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L’universo dolente d’una ragazza di Baviera

di Gianni Poli
  Susn
Data di pubblicazione su web 03/03/2013  

 

Il ricordo di un’edizione lontana (Asti Teatro nel 1994, con regia di Valter Malosti) dell’opera di Achternbusch si sovrappone vagamente all’impressione recente dello spettacolo diretto da Thomas Ostermeir, suscitando echi e suggestioni a confronto. L’esordio del drammaturgo tedesco s’era avuto con testi dedicati a inedite figure capaci di forte coinvolgimento. La Baviera d’origine dell’autore compariva quale viva fonte di turbamento e di contraddizioni, nella radiografia di animi e comportamenti di quei personaggi soprattutto femminili. Dobbiamo l’introduzione in Italia della drammaturgia di Achternbusch a Luisa Gazzerro Righi, alla traduzione della quale ricorro per meglio capire la rappresentazione tedesca vista in tournée al Teatro della Tosse di Genova. Così riesco ad aggirare il problema della lingua straniera a teatro, che nel caso i sovrattitoli efficaci aiutano a risolvere.

 

La scelta dell’ensemble di Monaco confida nel valore del drammaturgo e nell’apporto di due attori di vaglia, Brigitte Hobmeier ed Edmund Telgenkämper. L’interprete di Susn dimostra una varietà di registri espressivi molto estesa e una capacità di immedesimazione totale nelle successive epoche vissute dalla protagonista, scandite da salti decennali, come è previsto l’intervento di attrici diverse per le diverse età del personaggio. Qui la stessa Hobmeier recita il ruolo cangiante e tortuoso, nell’arco d’una vita intera e sa renderlo, criticamente e dialetticamente, d’una presenza intensamente espressiva.

 


 

Un’altra nota rilevante nella regia di Ostermeier consiste nell’impiego di un filmato pressoché continuo, proiettato su uno schermo-fondale a tutto campo. I panorami locali familiari a regista e autore, rinviano a luoghi remoti e oltre il tempo. I testi di partenza, concepiti per la narrativa e il cinema, furono rifusi in una sequenza di monologhi, compiuta nel 1979, dopo che erano già apparsi Ella (1978) e la sceneggiatura Cuore di vetro per il film di Werner Herzog del 1976. Spunti biografici dalla vocazione universale, ma radicati strutturalmente e linguisticamente nella mitologia originaria dello scrittore. Quel clima si ritrova nel preludio, a sipario aperto, quando i due attori consumano in scena uno spuntino bevendo birra e la donna scende in platea a offrire wurstel agli spettatori. Brigitte Hobmeier è già Susn adolescente in gonna, camicetta e calzini bianchi, nel trapasso naturale al personaggio, immediato nell’inizio della sua confessione al Parroco. Del sacramento cattolico si tratta, poiché la sua formula è regolata dal prontuario canonico corrispondente ai dieci Comandamenti. Mentre Achternbusch denuncia convenzione e conformismo causa della crisi della giovane, la sensibilità del regista ne amplifica il senso polemico ed eversivo, evidenziando la condizione mistificata della penitente e il paternalismo del sacerdote. Il confronto avviene davanti a una toilette sul cui specchio sono proiettati i volti dei personaggi ripresi in primo piano televisivo. Poi lo spazio scenico praticabile varia da una stanza a un esterno di villaggio, a una spiaggia e a un esterno-interno di casa e di chiesa.

 

In piena temperie adolescenziale, la ragazza rifiuta la pratica religiosa, essendosi diluita in lei la fede per l’influsso di convenzioni repressive e ipocrite, di rituali vuoti. In preda a nuove pulsioni interiori, deve confrontarle con i comportamenti ambigui dei coetanei e le incoerenze dei parenti.

 

In casa della nonna, in campagna e poi sola in città in camera d’affitto, Susn soffre la difficoltà di capirsi, accettarsi e farsi accettare. Il disorientamento è leggibile nel linguaggio, affidato a flussi verbali sconnessi e ininterrotti (come sospeso restava il discorso sussurrato fra le pause imposte dal confessore). Si accumulano sensazioni sgradevoli in immagini simboliche di un disagio emerso anche da impulsi sessuali incontrollati. Nella solitudine cittadina, la generica ostilità latente di Susn, ora studentessa, si concentra sull’affittacamere, ma la fantasia elabora immagini della presenza maschile. Così il violento temporale che scoppia durante il suo riposo, è vissuto in rêverie e rappresentato dall’Uomo che spande acqua con un annaffiatoio. La sonorità è dominante (accurato ed efficace il bruitage di sottofondo) e drammatizza il crescendo di reazioni di rabbia, disgusto e rifiuto, in una litania monotona e insistente, a cui l’uomo all’unisono sovrappone la propria voce. Quando il desiderio trabocca, un filmato riproduce i gesti della ragazza che si rende disponibile ai ripetuti assalti di diversi uomini, soltanto nominati nella voce prestata loro da Susn. È una variante, rispetto ai «sette uomini», violenti ed osceni, indicati nel testo, poiché la giovane parrebbe assecondare il ripetersi meccanico degli amplessi, più che subirne l’aggressività.

 


 

Il viaggio esplorativo della personalità tormentata, dalla precisa geografia tedesca passa a regioni più vaghe (sempre illustrate dal video), stabilendo corrispettivi ambientali con la cangiante condizione femminile. Al momento del rapporto con un compagno scrittore, vediamo l’uomo scrivere a macchina, silenzioso, mentre è la donna a spiegarne gli ipotetici moventi. Ne sorge un punto di vista indicativo - nell’estraneità incomprensibile dell’uomo – d’un processo di sfruttamento da parte di lui della disponibilità sentimentale ed esistenziale di lei. Lo stadio è d’equilibrio instabile, nell’atteggiamento possibilista della donna: «Io mi adeguo a tutto». Nel passaggio successivo, la crudeltà della dipendenza di Susn dall’uomo aumenta. La donna, dopo aver bevuto, s’inginocchia alla tazza d’una latrina, viene ancora irrorata di birra, vomita. Come in dissolvenza, la donna si trova seduta sul water, piazzato sullo sfondo d’una facciata di chiesa e s’appresta a domande finali. «Mi chiedo, chi sono?», pronuncia con voce torva e impastata e trovandosi come sdoppiata, rivolge il soliloquio a un Sacro-Cuore-di-Gesù in plastica luminosa. D’allora, assistiamo alla metamorfosi definitiva anche fisica della protagonista. Grazie alla prodigiosa prestazione vocale e mimica della giovane attrice, l’invecchiamento avviene per trucco palese (con parrucca occhiali e vestiti pare una barbona). È il punto in cui fede e disperazione si trovano su un abisso, esposte alla stessa probabilità. Susn non finirà suicida col fucile fornitole dall’uomo (secondo il Quadro 5 del copione, ora eliminato), ma per abbandono della lotta, per esaurimento, in lenta caduta nel sonno. Sonno profondo, mortale, vegliato dal lumino residuo. Un’ora e trentacinque minuti di epifania luminosa, di decadenza, di agonia.



 

Susn
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