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Alfred Hitchcock presenta

di Elisa Uffreduzzi
  Hitchcock
Data di pubblicazione su web 10/05/2013  
                                 

Quella del biopic costruito su una singola tranche de vie in luogo del (noioso) compendio documentaristico sulla vita di un personaggio celebre, è una formula cinematografica sempre più frequente nel cinema degli ultimi anni (si pensi al recente Marilyn, Simon Curtis 2011). Basato sul libro di Stephen Rebello Alfred Hitchcock and The Making of Psycho (1990), Hitchcock propone infatti la biografia del regista concentrandosi sulla realizzazione di Psycho, dalla scelta del soggetto, alle trattative con la Paramount, le riprese, la battaglia con la censura e infine l’insperato trionfo, cosicché l’intero film si configura come una sorta di fake del making off del film.

Al di là della cronaca, colto nell’intimità del quotidiano, emerge il profilo umano dietro l’icona cinematografica, dalle ossessioni personali, all’imprescindibile rapporto con la moglie, che – suggerisce la lettura del film – pur rimanendo nell’ombra, fornì spesso un contributo indispensabile alla filmografia firmata “Hitchcock”.

 




 

Molte le citazioni dell’inconfondibile stile registico del protagonista che Sacha Gervasi propone nel suo film: dalla “cornice” narrativa ricalcata sul modello della celebre serie TV americana Alfred Hitchcock presenta, alle inquadrature in plongée care al regista, che rievocano esempi indimenticabili come quelle della scalinata nel finale di Vertigo (1958), agli improvvisi frame in dettaglio, sinistri presagi della narrazione a seguire, ecc.

Pregevole inoltre la scelta di inserire nella narrazione anche il personaggio di Ed Gein (Michael Wincott), maniaco omicida che terrorizzò l’America degli anni ‘50 uccidendo donne e riesumando cadaveri per farne macabri souvenir. Al suo spaventoso caso è ispirato il romanzo di Robert Bloch (1959), dal quale Hitchcock a sua volta trasse l’omonimo film Psycho.

Le sue incursioni nella narrazione, angosciose proiezioni scaturite dalla mente di Hitchcock, divengono metonimia di tutta la filmografia del regista, nella misura in cui ne traducono iconograficamente la volontà di esorcizzare i propri demoni, un supposto e aborrito lato oscuro, respinto a colpi di omicidi: quelli registrati dalla sua cinepresa.

Gein diviene così una sorta di amico/nemico immaginario, raccapricciante alter ego del regista, ad esso uguale e contrario, col quale lo spettatore è portato suo malgrado a empatizzare, in perfetto stile Hitchcock. Proprio come il Norman Bates di Psycho nel 1960 aveva inizialmente intenerito il pubblico e l’ignara Janet Leigh, alias Marion Crane.

 




 

Anthony Hopkins nel ruolo del protagonista, pur mancando inequivocabilmente del physique du r๔le – trucco e costumi qui non bastano ad imitare l’inimitabile – ha lavorato efficacemente sulla mimica e la postura, riuscendo così a sopperire ai limiti fisici in modo credibile. Discutibile piuttosto la scelta di affidare una parte dai connotati inconfondibili a un attore dalla fisionomia altrettanto riconoscibile. Ammirevole Helen Mirren nella parte della moglie Alma: ora devota quanto divertita assistente, ora amante gelosa e risentita. James D'Arcy aderisce singolarmente al profilo di Anthony Perkins/Norman Bates, condensando sul proprio volto la stessa combinazione di ingenuità e perversione. Completa il cast di nomi arcinoti la presenza di Jessica Biel, qui nei panni di Vera Miles/ Lila Crane, mancata protagonista di Vertigo (rimase incinta durante la produzione del film), ennesima replicante del tipo femminile adorato da Hitchcock, amata e odiata dal regista, secondo una visione della carriera cinematografica piuttosto sessista e improntata al divismo.

La “bionda alla Hitchcock” incarna l’ossessione del celebre cineasta per un vero e proprio tipo femminile, che ritorna compulsivamente di film in film, da Grace Kelly a Kim Novak, da Tippi Hedren alla stessa Janet Leigh, per citarne alcune, delineando una lunga serie cui si aggiunge senza soluzione di continuità Scarlett Johansson, qui doppio della Leigh. Questa come tante altre piccole manie, la gelosia per la moglie, la fame pantagruelica, le piccole ripicche, l’attenzione morbosa ai particolari sul set, costituiscono altrettanti tasselli composti in un ritratto grazioso e piacevole, forse non brillante né rivoluzionario rispetto al cliché sul regista britannico, ma senz’altro piacevole e ricco di una tagliente ironia che sarebbe piaciuta a Sir Alfred.




Hitchcock
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