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Novantesimo sbadiglio

di Roberto Fedi
  Fabrizio Maffei
Data di pubblicazione su web 19/12/2002  
Fra le trasmissioni di informazione non direttamente politico-economica, né di cronaca spicciola, due almeno meritano di essere considerate - si parva licet - un caso nazionale. Si tratta, a nostro parere, di quelle relative alle previsioni del tempo, e di Novantesimo minuto. Ci occupiamo qui di quest'ultima; delle prime, ad altra occasione.

Nel suo settore, il calcio della domenica, Novantesimo minuto poteva considerarsi una trasmissione geniale. Paolo Valenti, scomparso pochi anni fa, che l'aveva pensata e realizzata, era bravo e incisivo, e simpatico; i servizi dai campi erano rapidi e di solito ben confezionati, anche con strumentazioni allora molto più lente e laboriose; i corrispondenti qualche volta erano curiosi, fino a divenire veri e propri personaggi.

Dopo alterne vicende, che la videro passare anche nelle manone di Galeazzi, da qualche tempo la trasmissione è stabilmente di Fabrizio Maffei, più garbato e più magro di sicuro. Così, per non scordarcene, si sottolinea che per questa oretta di chiacchiere e pedate la Rai paga uno sproposito di miliardi alle squadre di calcio: e la cosa, ci sembra, non è da trascurare anche in sede di riflessione sulla qualità del prodotto. La collocazione è all'interno di Domenica In, e questo non è un bene di sicuro: in quel posto sembrerebbe deprimente anche un fuoco d'artificio.

Il Maffei, vestito come un manichino (l'abbiamo già detto una volta: ma chi li veste questi?), presenta partite e classifiche come se parlasse dei risultati della Patagonia: disinteressato. Accanto ha in veste di esperto Giorgio Tosatti, lì precipitato dalla Domenica sportiva, e più in là il moviolista ex arbitro Carlo Longhi. Inframmezzati dalla pubblicità, che ormai alla Rai nonostante il canone è quasi peggio che a Mediaset, ecco i servizi "dai campi", insomma i resoconti delle partite. E qui casca l'asino.

Perché a rendere da sbadiglio un servizio di pochi minuti, su una partita magari spumeggiante, e che è rivolto a gente a cui il calcio piace, bisogna essere veramente dei ganzi. I giornalisti in collegamento, che per vezzo da inviati speciali si fanno tutti riprendere dentro i pullman della Rai come se fossero al fronte, in realtà svolgono dei compitini. Con voce impostata, ed espressione serissima come se parlassero di un incontro all'Onu fra Bush e Arafat, introducono il filmato: con colpi di genio retorico come "la partita a due facce", "la spinta dell'attacco poderosa", "la difesa evanescente", "la squadra corta", "gli spazi invitanti". In realtà, sembra che parlino da anni sempre della stessa partita, e forse è proprio così. Il fenomeno, in questa galleria di impalati, è l'immarcescibile Carlo Nesti, che da decenni ha sempre lo stesso ciuffo senza un capello fuori posto, la stessa espressione (cioè, nessuna espressione), e legge lo stesso temino in classe.

Quando Maffei, cerimonioso, dà la parola a Tosatti, è un colpo basso. Dormita profonda. Che secondo noi prende regolarmente anche lui, che pure di calcio è l'unico in Tv che capisce qualcosa: ma lì, sarà il caldo o l'ora dopo la merenda, praticamente sbraca. Senza cravatta, la camiciona slacciata, abbandonato sulla poltrona, lo sguardo perso, se la cava con qualche bofonchiamento postprandiale e arrivederci. Mai un sorriso, una battuta di spirito, un guizzo. Se sul "Corriere della Sera", a cui dedica un po' più di impegno, scrivesse pezzetti così il De Bortoli lo avrebbe messo a corregger bozze da un bel pezzo. Il direttore di RaiSport invece si accontenta.

All'estrema destra di chi guarda spunta ogni tanto, timidamente, il capino di Longhi, ormai tutt'uno con la sua moviolina, incorporata. È, del trio, il più patetico. È uno di quei personaggi televisivi che fanno sembrare la Tv ancora in bianco e nero: sarà per il sorrisino inespressivo di chi per la prima volta vede una telecamera (in realtà è lì da anni), sarà per quella pettinatura che ormai si vede solo nei film degli anni Cinquanta in testa a questurini e barbieri di provincia, ma siamo alla cineteca. In piedi, in quell'angolino domenicale dello sport sbadigliato, per un'ora, il Maffei sembra un portiere d'albergo. Vien voglia di chiedergli la chiave, e di andarsi a fare un sonnellino.



Novantesimo minuto

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