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I tanti volti del libertinaggio

di Paolo Patrizi
  Don Giovanni di Wolfgang A. Mozart
Data di pubblicazione su web 08/07/2013  

 

«…e sono assalitrice da assalita!»: culmine (Mozart prescrive «Allegro assai») del “Recitativo drammatico” di Donna Anna che precede «Or sai chi l’onore», è questa una delle frasi-chiave per dipanare – o ulteriormente ingarbugliare – le ambiguità che costellano il Don Giovanni. L’inesausto gioco di metafore del libretto di Da Ponte, dove una stessa affermazione può assumere significati opposti se presa alla lettera o ripensata in un più frastagliato contesto, consente un capovolgimento di rapporti tra la stuprata e il suo carnefice: ed ecco dunque all’alzarsi del sipario, nella messinscena realizzata a Würzburg dal regista François de Carpentries, una Donna Anna che in uniforme sadomaso (ma il dress code è a sua volta ambiguamente oscillante tra schiava e padrona) si sollazza con il Burlador traendone massima soddisfazione, a giudicare dai rantoli orgasmici che si sovrappongono alla musica. E l’arrivo del Commendatore con la spada in pugno mira a salvaguardare la rispettabilità della casa piuttosto che l’onore, da tempo compromesso, della figlia, cui il padre affibbia un sonoro manrovescio prima di sfidare a duello il libertino.


Un momento dell'Opera. Credits:
Un momento dell'Opera. Credits: Falk von Traubenberg

Forzato, ma non gratuito, il ribaltamento della situazione viene gestito con maggior sapienza teatrale rispetto ad altri spettacoli che avevano aperto una finestra sugli appetiti di Donna Anna: e non solo perché il soprano Silke Evers regge magnificamente sul piano scenico un così difficile impatto, plasmando una ragazza viziosa e viziata che giura odio a Don Giovanni non per vendicare un padre ingombrante, e forse detestato, ma per eliminare un pericoloso testimone della propria compulsività erotica, che oltretutto ha l’imperdonabile colpa di averla «posta in lista» come un’avventura tra le tante. La lettura di de Carpentries e del Dramaturg Christoph Blitt, infatti, sembra orientata a focalizzare non l’ars amandi del protagonista, ma le nevrosi sessuali e sentimentali delle donne che lo circondano, e il catalogo di Leporello qui si trasforma in un’autentica biblioteca viaggiante, con tanti volumi quante sono le «donnesche imprese»: da un’Elvira voluttuosa ma sfiorita – come se l’essere la sola donna sposata da Don Giovanni ne abbia irrimediabilmente minato il fisico – a una Zerlina provinciale come una papi girl, pronta a smutandarsi davanti al boss che le prospetta un effimero Paese della cuccagna.

 

Diacronico nei costumi (dal settecentesco al moderno) di Karin Van Hercke, lo spettacolo ha però un’impronta storicistica ignota agli ultimi Don Giovanni alla moda allestiti in Italia: gli autori della messinscena colgono bene il legame tra pensiero libertino e cultura scientifica – il protagonista qui scruta le sue prede con un cannocchiale – e, soprattutto, l’inestricabile nesso tra letteratura erotica e letteratura anticlericale. Il «Viva la libertà!» intonato da Don Giovanni mentre spezza un crocifisso non è solo un bel colpo di teatro, ma l’istantanea di un vero e proprio “credo”; e le «vezzose mascherette» della festa si trasformano in tre grotteschi mascheroni penitenziali armati di croce e rosario, anticipazione della pletora di monaci che, nell’epilogo, daranno manforte al Commendatore nel lavoro di giustizia divina: come dire che, se il Dissoluto è punito, i punitori – sorta di braccio armato della religione – sono assai più sinistri.


Una scena. Credits:
Don Giovanni. Una scena. Credits: Falk von Traubenberg

A una lettura visiva così “tedesca” – all’insegna del Konzept, e priva di qualsiasi tentazione estetizzante – fa riscontro una lettura musicale altrettanto germanica: e la cosa può stupire se si pensa che sul podio c’era un direttore italiano. Andrea Sanguineti, di casa a Würzburg, sfrutta il suono denso e compatto dell’eccellente Filarmonica locale per plasmare (fatte le debite differenze) un Don Giovanni “alla Klemperer”: dove, cioè, la dicitura «dramma giocoso» guarda assai più al sostantivo che all’aggettivo, mentre spaziosità dei tempi e spessore delle sonorità portano anni luce lontano dal nitore scattante, ma anche dalla leggerezza un po’ aproblematica, che caratterizzano molte blasonate interpretazioni musicali di questi ultimi anni. Quanto alla versione prescelta, Sanguineti propone nella sua integralità quella di Vienna, incluso il duetto tra Leporello e Zerlina che non è mai entrato nella prassi esecutiva e, in effetti, rappresenta una pagina di relativa debolezza. Non se ne sentiva gran bisogno, anche perché il brano aggiunge poco al talento di dicitore che Johan Kirsten sfoggia nel resto dello spettacolo e offre, per contro, un ulteriore primo piano sui limiti di Anja Gutgesell, una Zerlina in formato da caratterista (spesso pure sopra le righe) anziché da autentica soubrette. Più oculata – in rapporto al materiale disponibile – la scelta viennese per quanto riguarda Don Ottavio, insignito di «Dalla sua pace» e privato di «Il mio tesoro intanto»: un passo che forse sarebbe troppo lungo per un tenore autorevole nei recitativi, ma non ferratissimo sotto il profilo strettamente vocalistico, come Joshua Whitener.

 

Molto “tedesche” appaiono pure certe incarnazioni canore, dal Leporello di Kirsten (emissione angolosa, intenzioni pregnanti, fraseggio ricalcato sul Walter Berry dell’incisione klempereriana) alla torbida e soggiogante Donna Anna della Evers, lirica – come taglia vocale – ma all’insegna di una Kopfstimme e un “non vibrato” che evocano soprani ben più spinti; e anche il protagonista Daniel Fiolka ha vizi e virtù di molti baritoni d’area germanica, a cominciare da una mezzavoce talvolta in odore di falsetto. Il timbro chiaro e lo strumento piuttosto leggero lasciano defilati tanto lo spleen del personaggio quanto la sua aristocratica insolenza, eppure questo Don Giovanni – giovane, fresco, vitalistico – si lascia ascoltare volentieri e offre un ritratto senza scavi, ma nemmeno superficiale: com’è proprio degli archetipi.


Un momento della messinscena. Credits:
Un momento della messinscena. Credits: Falk von Traubenberg

Barbara Schöller s’impone per un’eleganza di linea e una drammaticità trattenuta quasi liederistiche, non infirmate da una vocalità un po’ appassita che, anzi, risulta felicemente speculare al ritratto sfiorito di Donna Elvira concepito dal regista. Anche Marek Gasztecki – un Commendatore livido e spettrale già dal timbro – risulta vocalmente funzionale al ritratto di un personaggio che «si pasce di cibo celeste», ma, nell’ottica di questo spettacolo, tutt’altro che raccomandabile. Chi più chi meno, insomma, tutti gli interpreti (buon ultimo Taiyu Uchiyama, Masetto di buona verve) vantano un’ottima corrispondenza, scenica e canora, con il ruolo che interpretano: non è un pregio da poco e, pur tra risultati alterni, garantisce a questo Don Giovanni un’assoluta assenza di routine.





Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti


cast cast & credits




Credits:
Credits: Falk von Traubenberg



 
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