Il
titolo del film - Lintrepido - non a
caso deriva da quello di un fumetto: Antonio Pane è luomo della strada, un
antieroe - o meglio un eroe di questi tempi confusi e privi di certezze - le
cui armi sono la propria dignità e i suoi valori. È un milanese che in ossequio
alla proverbiale “arte di arrangiarsi” tutta italiana si è inventato il
mestiere del “rimpiazzo”, sostituendosi per qualche ora a chi un lavoro vero ce
lha. È un personaggio “charlotiano”, come lo definisce lo stesso regista, Gianni Amelio.
Quello
del “rimpiazzo” è un impiego surreale, un “non-lavoro” che permette al regista
insieme con il co-sceneggiatore Davide
Lantieri di affrontare attraverso una metafora delicata alcune tematiche
cruciali delloggi, come la disoccupazione e lincertezza del futuro per i
giovani, senza ricorrere a un film di denuncia. La sceneggiatura è la
principale responsabile della leggerezza con cui vengono affrontate determinate
criticità: affidata a parole semplici ed emozioni basilari, trae ispirazione dalla
quotidianità e da personaggi come Charlot e il Marcovaldo di Italo Calvino, trasportandoli nelloggi.
Volontariamente
“charlotiano”, il film è inconsapevolmente zavattiniano: cè chi paragona Lintrepido a Miracolo a Milano, guarda caso tra i film più amati dal regista,
che a quanto pare ne ha più o meno inconsapevolmente assorbito la lezione,
densa della retorica dei buoni sentimenti che caratterizzava la filmografia del
sodalizio artistico Zavattini-De Sica. Del resto lo stesso Amelio
riconosce che il suo è un film “fuori moda”.
Completano
il ventaglio di riferimenti cui Lintrepido
attinge, Colpire al cuore (Gianni
Amelio, 1982) - che lo stesso regista cita come impercettibile sottotesto al
film, non fossaltro che per la presenza nel cast, oggi come allora, di Fausto
Rossi - e Se questo è un uomo, il
romanzo di Primo Levi dal quale la sceneggiatura recupera una citazione significativa.
È laffermazione di Antonio che dichiara di continuare a svolgere il suo “non-lavoro”
perché vuole farsi la barba tutte le mattine, per non lasciarsi andare, per
cercare di rimanere un uomo, in una società bestiale.
Antonio Albanese, che aspettava
da tempo loccasione di lavorare con Amelio, è leccellente interprete
delleroe della strada Antonio Pane. Accanto a lui due giovani interpreti: Gabriele Rendina - musicista (ma non
sassofonista) prestato al cinema - nella parte del figlio Ivo e Livia Rossi in quella di Lucia, giovane e fragile figlia della
ricca borghesia milanese, scappata di casa. Inaspettatamente se la cava meglio
Rendina. Rossi risente forse della formazione teatrale, la voce eccessivamente
impostata, la mimica visibilmente controllata.
Nelle
parole del produttore Carlo Degli
Esposti, che Amelio sottoscrive, il gesto del padre che in un ultimo
“rimpiazzo” si sostituisce al figlio sassofonista in preda a un attacco di
panico, è quello di unintera generazione: la spinta che deve alla successiva,
la generazione di Ivo, Lucia e tanti
altri ragazzi senza certezze come loro.
Il
finale è volutamente consolatorio, ispirato ai film di Chaplin in cui Charlot alla
fine si allontana di spalle, un uomo solo con in mano il suo bastone, forte
solo di un inguaribile ottimismo e dei suoi valori. Similmente Antonio Pane
nella conclusione de Lintrepido si
allontana verso lorizzonte, poi si volta in uno sguardo complice verso la
macchina da presa.
Nonostante
le buone intenzioni, o forse proprio a causa di esse, Lintrepido è un film buonista, spesso ripetitivo, sfacciatamente
teso al lirismo, pieno di retorica e psico-riflessioni sulla vita fin troppo
esplicite e fin troppe. Il problema non è che sia fuori moda, ma che si tratta
di una fiaba per bambini, raccontata a degli adulti: lItalia di oggi non è
quella degli anni Cinquanta cui si rivolgevano Zavattini e De Sica. Era bambina
e sè fatta grande, non migliore ma più consapevole, così se la storia è troppo
naif non è neanche consolatoria,
perché diventa difficile fingere di crederci, anche solo per il tempo di una
proiezione.
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