsi sui giornali locali, vi è stato chi lo ha definito un «vero ‘combattente’ della cultura in Umbria», per il suo impegno militante, dal quale non erano riusciti a distoglierlo i pur molti dubbi, che continuamente lo tormentavano. Altri lo ha detto «colto e schivo», per quel tratto elegante che ne stemperava la curiosità intellettuale, ma se ne potrebbe ricordare anche quell’ombra appena percepibile, che ne velava talvolta l’allegria, retaggio di un’infanzia segnata da gravi lutti (all’età di cinque anni la perdita del padre, a dieci la madre, a quindici l’amato nonno materno), sfociata nell’età adulta nella dedizione alla famiglia (Lares familiares, il significativo titolo di un suo libro, stampato nel 2007 per le Edizioni Guerra).

 

A Perugia era nato nel 1935, e nell’Ateneo in cui aveva insegnato l’insigne giurista Bartolo da Sassoferrato si era laureato in Giurisprudenza, ma la sua vera passione era il teatro, al quale si dedicò sin da giovane, come attore e regista, fondando, insieme con Giampiero Frondini prima la Fontemaggiore, gruppo storico recentemente riconosciuto Teatro Stabile di Innovazione, e, nei primi anni Sessanta, il Centro Universitario Teatrale, tra i più attivi in Italia, che nel 1967 ospitò la riunione nazionale dei Centri Universitari Teatrali, con la partecipazione del Living Theatre. E con il CUT di Perugia, diretto da Roberto Ruggieri, avrebbe continuato a collaborare sino all’ultimo, tenendovi lezioni e partecipando alle selezioni dei giovani aspiranti attori.

 

Dopo la famiglia e il teatro, la terza passione di Sergio Ragni era la politica e alla sua sofferta militanza politica ha dedicato un libro, Che tempi sono questi (Guerra Edizioni, 2008), in cui il diario di ieri s’intreccia con le riflessioni di oggi, in un bilancio amaro, ma non del tutto rassegnato, che ripercorre con lo sguardo di un compagno di strada critico la storia della sinistra nel secondo dopoguerra. Sullo sfondo di una politica internazionale a tratti drammatica, al centro della quale si staglia il golpe cileno, che stroncò il sogno di Salvador Allende (in attesa della copia restaurata dalla Cineteca di Bologna, si guardi su You Tube la bella intervista che Roberto Rossellini fece ad Allende nel 1971), si riaffacciano i temi di una politica nazionale perennemente in crisi. E, da un certo punto in poi, nel percorso di Sergio Ragni e della Fontemaggiore, politica e teatro presero a intrecciarsi. All’inizio il suo interesse (per anni è stato insegnante di francese nella scuola) si appuntò soprattutto sugli autori in lingua francese, da Giraudoux a Ionesco, poi, prima nel ’62 con una manifestazione di solidarietà a Dario Fo, epurato dalla televisione, quindi nel ’63 al Festival dei Due Mondi di Spoleto con le pantomime di Frondini, Tirando a morire, prese avvio anche per lui la fase del teatro politico. In un momento che vedeva ancora i CUT impegnati sul piano della teoria e della sperimentazione, il CUT di Perugia presentò lo spettacolo al Festival internazionale dei teatri universitari, che quell’anno si teneva a Zagabria.

 

A partire dal 1964 è stato tra gli ideatori e animatori del Teatro in Piazza, significativa esperienza teatrale, che portava lo spettacolo all’aperto nei più diversi luoghi della città e si riproponeva di avvicinare un pubblico popolare attraverso adattamenti teatrali, di cui Ragni era spesso autore e regista, da Boccaccio, da Ruzante, dal Roman de Renart, da fiabe popolari, da Molière (Il matrimonio per forza, Il medico controvoglia, Il signor di Pourceaugnac), sino alla traduzione in dialetto perugino del Mistero buffo di Dario Fo, unica operazione del genere in Italia autorizzata dall’autore, cui lo legava un rapporto di stima e amicizia.

Dopo un tentativo di teatro epico in dialetto (Che ‘l vilan bono o malnato sempre a l’inferno è destinato), sulla scorta delle ricerche condotte da Tullio Seppilli sulla festa contadina umbra di Sega la vecchia, nel 1973 ha elaborato un originale esperimento di teatro antropologico, collazionando i materiali registrati in un testo replicato in seguito decine di volte, in occasione di feste popolari. Nel 1977, con Neanche un nome da scrivere sul muro, di cui scrisse il testo e curò la regia, rievocò la lotta clandestina antifascista a Perugia, città dalla quale prese avvio la marcia su Roma, ma anche la patria di Aldo Capitini, antifascista apostolo della nonviolenza e promotore della marcia per la pace.

 

Nel 1987 con Antigone ancora ha vinto il premio “Giuseppe Fava” e nel 1990 il premio “Vallecorsi” con Processo a Tartufo, pubblicato dalla rivista “Hystrio”. Nel 1987, insieme con Roberto Tessari, ha scritto Da Goldoni a Ronconi (Editoriale Umbra), analisi della regia ronconiana de La serva amorosa, grande interpretazione di Annamaria Guarnieri e spettacolo che ha segnato una delle tappe fondamentali nella rilettura registica del teatro di Goldoni, mentre nel 1990 un suo diario delle prove de Le tre sorelle di Cechov, dirette da Ronconi nuovamente per il Teatro Stabile dell’Umbria, è stato pubblicato nel volume Ronconi dalla scena al video (Torino, Rosenberg & Sellier).

Con Sergio Ragni scompare un testimone appassionato del teatro nella società del suo tempo, la cui onestà intellettuale è certificata dalle pagine dei libri che abbiamo ricordato, Lares familiares, scritto, nella tradizione dei “libri di famiglia”, soprattutto all’intenzione dei figli, Bianca Maria e Emanuele, e dei nipoti, il secondo, Che tempi sono questi, memoria appassionata e autocritica di un percorso personale, indirizzato a quei “24 lettori”, che ancora credono che la realtà esista per essere cambiata.








 



 
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