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La parola a Locke

di Elisa Uffreduzzi
  Locke
Data di pubblicazione su web 04/09/2013  

 

Il film si svolge in tempo reale: quello necessario per compiere il viaggio dal cantiere dove Ivan Locke (Tom Hardy) dirige i lavori di costruzione di un grattacielo e Londra, dove la donna con cui ha avuto un rapporto sessuale occasionale sta per avere un bambino da lui. Per la debolezza di un attimo sta perdendo la famiglia, la casa, il lavoro. In quegli 85 minuti di autostrada notturna - e di film - un uomo dalla vita finora solida e ordinata confessa alla moglie il proprio tradimento; perde la famiglia e il lavoro; si compiono i preparativi per la colata di calcestruzzo che costituirà le basi del grattacielo, nasce un bambino, si svolge una partita di calcio. La trama si dipana interamente attraverso una serie di telefonate tra Locke e gli altri personaggi coinvolti: un brillante espediente narrativo che permette al regista di risolvere in un unico set - l’abitacolo della macchina - la maggior parte del film (ne rimane esclusa soltanto la breve scena iniziale, durante la quale Locke sale in macchina). Una soluzione che ricorda quella già adottata da Sidney Lumet per La parola ai giurati (12 Angry Men, 1957), che si svolgeva quasi per intero nella stanza dove si riuniva la giuria di un processo. Come in quel caso, anche qui l’espediente contribuisce a definire un clima claustrofobico di crescente tensione, incrementata dall’ansia che deriva dal fatto che il protagonista sta guidando in uno stato di shock emotivo che lo mette in serio pericolo. Chiuso nell’auto, Ivan non può far altro che guidare, impotente a intervenire in alcun modo sugli eventi. Locke “si regge” necessariamente tutto sulla recitazione dell’attore protagonista, Tom Hardy che, ora in mezza figura, ora in primo o in primissimo piano, assolve egregiamente al compito, passando attraverso un ampio ventaglio di emozioni, dalla rabbia al senso di colpa, dall’ansia e la frustrazione, al pianto e la rassegnazione. Memorabili gli stralci di dialogo col fantasma del padre che immagina di vedere sul sedile posteriore: dalle accuse che gli rivolge apprendiamo che è stato abbandonato dal genitore; che sta per avere un bambino da una donna che conosce appena, ma che vuole essere un uomo migliore del padre, anche se questo significa rinunciare a un passato che vuole ancora, andando incontro a un futuro che non ha mai voluto.

 

La regia di Steven Knight (qui al suo secondo lungometraggio dietro la macchina da presa) insiste adeguatamente su primi e primissimi piani esaltando la mimica di Hardy e mediante un montaggio rapido alterna alle inquadrature del protagonista quelle dell’abitacolo - il sedile accanto, quello posteriore visto dallo specchietto retrovisore e non, il display sul cruscotto con le chiamate in arrivo - e quelle del paesaggio notturno dell’autostrada da varie angolazioni, spesso in associazione alla sovrimpressione e a un effetto flou che sovrappone le luci dei fari in un effetto allucinatorio, specchio dello stato emotivo turbato di Ivan.

 

Ottima costruzione psicologica e del background narrativo dei personaggi - non solo il protagonista, ma anche i comprimari che conosciamo attraverso la loro voce al telefono -; dramma; ironia e tensione: sono questi gli ingredienti di un film ben confezionato, che realizza molto con poco.


Locke
cast cast & credits
 






Tom Hardy

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