drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Musical solubile

di Elisa Uffreduzzi
  Anna Karenina
Data di pubblicazione su web 10/03/2013  
                                 

Affrontare l’ennesima trasposizione cinematografica del romanzo di Lev Tolstoj significa muoversi su un terreno difficile, col rischio di mettere in piedi un noioso compendio del romanzo, che porti con sé la polvere delle versioni che l’anno preceduto. Di questo il regista Joe Wright dimostra di essere pienamente consapevole e scongiura il pericolo puntando su un allestimento originale e facendo della sua Anna Karenina un’anti-eroina, mostrata nelle sue umane debolezze, imperfetta, incoerente, a tratti cattiva.

Sceneggiato da Tom Stoppard, autore tra l’altro di numerose pièce, Anna Karenina è ambientato in un teatro – in realtà più set, costruiti presso gli Shepperton Studios (Regno Unito) – e  più in generale opta per una forte caratterizzazione teatrale in senso lato. Lungo tutto il film infatti predomina l’impianto coreutico di Sidi Larbi Cherkaoui, chiamato non soltanto a coreografare le vere e proprie scene di ballo, ma anche a guidare la normale gestualità degli attori. In questo modo, insieme al set teatrale, è proprio la dimensione coreografica a funzionare da collante per l’intera narrazione, conferendo unitarietà all’agire degli interpreti, nel quale il gusto per le simmetrie e il fluire di un movimento nell’altro, definiscono un tutto armonioso e molto suggestivo.

Il risultato dal punto di vista spettatoriale è duplice: se da un lato la dimensione teatrale e ballettistica comporta una recitazione a tratti molto stilizzata e dunque lo straniamento dello spettatore, dall’altro ciò permette a Wright di isolare le scene chiave, che attingono al contrario a una recitazione naturalistica, caricandosi dunque per contrasto di ulteriore pathos e favorendo l’immedesimazione dello spettatore. In altre parole il regista riesce così a guidare il pubblico, spingendolo ad empatizzare con i personaggi solo  nei momenti topici del racconto.

 




 

Alla linea narrativa principale – quella della passione fedifraga tra Anna e il conte Vronsky, si contrappone l’amore puro di Levin e Kitty, questi ultimi incarnazione dell’affetto coniugale, che trova nella semplicità del quotidiano il suo appagamento. Le due storie sono contrapposte anche sul piano visivo: mentre l’affaire amoroso Anna/conte Vronsky è relegato negli interni teatrali, sintomaticamente Levin e Kitty respirano nel più ampio orizzonte dell’ambientazione in esterni. In tutta evidenza si tratta di un’efficace metafora visiva del funesto destino riservato alla storia senza futuro dei due amanti peccaminosi, in contrapposizione al roseo futuro cui sono destinati Levin e Kitty. Non vi è però alcun intento moralistico: se non in Tolstoj, di sicuro non per Wright. La location teatrale circoscritta testimonia della chiusura su se stessa dell’élite che circonda Anna e il suo amante, disposta ad accettare l’infedeltà coniugale fintanto che si cela dietro le apparenze, ma non quando esce orgogliosamente allo scoperto, in nome di una libertà di sentimenti inconcepibile. Per l’ipocrita aristocrazia della Russia imperiale di fine Ottocento, viene detto esplicitamente, è accettabile infrangere la legge, ma non le regole. Analogamente il morigerato amore di Levin e Kitty non risponde ad un intento prescrittivo e moralizzante, ma è piuttosto teso a svelare la caduta delle illusioni, il venire a patti con la realtà: entrambi scoprono l’amore al di là dell’idealizzazione iniziale. Rispetto alla loro storia, quella di Anna e il conte Vronsky, pur occupando quantitativamente uno spazio maggiore, passa in secondo piano, rivelando inaspettatamente Levin e Kitty come i veri protagonisti: prova ne è il fatto che a una scena chiave come quella della morte di Anna non è riservato lo spazio e l’enfasi che ci aspetteremmo ed essa resta un  momento del film sottovalutato.

