Tom à la ferme è il primo colpo di fulmine tra le proposte della 70ª Mostra Internazionale dArte Cinematografica. È la storia di Tom (Xavier Dolan), un giovane pubblicitario di Montréal che, andando al funerale del compagno Guillaume in un villaggio del Québec, ha occasione di conoscerne la famiglia: la madre Agathe (Lise Roy) e il fratello Francis (Pierre-Yves Cardinal). Dovrebbe restare alla fattoria solo il tempo necessario allo svolgimento della cerimonia funebre e invece rimane intrappolato nel perverso gioco delle parti che gli impone Francis. Fisicamente imponente, irascibile, frustrato dalla routine eternamente uguale dei lavori agricoli, questultimo non accetta lomosessualità del fratello e teme che rivelare alla madre la scomoda verità sarebbe per lei un dolore troppo grande, come perdere il figlio due volte. Agathe è una donna semplice, che suo malgrado finisce per essere linconsapevole causa dellassurdo gioco di ruoli di Francis. Un meccanismo che questultimo tenterà di imporre anche a Sara (Évelyne Brochu), la ragazza cui Tom ha chiesto di fingersi linconsolabile fidanzata di Guillaume. Francis, minaccioso e violento, rivela la propria segreta fragilità nella dipendenza dalla madre, che è incapace di lasciare per costruirsi unesistenza a lui più congeniale, ossessionato dallidea di preservarla dalla benché minima sofferenza. Tom dapprima tenta disperatamente di scappare dallassurda spirale di violenza in cui il giovane lo ha trascinato, poi, colto dalla sindrome di Stoccolma, finisce per pregare anche Sara di rimanere con loro. La tensione crescente del film svela dietro la trama del thriller lordito del dramma sentimentale: si intuiscono dapprima lattrazione, poi laffetto, infine la dipendenza, che Tom comincia a provare nei confronti di Francis. Il discorso si complica ulteriormente quando trapela la reciprocità del sentimento: sebbene non perda loccasione di fare sesso con Sara, di fronte alla minaccia di perdere Tom, Francis dovrà ammettere la sua dipendenza da lui. Lodio e il disprezzo sono dunque direttamente proporzionali al terrore di riconoscere e accettare un lato di sé che lo trasformerebbe, lui per primo, in una causa di dolore per la madre. Proprio il “tradimento” rappresentato dal flirt tra Francis e Sara romperà definitivamente linstabile alchimia che si è creata tra i due uomini, precipitando rapidamente la situazione verso lepilogo.
Il complicato intreccio di psicologie filtra, più che dai dialoghi, dai primissimi piani dei volti, un tipo di inquadratura che ricorre ossessivamente nel film. Xavier Dolan, classe 1989, già al suo quarto lungometraggio, conferma il proprio talento scegliendo di adattare per il grande schermo lomonima pièce di Michel Marc Bouchard, puntando molto su una recitazione che si affida principalmente alla microfisionomia del volto: una strategia interpretativa che, mentre accresce la suspense, tiene il film lontano dagli eccessi che potrebbero farlo sconfinare nel ridicolo aderendo a triti cliché (si pensi alla scena del tango ballato nel fienile, in cui un goffo Francis rivela a Tom le proprie frustrazioni, mentre lo guida nella danza). Anche lironia che a tratti emerge dai dialoghi assolve a questa funzione di utile freno alla verve del film. Particolarmente riuscita la soluzione che presenta Francis nellincipit: il primo piano del volto viene ritardato, cosicché lo conosciamo prima attraverso la sua violenza fisica, che attraverso lo sguardo.
Indulge invece in fastidiosi eccessi la musica, assumendo spesso toni troppo magniloquenti, in brani orchestrali più adatti a un colossal in costume che a un thriller.
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