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Un paese di truffatori

di Roberto Fedi
  Mi manda raitre
Data di pubblicazione su web 07/11/2002  
Il mercoledì sera, su Rai3 alle 20.50, va in onda l’Italia (Mi manda Raitre). L’invenzione fu di Antonio Lubrano; fu ripresa da Piero Marrazzo, lancia in resta. Anzi, più che un’Italia si direbbe che va in onda una doppia Italia, drammaturgicamente interessante.

Lo studio è una specie di teatro, o meglio anfiteatro, e lo evoca: le tribune-palchi con il pubblico, un piccolo palcoscenico con qualche poltroncina dove di siedono gli ‘attori’ del dramma, di solito messi sotto accusa; voci fuori campo di gente che telefona, o che viene interpellata dal conduttore. Lo schema è semplice, quasi (inizialmente) da tragedia, e non è neanche male. Parte dal presupposto o forse dalla consapevolezza che viviamo in un paese di malfattori: i quali, per essere tali, hanno bisogno di vittime. E queste solitamente sono ahimè senza volto e senza parola. L’idea, già di Lubrano, è appunto quella di dare loro parola e volto, e di consentire la rivincita. Da qui la teatralità, lo schema del duello, la lotta eterna – si sarebbe detto in un feuilleton dell’Ottocento – della Giustizia contro il Male.

Così sotto accusa e davanti al Coro sono sfilati personaggi seri e personaggi da cronaca italiana: avvocati spavaldi o impacciati, truffatorelli di periferia, pataccari, mascalzoncelli fuggiti col malloppo (questi solo ‘processati’ in absentia), e anche persone serie in grado di fornire spiegazioni; e qualche volta ha telefonato, magari da località imprecisate, gente accusata di truffa, di raggiri, di avere venduto fumo a chi ci ha creduto e ha sborsato un po’ di soldi, e che ha ormai abbandonato ogni speranza di rivederli. Altre volte – e qui il tono è più ‘alto’, meno da commedia all’italiana – sotto accusa sono Ditte importanti, o magari Enti pubblici come le Poste: e allora l’inchiesta è più pacata, meno provinciale, magari più seria ma ad essere sinceri meno interessante.

Perché secondo noi una trasmissione così non può essere solo quello che promette e forse vuole essere. In altre parole: se veramente in questo Paese (lo scriviamo una volta tanto con la maiuscola, così è contento anche Ciampi) la Giustizia (maiuscola: vedi sopra) per essere attuata ha davvero bisogno di Marrazzo, per altro bravo e populista al punto giusto, beh allora possiamo davvero chiudere bottega. Solo un paese (questa volta minuscolo) senza regole e sbandato può davvero credere che il Servizio Pubblico Radiotelevisivo (maiuscolo) sia da intendersi nel senso di un tentativo di una giustizia a puntate, in cui i Buoni possono avere la meglio una volta tanto sui Cattivi, un po’ come il Gigante della pubblicità e lo Zorro dei telefilm – e infatti, alla radio una trasmissione anche questa rivolta alla ricerca della giustizia in pillole proprio a Zorro si intitola.

No. La ragione della fortuna della trasmissione (e gli autori ci pare che l’abbiano capito benissimo) risiede nella drammatizzazione teatrale di casi esemplari di italica furbizia, e nella finzione processuale che mette davanti, come in un teatrino o in una piazza di paese, truffati e truffatori, derubati e soliti ignoti, e li fa scontrare con effetti che non di rado da tragici divengono farseschi. È quello che non riesce mai a fare Forum (Rete4), dove il tribunale è talmente finto (ma ‘regolare’ dal punto di vista processuale) da non interessare più di tanto, proprio perché incapace di suscitare la ‘commedia’ – che non significa la risata più o meno coatta, ma proprio lo schema narrativo e drammaturgico. In altre parole, quella di Rete4 è una parodia di tribunale; qui, invece, va in scena la lotta del Bene contro il Male.

Ne esce l’immagine di un paese arretrato, dove vivono e qualche volta prosperano personaggi da film all’italiana, capaci di mettere in piedi aziende inesistenti, di impiantare dal nulla call center dove da un giorno all’altro non risponde più nessuno, bravissimi a rastrellare soldi e a sparire come neve al sole; oppure dove arrivano a casa pacchi mai ordinati e che molti pagheranno per sbadataggine; e dall’altra parte gruppi di gente perbene e magari un po’ ingenua che c’è cascata, che ha pensato che quell’inserto nei giornali fosse fededegno, che quel signore in grigio e cravatta fosse autorevole, che quella promessa di lavoro fosse o potesse essere la soluzione. Che la Rai, intesa come servizio pubblico, debba sostituirsi al giudice fa riflettere sullo stato della giustizia e sulla opprimente burocrazia che ci sfinisce, nonché sulla fiducia che i cittadini hanno nel Palazzo (meglio chiedere aiuto a Marrazzo o al Gabibbo: forse è la sola speranza); e preferiamo pensare quindi a questi programmi come ad una sorta di aggiornamento ‘live’ della commedia cinematografica dei Risi e dei Monicelli. Altrimenti, lo specchio in cui ci riflettiamo il mercoledì sera, alle 20.50 su Rai3 , sarebbe davvero da disperazione.



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