La scenografia teatrale architettata per il film, lungi dall’essere povera e riduttiva, funziona come una sorta di caleidoscopio, che in uno spazio minimo sveli forme sempre nuove: se dietro le quinte s’intravedono muri scalcinati, parallelamente, grazie al montaggio, porte che si aprono su esterni inattesi e altri set in interni, realizzano un “teatro impossibile”, creando un palcoscenico potenzialmente infinito. Sul palco, sfondi e oggetti di scena a tratti risentono di evidenti reminiscenze della scenotecnica secentesca dei teatri di corte. Del resto il ricorso all’ambientazione teatrale traduce iconograficamente la finzione scenica di un’altra corte: quella dell’aristocrazia della Russia imperiale che si apprestava a scomparire, tesa a mascherare ipocritamente le sue forti contraddizioni interne, attingendo all’etichetta dell’alta società francese.

 




 

Gli splendidi costumi, giustamente valsi l’Oscar a Jacqueline Durran – sono il risultato di un’originale connubio tra la moda del secondo Ottocento e quella degli anni cinquanta del secolo scorso – collaborano alla resa visiva dell’universo psico-sentimentale del film: sintomaticamente Anna indossa un abito nero quando recita il ruolo della brava madre di famiglia, mentre ne indossa uno bianco quando esce da quel personaggio, per recuperare una femminilità fortemente volitiva, ferina, da femme fatale in ultima analisi. Quel candore conseguito a dispetto della morale pubblica, suggerisce che la purezza per lei è una conquista e non uno stato primigenio dal quale si può (de)cadere. Sta nell’onestà delle sue scelte piuttosto che nell’ipocrisia della società che la circonda e la condanna.

Costantemente soggette a revisione e adattamento lungo la lavorazione di Anna Karenina – segno questo di una stretta collaborazione con regista e coreografo – le musiche di Dario Marianelli assumono una funzione particolarmente significativa nel film, accompagnando sia le coreografie vere e proprie, che la gestualità coreutica “subliminale” che pervade l’intera narrazione. In questo modo il film, sebbene non sia cantato, si configura come una sorta di “musical in forma diluita”, che invece di condensare in numeri circoscritti la performance più spettacolari, distribuisce musica e danza lungo tutto il suo svolgimento. Una formula, questa, assimilabile a quella riscontrata ne Les misérables (Tom Hooper, 2012), dove tutto il film è recitato cantando, senza soluzione di continuità.

Keira Knightley offre un’interpretazione matura dell’ambivalente carattere della protagonista, tesa tra la passione carnale, l’amore materno e l’ammirazione per l’integerrimo marito Karenin. Quest’ultimo ha il volto di Jude Law, qui spogliato dell’aura divistica per apparire stempiato, nei panni di un uomo rigido, che lascia soffocare la propria sensibilità dalle convenzioni sociali. Al loro fianco un cast di nomi noti, come Emily Watson, Aaron Taylor-Johnson, ecc.

Da Keira Knightley ai produttori, fino alla scenografa e all’arredatrice, molti sono i collaboratori abituali di Wright, cui il regista ha voluto ricorrere ancora una volta, confermando così una concezione teatrale del film anche in sede di lavorazione, comportandosi come se si trattasse di una compagnia drammatica.

Dal punto di vista delle riprese si riscontra una spiccata fluidità della regia, che nei movimenti della macchina da presa aderisce alla coreografia visiva del film scivolando da un’inquadratura a all’altra con singolare scorrevolezza e ricorrendo al piano-sequenza. Si pensi alla vestizione iniziale di Anna nel suo boudoir, con la cameriera che la veste girandole intorno, mentre lei non stacca gli occhi dalla lettera del fratello e la macchina da presa le gira attorno insieme alla domestica. Esteticamente molto gradevole e sorprendente, il film di Joe Wright non riesce a coinvolgere più di tanto lo spettatore, prevalendo piuttosto lo straniamento che comportano ambientazione e recitazione stilizzata, quest’ultima prevalente. Resterà deluso chi sperava nell’ennesima disperata rivisitazione delle vicende dell’eroina romantica.





Anna Karenina
cast cast & credits
 
                                  





 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013