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Al servizio di un mattatore al tramonto

di Gianni Poli
  Servo di scena
Data di pubblicazione su web 08/02/2013  

 

Dopo i drammaturghi «arrabbiati», guidati da John Osborne con Look Back in Anger nel 1956 e i fautori del «rifiuto» giunti vent’anni dopo, Ronald Harwood dedicava nel 1980 nostalgie e ricordi affettuosi e ironici a un mondo teatrale scomparso. I moventi più evidenti dell’autore, di cui quest’anno si rappresenta anche La torre d’avorio, stanno nel gusto per il gioco teatrale e nell’aspettativa di un po’ di complicità in risposta dallo spettatore. Con il suo Servo di scena (più letteralmente, il vestiarista) componeva abilmente gli ingredienti per ricreare una situazione nota e comune a tanta parte del pubblico britannico in tempo di guerra. La commedia si svolge appunto a Londra durante la guerra, dove un teatro soggetto agli allarmi e alle incursioni, prosegue le rappresentazioni come segno di resistenza a oltranza alle intimidazioni dei bombardamenti e di solidarietà con la popolazione. Il capocomico insiste nella sua missione d’interprete shakespeariano e si mantiene fedele alla nobile tradizione d’attore che gli ha valso la fama. Ora la sua arte appare scaduta, le sue prestazioni compromesse dalla malattia e dalle circostanze. La compagnia è rabberciata, le più giovani leve sono partite per il fronte e i superstiti hanno perso con l’età il physique du rôle. Sir Ronald (Franco Branciaroli) s’affida al factotum Norman (Tommaso Cardarelli), figura dalla totale devozione e sottomissione al maestro, sua spalla e vestiarista, suggeritore e soprattutto confidente, nei momenti in cui la stanchezza e i vuoti di memoria riducono l’artista alla depressione e allo sconforto disperato. Un ruolo da protagonista, col quale l’autore recupera la propria esperienza di apprendistato in una compagnia teatrale. La vicenda si svolge quasi in tempo reale. Mostra Sir Ronald in piena crisi, tanto da consigliare la sospensione dello spettacolo. Segue la preparazione e il conto alla rovescia che portano alla recita programmata di Re Lear. Lo spettacolo attraversa l’allarme aereo, supera la sequenza avventurosa della «tempesta» e conquista un finale coperto dagli applausi. In tale clima, persino favolistico, gli stati d’animo personali degli attori affiorano e svelano le loro radici di disagio e di compromesso inevitabile.

 


Franco Branciaroli (Sir Ronald) in un momento dello spettacolo.
Foto di Umberto Favretto


Attorno al rapporto privilegiato fra il servente e l’artista despota, si compongono i vari ruoli. Milady (Lisa Galantini) è la compagna di Ronald, impigrita dalla routine, appesantita dai dolciumi, insofferente alla parte della moglie affettuosa e dedita ai compiti assistenziali, che demanda volentieri a Norman. Nella gestione organizzativa, è perentoria e scrupolosa Madge, la direttrice di scena, una Melania Giglio di rattenuta emotività e millantata sicurezza. Ha sempre amato in silenzio l’artista carismatico e alla sua morte s’impossessa dell’anello che lui le aveva offerto per riconoscenza e lei aveva rifiutato per orgoglio. Terza presenza femminile, Irene (Valentina Violo), graziosa comparsa, che blandisce il Patron, ne riceve le galanterie, ma pure suscita interesse per un impiego da attrice giovane più consono al ruolo di Cordelia, ora affidato a Milady. Nel vecchio caratterista Geoffry, Daniele Griggio riveste un Fool di patetico candore, nella goffaggine dell’età avanzata. Sir Ronald è Franco Branciaroli, atteso a un’interpretazione gigionesca, superlativa per vocalità esuberante e invadenza mimica. Molto contenuta invece la potenza d’emissione e meno generosa del solito l’enfasi gestuale. Nella parte dell’attore stanco e spaventato dalle amnesie, nella frustrazione dei cedimenti espressivi e la prospettiva del fallimento, il senso del divario fra ambizione e risultato reale, Branciaroli spiega i suoi registri magistralmente misurati. La sua comicità deriva dall’abnormità della situazione, sottolineata dal pesante trucco regale assunto e mantenuto lungo quasi tutto lo spettacolo. Anche declamando interiorizza le paure e la fierezza nel suo personaggio contraddittorio. Le necessità pratiche del palcoscenico lo costringono agli espedienti più biechi del mestiere, come quando deve sostenere nella figlia Cordelia, il fardello troppo pesante della paffuta Milady. Momenti in cui la coralità s’esprime in un’azione di mutuo soccorso concitato e caotico, con effetti di prevedibile ilarità. L’egocentrismo del personaggio prevale, se anche nella pagina di memoria autobiografica testamentaria, nei ringraziamenti e le menzioni a tutti non compare il nome del suo dresser. Tommaso Cardarelli appare in costante sovraeccitazione, controllata comunque dalla sapienza del rito a cui s’adatta e lungo cui conduce il suo eroe d’elezione. Vero regista della parabola emblematica del grande attore al tramonto, paga la sua dedizione non tanto all’incomprensione quanto alla dismisura del suo sentimento di dipendenza e disponibilità gratuita. Si dispera alla morte silenziosa, non spettacolare dell’amato tiranno in camerino, sua unica ragione di vita e sprofonda in una delusione irrimediabile.

 


Una scena dello spettacolo diretto da Franco Branciaroli.
Foto di Umberto Favretto

 

La scena, sintetica di due luoghi, è costruita su due livelli, in verticale. Bella nel suo verismo simbolico: accumulazione caotica di suppellettili, nei sottostanti camerini; stilizzazione e sproporzione nel soprastante palcoscenico, con sipario e macchina dei rumori a vista. I costumi sono quelli del tempo e dal tempo consunti. Una prova convincente di memorabile autentica compagnia inglese condita con i sapori di una compagnia, un po’ all’antica, italiana.  



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